Avv. Manlio Mallia, Open licensing e gestione collettiva dei diritti d’autore, in Informatica e diritto, Vol. XVIII, 2009, n. 2, pag 191-201
SOMMARIO: 1. Le origini dell’open licensing e il movimento Creative Commons – 2. Vantaggi e svantaggi dei sistemi di open licensing – 3. Le Società di autori di fronte al fenomeno dell’open licensing
1. LE ORIGINI DELL’OPEN LICENSING E IL MOVIMENTO CREATIVE COMMONS
Con l’avvento delle tecnologie digitali e l’inizio del 21° secolo, i valori tradizionali della proprietà intellettuale sono stati sottoposti ad un serrato esame critico. Da parte di alcune organizzazioni si è in particolare sostenuto che lo sviluppo della proprietà intellettuale nel corso degli ultimi trenta anni non sarebbe coerente con i moderni trend tecnologici, economici e sociali e minaccerebbe la catena della creatività e dell’innovazione per le generazioni presenti e per quelle future.
In sostanza alcune organizzazioni affermano che l’attuale assetto della proprietà intellettuale è troppo pesante, onnipresente ed esclusivo, oltre che non abbastanza flessibile per il moderno mondo tecnologico.
Queste critiche sono divenute particolarmente insidiose dopo il decollo economico della rete Internet, che può essere fatto risalire al 1995, ispirandosi al movimento open source, nato nel 1984 negli Stati Uniti su impulso della Free Software Foundation di Richard Stallman per combattere l’esclusiva dei produttori di software.
Le organizzazioni e le iniziative che sostengono la necessità di un diverso approccio al tema della proprietà intellettuale fanno parte del generale movimento dell’open access e includono: 1. Creative Commons, organizzazione non profit creata negli Stati Uniti nel 2001, che ha la sede internazionale in Massachusetts e la base operativa presso la Stanford University e coordina gruppi di lavoro in più di 50 Paesi. Questa organizzazione è senz’altro quella più conosciuta riguardo a questo genere di iniziative e fornisce agli autori di opere di tutti i generi una piattaforma giuridica per gestire il diritto d’autore in modo “aperto”, secondo i principi dell’open licensing.
2. Copyleft, movimento culturale sviluppatosi in ambiente software, che alla fine degli anni novanta ha dato origine ad una serie di modelli alternativi per la gestione dei diritti d’autore sulle opere artistiche;
3. Adelphi Charter, che costituisce il risultato di un progetto inglese portato a termine nell’ottobre del 2005 ed il cui dichiarato interesse è “l’innovazione nell’arte, nella scienza e nell’industria”.
Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere Non va dimenticato che in molti Paesi emergenti (primi fra tutti l’India e il Brasile) vi è una crescente tendenza a considerare la proprietà intellettuale come un ostacolo al progresso, nella convinzione che si tratti di uno strumento in grado di dare benefici soprattutto al mondo industrializzato a spese delle economie di quei Paesi. L’open licensing opera nell’ambito delle leggi esistenti sul diritto d’autore, incoraggiando gli autori a rilasciare un particolare tipo di licenza, la cui filosofia di base è quella per cui il creatore dona volontariamente alla collettività la propria opera per il bene comune, limitandosi a farsi riconoscere come l’autore della sua creazione. Queste licenze consentono all’autore di indicare con precisione in quale modo la sua opera debba essere utilizzata, sostituendo il tradizionale approccio “tutti i diritti riservati” con la nuova formula “alcuni diritti riservati”. L’autore può dunque decidere: a. quale specifico uso il pubblico può fare della sua opera; b. se il pubblico ha la possibilità o meno di utilizzare commercialmente la sua opera; c. se il pubblico può creare o meno una versione derivata (elaborazione) della sua opera; e d. nel caso in cui abbia dato il suo consenso alla realizzazione di una versione derivata della propria opera, se tale versione debba essere resa disponibile alle medesime condizioni di licenza applicate per l’opera originale. Sulla base dell’esperienza finora maturata l’open licensing soddisfa in particolar modo gli interessi di queste sei ampie categorie di autori: 1. l’idealista, che si impegna in favore del principio dell’aperta condivisione dei contenuti; 2. il pragmatico, che è spesso un artista all’inizio della carriera il quale vuole crearsi una reputazione attraverso le opportunità offerte dal marketing virale offerto dal web nella speranza di attrarre l’attenzione del pubblico sulle sue opere; 3. l’accademico, che gode di uno stabile stipendio e si specializza nella condivisione del sapere; 4. il creativo, per il quale la forma d’arte consiste nel remixare e contestualizzare; 5. il creatore “filantropo”, che, all’apice di una carriera di successo, può permettersi di offrire lo sfruttamento gratuito di alcune sue opere; 6. l’uomo politico, che intende dare la massima diffusione alle sue idee. Come si vede, alle ragioni etico-filosofiche di tipo altruistico (donazione dell’opera per la creazione di un comune patrimonio culturale) possono accompagnarsi, risultando talvolta prevalenti, le ragioni tattiche di chi intende far circolare largamente le sue opere, ottenendo una contropartita a livello di visibilità e di popolarità, anche se non in termini strettamente economici. A differenza di organizzazioni come Public Knowledge ed Electronic Frontier Foundation, che si muovono a tutela dei diritti dei consumatori, Creative Commons intende consentire agli autori di disporre di maggiori spazi per autorizzare l’utilizzo delle loro opere attraverso una serie di licenze rilasciate nel rispetto delle vigenti leggi sul diritto d’autore. L’ideatore e il principale promotore/divulgatore di Creative Commons è Lawrence Lessig, professore dell’Università di Stanford, il quale ha proclamato in tutte le sedi che i Creative Commons non sono contro il diritto d’autore e che, anzi, le licenze Creative Commons discendono da esso e si muovono all’interno del sistema delle leggi di protezione di questo diritto. Egli nega con fermezza che i Creative Commons siano il cavallo di Troia per scardinare il copyright e invita la comunità dei creativi a cercare altrove i veri nemici del diritto d’autore1. Le licenze Creative Commons sono disponibili dal 2004 anche in versione italiana e consentono all’autore di scegliere attraverso sei diverse articolazioni, nel rispetto dei principi dell’open licensing, quali diritti riservarsi e quali liberare per l’utilizzo dei terzi. In Italia è attivo il gruppo di lavoro volontario Creative Commons Italia, di base presso il Politecnico di Torino, coordinato dal Professor Marco Ricolfi. Per valutare le dimensioni del fenomeno si deve tener presente che, in base ai dati diffusi sul sito www.monitor.creativecommons.org, nel mese di maggio del 2010 erano disponibili sotto licenza Creative Commons 185 milioni di opere di tutti i generi, di cui oltre 25 milioni create in Europa e più di 5 milioni e mezzo in Italia. Tra i musicisti che si sono avvalsi di questo genere di licenze pur rimanendo associati alle loro società di gestione collettiva figurano David Byrne, Brian Eno, Gilberto Gil, i Beastie Boys, Peter Gabriel e i Radiohead; è anche il caso di ricordare che i Nine Inch Nails hanno ricevuto nel 2008 la nomination ai prestigiosi Grammy Awards con un album distribuito con licenza Creative Commons. 2. VANTAGGI E SVANTAGGI DEI SISTEMI DI OPEN LICENSING I fautori dell’open licensing evidenziano questi vantaggi: a. L’open licensing fornisce all’autore un modo molto semplice per mantenere il controllo delle utilizzazioni commerciali dei suoi diritti nello stesso momento in cui egli massimizza la distribuzione delle sue opere. In breve, l’open licensing mette a disposizione dell’autore un’ampia gamma di scelte di ciò che il pubblico può liberamente fare di ogni sua opera e gli risparmia il fastidio e la spesa delle trattative per il rilascio delle autorizzazioni relative ai suoi diritti individuali. b. L’open licensing permette all’autore e all’utilizzatore di godere il beneficio della forza “democratizzante” delle tecnologie digitali e della loro capacità di eliminare le varie forme di intermediazione tra l’autore e il pubblico: in effetti è abbastanza evidente che le tecnologie digitali consentono a chiunque, almeno in via teorica, di essere oltre che autore, anche produttore e distributore delle proprie opere. c. Ad un autore senza contratto può essere offerta l’opportunità di una esposizione su scala mondiale, che gli consente di acquisire la visibilità che egli diversamente non potrebbe raggiungere. d. L’open licensing promuove la collaborazione tra autori, nel tempo e nello spazio, accrescendo la quantità di opere disponibili liberamente ed agevolando la creazione di nuove opere a partire dai contenuti preesistenti. e. Lo spirito creativo richiede l’accesso alle idee, al sapere e alla cultura altrui, passati e presenti. La creatività raramente è nata da un vuoto, essa si costruisce e si estende sull’opera degli altri. L’open licensing accresce la capacità dell’autore di creare nuove opere, utilizzando il materiale grezzo creato dagli altri autori e permette agli artisti di remixare, riutilizzare e reinventare l’opera altrui senza preoccuparsi della violazione del diritto d’autore. In questo modo, l’open licensing stimola la diffusione della creatività. f. Al pubblico è data l’opportunità di una facile e pronta utilizzazione/riutilizzazione legale delle opere, senza la difficoltà di dover andare alla ricerca del permesso dei loro autori e senza dover corrispondere nulla alle società di gestione collettiva. g. Le opere possono essere inserite nelle banche dati messe a disposizione sul sito Creative Commons e sui numerosi siti di diffusione delle opere che funzionano con modalità analoghe. Dal punto di vista della comunità creativa tradizionale, l’open licensing comporta una serie di significativi pericoli e svantaggi: a. Diffondendo l’idea che il diritto d’autore ammette lo sfruttamento gratuito delle opere, l’open licensing riduce enormemente il valore delle opere creative in generale e rischia di compromettere l’efficace gestione collettiva del diritto. In questo modo, l’open licensing minaccia il diritto fondamentale dell’autore ad una appropriata protezione, al controllo e alla adeguata remunerazione delle sue creazioni. b. Eliminando l’incentivo economico tradizionalmente associato al diritto d’autore, l’open licensing compromette in modo significativo lo sviluppo della cultura globale, che dipende da tale incentivo economico e dalla sua funzione di catalizzatore, con possibili effetti negativi sulla diversità culturale, per la cui protezione quasi tutti i Paesi si sono pubblicamente impegnati con la loro adesione alla Convenzione dell’Unesco. c. Fondamentale per il sistema della gestione collettiva è la filosofia della “massa critica”. Agendo collettivamente attraverso le loro società di gestione collettiva, gli autori sono considerevolmente più forti che se agissero individualmente. L’open licensing bypassa il sistema della gestione collettiva e perciò determina un vulnus non lieve al diritto, la cui protezione rischia di subire una corsa al ribasso, come dimostrato anche da alcuni preoccupanti episodi, che hanno restituito gli autori al loro originario stato individuale, rendendoli facile preda di utilizzatori molto disinvolti. d. L’open licensing non è in grado di tener conto della presenza di opere create da più coautori. Un autore che desideri rilasciare una licenza per queste opere in base ai principi dell’open licensing non può farlo senza il permesso degli altri coautori, con evidenti difficoltà di gestione di un sistema di questo tipo. e. L’open licensing è un fenomeno relativamente nuovo, che non ha ancora superato l’esame del tempo. Sono infatti ancora da accertare le implicazioni a lungo termine per un autore che abbia rinunciato ai propri diritti con un semplice click su una o due icone del suo computer, perdendo così ogni reale controllo sulla sua creazione. Queste licenze tendono ad essere valide su scala mondiale e per l’intera durata di protezione del diritto d’autore, non fornendo alcuna remunerazione per l’autore, e non possono essere revocate, con la conseguenza che chi ha ottenuto la licenza può continuare l’uso dell’opera in eterno. Infatti, anche se l’autore può smettere quando vuole di offrire la sua opera con questo genere di licenze, ciò non avrà alcun effetto sui diritti concessi per le copie già in circolazione. In breve, rilasciando una licenza del genere, un autore rischia di rinunciare ai diritti sulle sue creazioni per il mondo intero, in perpetuo, gratis e irrevocabilmente. f. L’open licensing rischia di dar luogo ad un clima di confusione e di incertezza giuridica. I Creative Commons offrono un ampio assortimento di licenze e solo l’opera utilizzata per fini pubblicitari è esclusa da tutte le loro licenze. Far combaciare i desideri dell’autore con la licenza richiesta è molto difficile e l’eccessiva varietà di opzioni può creare seri problemi pratici agli utilizzatori. g. L’open licensing non è sempre compatibile con le leggi nazionali in base alle quali le licenze sono rilasciate. Per esempio, per certe leggi non è possibile ad un autore rinunciare ai diritti morali, con la conseguenza che le clausole che prevedessero una rinuncia del genere potrebbero anche invalidare l’intera licenza. h. L’open licensing non fornisce all’autore la necessaria infrastruttura amministrativa, né alcuna assistenza o consulenza legale per la tutela dei suoi diritti. In pratica, non vi è alcuna garanzia concreta circa il rispetto delle clausole della licenza adottata dall’autore, che non sa nemmeno a chi ha rilasciato la sua autorizzazione e non può quindi verificare se le utilizzazioni siano conformi alle condizioni di licenza da lui definite. l. L’open licensing rischia di danneggiare seriamente l’utilizzo commerciale delle opere licenziate in tal modo e compromette le prospettive del loro futuro successo economico, dato che, una volta che un’opera è disponibile gratuitamente, viene meno l’incentivo economico per un editore ad occuparsi della sua promozione. In breve, l’open licensing incoraggia l’autore giovane ed influenzabile, all’inizio della sua carriera, ad “agire in fretta e pentirsi con comodo”. m. L’open licensing non ha finora dimostrato di costituire una scorciatoia per il successo. Le possibilità per un autore alle prime armi di essere scoperto attraverso l’open licensing non sono realisticamente molto significative ed è assai improbabile che, qualora egli scelga di riservarsi gli usi commerciali delle sue opere e di agire individualmente per tutelarsi, riesca ad essere adeguatamente remunerato da tutti coloro che intendano utilizzarle commercialmente. L’unico modo reale di assicurare qualche possibilità di successo all’autore emergente è tuttora tramite il sistema dell’investimento e della promozione legato ai tradizionali sistemi del diritto d’autore. n. L’open licensing si addice più all’ambiente accademico e a quello scientifico che al mondo artistico e a quello dello spettacolo. Nel primo gli autori ricevono un regolare stipendio e sono abituati a pubblicare le loro opere gratuitamente o per un compenso esiguo al fine di progredire nella professione. Nel mondo dello spettacolo gli autori non ricevono quasi mai un regolare stipendio per realizzare un’opera creativa e il loro tenore di vita dipende in larga misura dai diritti d’autore. o. Incoraggiando l’incontrollata elaborazione e modifica dell’opera dell’autore, l’open licensing erode il concetto del diritto d’autore dell’Europa continentale, che esalta lo stretto legame esistente tra l’autore e le sue creazioni. p. L’open licensing rischia di complicare la vita degli utilizzatori. Con il sistema della gestione collettiva gli utilizzatori devono ottenere una sola licenza, con clausole contrattuali omogenee. Con l’open licensing l’utilizzatore deve confrontarsi con una molteplicità di autori, che possono avvalersi di una ampia gamma di condizioni contrattuali che egli è tenuto a rispettare se vuole mantenersi nell’ambito della legalità. 3. LE SOCIETA’ DI AUTORI DI FRONTE AL FENOMENO DELL’OPEN LICENSING In sintesi si può affermare che l’open licensing risponde ad uno stato d’animo ampiamente diffuso in taluni ambienti e soddisfa un certo numero di autori, i quali desiderano una maggiore flessibilità nella gestione delle proprie opere, che essi intendono distribuire più liberamente a fini promozionali. D’altro lato, tuttavia, non si può negare che alcuni profili non marginali dell’open licensing appaiono pericolosi per gli interessi complessivi della comunità creativa, che per le opere musicali sono stati finora curati dalle Società di autori. L’idea non chiaramente espressa, ma condivisa da molti, è che queste Società svolgono egregiamente il loro lavoro nell’ambiente off line, mentre per le utilizzazioni on line, maggiormente visibili e controllabili, è possibile la gestione individuale da parte degli autori, che possono muoversi sul mercato autonomamente o avvalendosi dell’attività di intermediari “leggeri”, quali gli aggregatori di contenuti. Si tratta del c.d. “tragitto breve” illustrato da un’autorevole dottrina2, che prefigura uno scenario non molto lontano nel tempo in cui l’autore stabilisca un rapporto diretto con il suo pubblico e faccia a meno dell’intermediazione di editori, produttori fonografici e società di gestione collettiva. Le generali difficoltà di monitoraggio della rete Internet e di enforcement delle norme di protezione del diritto d’autore, oltre al comportamento di alcuni utilizzatori che hanno fatto un uso improprio delle licenze Creative Commons, sembrano tuttavia mettere seriamente in discussione la validità di questa idea. In via di principio l’open licensing appare difficilmente compatibile con il sistema della gestione collettiva. Quando un autore aderisce ad una Società di autori europea, una clausola del suo contratto di associazione prevede che egli le affidi la gestione esclusiva di tutti i diritti di utilizzazione economica da essa amministrati relativamente a tutte le sue opere, e cioè non solo quelle già esistenti, ma anche quelle future3. Da quel momento la Società, e non l’autore, gestisce in via esclusiva queste opere, con la conseguenza che l’autore non potrà rilasciare direttamente licenze che consentano l’uso gratuito delle sue opere senza violare le norme che regolano il suo rapporto associativo4 e dovrà quindi dimettersi dalla Società per poter liberamente concedere le licenze in questione5. D’altro canto, se l’autore ha concluso accordi di open licensing prima di aderire ad una Società, l’esercizio dei suoi diritti su una serie di opere potrebbe essere stato già compromesso da questi accordi. Per contemperare le esigenze individuali degli autori che desiderano maggiore flessibilità con quelle della gestione collettiva, che esige il rispetto di una serie di norme condivise, alcune Società di autori hanno concentrato la loro attenzione sulle licenze Creative Commons che autorizzano solo gli usi non commerciali delle opere, ritenendo che le licenze che consentono anche gli usi commerciali non siano compatibili con la loro mission, che è quella di generare entrate economiche per i loro associati. Tre Società di autori (l’olandese BUMA-STEMRA, la danese KODA e la svedese STIM) hanno quindi adottato negli anni scorsi progetti pilota di carattere sperimentale per consentire agli autori musicali che decidano di adottare licenze Creative Commons riservandosi il controllo sugli usi commerciali delle loro opere, di avvalersi, per tali usi, dei vantaggi rappresentati dalla gestione collettiva, evitando loro molti dei principali svantaggi dell’open licensing. Una soluzione del genere è stata ritenuta sufficiente per assicurare la principale esigenza espressa da molti autori, quella dell’autopromozione del loro repertorio. Per evitare ogni possibile dubbio è stata quindi adottata una modifica delle licenze Creative Commons, inserendo una riserva chiara dell’autore circa il suo diritto di percepire i diritti derivanti dalle utilizzazioni commerciali, direttamente o attraverso la Società d’autori di appartenenza. I progetti pilota finora adottati hanno così consentito agli autori di licenziare una parte delle loro opere attraverso le tre licenze Creative Commons che autorizzano gli usi non commerciali, mentre le Società di autori hanno continuato a percepire i compensi per gli usi commerciali di quelle stesse opere. In tutte le iniziative finora realizzate, come anche in quelle allo studio, il problema di più difficile soluzione è stato quello di giungere ad una definizione il più possibile chiara e condivisa degli usi commerciali e degli usi non commerciali, non essendo stato ritenuto sufficiente il ricorso alla definizione di uso commerciale contenuta nel testo della licenza Creative Commons (“qualsiasi uso prevalentemente inteso o diretto al perseguimento di un vantaggio commerciale o di un compenso monetario privato”). Il progetto pilota olandese, lanciato nel 2007 a seguito di un lavoro congiunto tra la BUMA-STEMRA e il gruppo Creative Commons Netherlands, ha tentato di dare una definizione più precisa e abbastanza restrittiva degli usi commerciali. Sono stati quindi considerati tali tutti gli usi effettuati da organismi a scopo di lucro, quelli che prevedono un pagamento o un altro compenso di tipo finanziario anche a favore di terzi, quelli finanziati dalla pubblicità, quelli effettuati nei luoghi di lavoro o da parte di emittenti radiotelevisive, alberghi, bar, ristoranti, negozi, grandi magazzini. La soluzione adottata dal progetto pilota olandese ha in sostanza seguito l’impostazione di Creative Commons International, che ha sempre manifestato una forte preferenza per la definizione della nozione di uso commerciale, con la conseguenza che ogni utilizzo non coperto dalla definizione sarebbe considerato non commerciale. E’ il caso di osservare che nei successivi sviluppi l’approccio è stato capovolto per rendere più chiaro il significato del termine “uso non commerciale”. La BUMA-STEMRA e il gruppo Creative Commons Netherlands, che avevano costruito il progetto pilota con l’intento di non disturbare il normale utilizzo delle opere, hanno pubblicato nel mese di agosto del 2010 uno studio per valutare i risultati dell’esperimento, al quale avevano partecipato solo una trentina di autori. Le conclusioni dello studio hanno attirato l’attenzione, tra l’altro, sulla necessità di dare una migliore e più chiara comunicazione al progetto pilota e di avviare azioni nei confronti degli associati alla BUMA-STEMRA che utilizzano le licenze Creative Commons al di fuori della normativa definita dal progetto. Il problema principale evidenziato dallo studio ha però riguardato le divergenze tra le forme di uso che gli associati ritengono non commerciali e il modo in cui gli usi non commerciali erano stati definiti dal progetto pilota. Gli esperti consultati nell’ambito dello studio, tra i quali figuravano anche alcuni autori, hanno quindi ritenuto di adottare un approccio più pragmatico ed hanno suggerito di elaborare una lista delle utilizzazioni consentite e di quelle non consentite, anziché confrontarsi su complicate definizioni che avrebbero comportato un successivo lavoro di interpretazione dagli esiti imprevedibili. A conclusione dello studio gli esperti hanno convenuto circa il fatto che siano considerate non commerciali le utilizzazioni effettuati da “piccole organizzazioni”, la distribuzione diretta da parte degli autori attraverso i loro siti web, le reti di file sharing, le piattaforme di promozione collettiva e i social network, gli utilizzi da parte delle istituzioni artistiche e culturali e quelli effettuati nei blog di privati cittadini, oltre alla riproduzione delle opere su Compact Disc ceduti a scopo di beneficenza. Gli esperti hanno per converso considerato commerciale l’uso da parte di bar, ristoranti, alberghi ed emittenti radiotelevisive, oltre ad alcune forme di utilizzo che richiedono valutazioni qualitative di non agevole attuazione pratica. Il lavoro degli esperti ha costituito la base di un sondaggio condotto su un campione statisticamente rappresentativo, composto in massima parte di autori associati alla BUMA-STEMRA, che ha rivelato l’esistenza di un’opinione piuttosto diffusa circa il parallelismo esistente tra usi on line (generalmente considerati promozionali, anche se con alcune rilevanti eccezioni) e usi off line (ritenuti di norma non promozionali). Dal sondaggio è quindi chiaramente emersa la richiesta di introdurre una maggiore flessibilità nel mandato affidato alle Società di autori, unitamente all’idea, peraltro non universalmente condivisa, che tutti gli usi soggettivamente percepiti come promozionali dovrebbero essere considerati non commerciali. Dopo la presentazione dei risultati dello studio che ha valutato il progetto pilota olandese BUMA-STEMRA e Creative Commons Netherlands hanno preso l’impegno di esplorare la possibilità di introdurre modifiche al progetto entro la fine del 2010. Tutte le Società di autori sono oggi chiamate a confrontarsi sul tema del rapporto tra le obiettive esigenze della gestione collettiva e la richiesta di maggiore flessibilità avanzata da una parte dei loro associati. In questo nuovo scenario il lavoro esplorativo svolto dalla BUMA-STEMRA costituisce un importante punto di partenza nel percorso che le Società di autori – che agiscono nei loro Paesi in una condizione di monopolio, di fatto o di diritto – dovranno intraprendere per conciliare le istanze di segno diverso provenienti dai loro associati e per assicurare anche in ambiente digitale la gestione in forma collettiva dei loro diritti. 1 Nel giugno del 2010 la società statunitense ASCAP, dimostrando di non condividere le affermazioni del Professor Lessig, ha lanciato una campagna contro Creative Commons, Public Knowledge ed Electronic Frontier Foundation, accusati di promuovere la cultura del copyleft presso il Congresso USA. 2 M. RICOLFI, Gestione collettiva e gestione individuale in ambiente digitale, Intervento presentato al Convegno “Proprietà digitale, diritti d’autore, nuove tecnologie e Digital Rights Management”, Università Bocconi, Milano, 18 novembre 2005. 3 Questa situazione non si verifica negli Stati Uniti, dove non è consentito alle società ASCAP e BMI di ottenere un mandato esclusivo dai loro associati. 4 In realtà alcuni autori rilasciano tranquillamente licenze Creative Commons in violazione della norme associative da loro sottoscritte, confidando nella comprensibile esitazione delle Società alle quali hanno affidato i loro diritti, che non hanno finora ritenuto di avviare alcuna azione nei loro confronti. 5 Una possibile alternativa è costituita dall’esclusione delle utilizzazioni on line dal mandato di gestione affidato alle Società di autori, soluzione adottata da alcuni autori che hanno ritenuto di avvalersi in piena libertà delle opportunità promozionali offerte dalla rete.Contenuto Riservato!