Andrea Perini, Voluntary disclosure: l’elenco incompleto delle fattispecie non punibili, in Fisco, 2015, 4, 348
Voluntary disclosure: l’elenco incompleto delle fattispecie non punibili
1. Premessa
Giovedì 4 dicembre 2014 il Senato ha approvato in via definitiva la normativa in materia di “emersione e rientro di capitali detenuti all’estero”, meglio nota come voluntary disclosure.
La disciplina introdotta con la L. 15 dicembre 2014, n. 186 prevede che l’emersione dei capitali detenuti all’estero o la regolarizzazione di capitali occultati in Italia, laddove avvengano attraverso la particolare procedura tracciata dal legislatore, comportino il venir meno della punibilità di determinati reati, evidentemente ritenuti più frequentemente connessi ad episodi di evasione fiscale.
In particolare, l’ art. 5-quinquies, introdotto dalla novella nel testo del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, dispone che, a seguito del perfezionamento della prevista procedura:
“a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni;
b) è altresì esclusa la punibilità delle condotte previste dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a) del presente comma”.
Vi è poi da osservare che il comma 5 del novello art. 5-septies estende l’esclusione della punibilità a “tutti coloro che hanno concorso a commettere i delitti ivi indicati”, prevenendo così l’insorgere di quelle incertezze che, nel 2003, avevano accompagnato il condono fiscale e che avevano richiesto un successivo, espresso, intervento del legislatore (1).
Il comma 2 dell’art. 5-quinquies precisa, poi, che “le disposizioni del comma 1 si applicano limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria”.
Infine, il comma 3 esclude la punibilità a titolo di autoriciclaggio dei fatti commessi “in relazione ai delitti di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo sino alla data del 30 settembre 2015, entro la quale può essere attivata la procedura di collaborazione volontaria”. Ciò, beninteso, “limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria”.
2. I reati fiscali “dimenticati”: il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti …
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Tale previsione, fin da una prima lettura, suscita alcune perplessità derivanti dalla peculiare cernita delle fattispecie penali per le quali il perfezionamento della disclosure fungerebbe da causa sopravvenuta di esclusione della punibilità. Ed invero, le ragioni di codeste perplessità non attengono tanto alle fattispecie penali espressamente individuate dal legislatore, trattandosi all’evidenza di ipotesi strettamente connesse all’evasione fiscale. Piuttosto, ad apparire foriere di non poche questioni applicative sono almeno alcune fattispecie incriminatrici sorprendentemente “dimenticate” dal legislatore e rispetto alle quali l’adesione alla voluntary disclosure rischia di trasformarsi in una vera e propria autodenuncia.
La più clamorosa delle “lacune” è rappresentata dalla fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’ art. 8 del già citato D.Lgs. n. 74/2000, evidentemente lasciata al di fuori della sfera di “perdono” per la rilevante gravità dei fatti commessi dalle c.d. “cartiere”. Sennonché, una tale scelta di politica criminale – di per sé tutt’altro che incomprensibile – appare dimentica di un particolare orientamento maturato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione ed incline a ritenere che possa rispondere di concorso – quantomeno – morale nel reato di cui all’art. 8 l’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti che, per qualsivoglia ragione, abbia annotato tali fatture in contabilità ma non abbia poi portato a compimento la condotta prevista dall’ art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 presentando una dichiarazione mendace (2).
Vero ciò, l’“emersione” del soggetto utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti sembra comportare, in primo luogo, la sostanziale denuncia del soggetto che ha emesso quelle fatture utilizzate dal contribuente aderente alla disclosure. Fin qui, tuttavia, è lecito ritenere che si tratti di un “effetto collaterale” non solo previsto ma, probabilmente, anche voluto dal legislatore.
Sennonché, occorre rammentare come la non punibilità a titolo di concorso nell’art. 8 di colui che, dopo averne istigata l’emissione, utilizza una fattura falsa, discenda dall’ art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, a norma del quale “in deroga all’ articolo 110 del codice penale (omissis) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 8”.
Ora, come si osservava, la Cassazione ha escluso l’operatività di una tale previsione allorquando il soggetto utilizzatore della fattura falsa non abbia successivamente perfezionato la fattispecie di cui all’art. 2. Vero ciò, è lecito domandarsi se davvero venga meno qualsiasi rischio penale in capo a colui che, dopo aver accumulato capitali all’estero grazie all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, aderisca alla procedura di voluntary disclosure che, facendo venir meno la punibilità per la fattispecie di cui all’art. 2, rischia di schiudere le porte al concorso in quell’art. 8 che, come si è visto, mantiene intatta la sua punibilità.
Per la verità, occorre considerare che i casi oggetto di pronuncia da parte della Cassazione non riguardavano situazioni nelle quali fosse maturata una causa di esclusione della punibilità in capo al soggetto utilizzatore ma, più radicalmente, fattispecie concrete nelle quali l’utilizzatore non aveva perfezionato il delitto previsto dall’art. 2. Sembra trattarsi, quindi, di ipotesi non sovrapponibili a quella che vedrebbe l’utilizzatore di fatture false commettere il reato di cui all’art. 2 ma, successivamente, conseguire la non punibilità a seguito della procedura di emersione. Nondimeno, desta qualche preoccupazione la massima tranchante della Cassazione del 2008, secondo la quale “in tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, non esclude il concorso nella condotta di chi emette la fattura o il documento per un’operazione inesistente (art. 8, comma 1, d.lg. citato) in quanto si tratta di reato comune” (3).
Obiettivamente, una tale lettura appare particolarmente penalizzante e, a nostro giudizio, contrasta con la ratio che governa sia l’art. 9 che – ancor più chiaramente – la causa di esclusione della punibilità prevista dalla novella. Tuttavia, stante il citato orientamento della Cassazione, il tema si presenta alquanto scivoloso e, pertanto, avrebbe potuto suggerire al legislatore qualche apertura verso la fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti (4).
3. … ed il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
Altra fattispecie penale tributaria per la quale l’adesione alla voluntary disclosure non fa venire meno la punibilità è il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall’ art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.
Ed invero, la riforma subita da tale ipotesi criminosa nel passaggio dal “vecchio” art. 97 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 alla norma introdotta nel 2000 ha consentito di allargarne l’area applicativa fino a ricomprendere condotte intervenute anche in epoca antecedente rispetto all’attività di accertamento avviata dall’Amministrazione finanziaria (5). E’ infatti sufficiente che il contribuente si sia spogliato dei propri beni dopo aver conseguito un certo reddito, così da vanificare la futura attività di riscossione, per dar vita al delitto in questione (6). Peraltro, occorre segnalare che la giurisprudenza ha talora ritenuto penalmente rilevanti anche condotte non fraudolente o artificiose ma semplicemente idonee a comportare un depauperamento del patrimonio del contribuente, come l’istituzione di un fondo patrimoniale(7).
Vero ciò, ben si comprende come rischino di risultare rilevanti ex art. 11 condotte di occultamento di denari su conti esteri o di intestazione di immobili a fiduciarie estere allorquando il patrimonio residuo del contribuente si riveli insufficiente a far fronte agli oneri scaturenti da un accertamento fiscale.
Ed allora, si ipotizzi l’avvenuto dirottamento su conti off shore di importanti somme di denaro da parte di un contribuente che abbia mantenuto in Italia solo un modesto patrimonio. Si immagini poi che tale contribuente abbia subito una verifica fiscale dalla quale sia scaturito un debito rimasto inadempiuto per l’incapienza del patrimonio del contribuente stesso. Ebbene, in siffatte situazioni, assai di frequente l’adesione alla procedura di rimpatrio sarà preclusa dalla previsione contenuta nel comma 2 del novello art. 5-quater, a norma del quale: “la collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria indicato al comma 1 del presente articolo”.
Tuttavia, nei casi in cui i beni illecitamente riparati all’estero fossero diversi da quelli interessati dall’accertamento fiscale, la loro emersione – consentita dalla norma – rischierebbe di portare alla luce una fattispecie penale che, se non prescritta, conserverebbe intatta la sua punibilità.
Sotto questo profilo, appare difficile da comprendere una scelta di politica criminale che, a ben vedere, ha già nel citato comma 2 dell’art. 5-quater un’adeguata clausola di salvaguardia per conservare la punibilità di fatti ormai disvelati dall’Amministrazione finanziaria: dunque, l’inserimento anche dell’art. 11 nel novero delle fattispecie non più punibili avrebbe contribuito ad evitare un profilo di incertezza che, in qualche caso, potrebbe rivelarsi fortemente disincentivante.
4. Oltre i reati tributari: appropriazione indebita e reati societari
In realtà, non si limita alle fattispecie penali tributarie l’elenco delle lacune che sembra presentare il numerus clausus delle fattispecie suscettibili di divenire non punibili a seguito dell’adesione alla procedura di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero. Particolarmente preoccupante, infatti, appare il permanere della punibilità per la fattispecie prevista dall’ art. 646 c.p., ossia il delitto di appropriazione indebita.
Ed infatti, si ipotizzi un “classico” caso di evasione fiscale realizzato attraverso l’omessa contabilizzazione di ricavi da parte di una piccola società di capitali a base familiare, nell’ambito della quale i “ricavi neri” siano stati fatti confluire – in modo più o meno diretto – su conti esteri intestati (non alla società ma) all’amministratore/socio di maggioranza/capofamiglia o, comunque, ad un soggetto diverso dalla società stessa. Si tratta, a ben vedere, di un modus operandi probabilmente non del tutto alieno a chi vorrà fare ricorso a codesta procedura di regolarizzazione.
Ebbene, in situazioni quali quella esemplificata, a sussistere sarà – di regola – non il solo reato fiscale, la cui punibilità verrebbe meno grazie alla voluntary disclosure, ma anche la fattispecie di appropriazione indebita, per giunta aggravata exart. 61, n. 11, c.p. e – quindi – perseguibile d’ufficio. Ergo, in siffatti casi, l’emersione delle somme “ricoverate” dal capofamiglia su conti off shore, ma provenienti dall’attività d’impresa svolta dalla società di famiglia potrebbe rivelarsi una vera e propria autodenuncia dell’appropriazione indebita commessa allorquando le somme in questione furono sottratte all’economia della società.
E si rammenti che, a norma del comma 3 dell’art. 5-quater “entro trenta giorni dalla data di esecuzione dei versamenti indicati al comma 1, lettera b), l’Agenzia delle Entrate comunica all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura di collaborazione volontaria, per l’utilizzo dell’informazione ai fini di quanto stabilito all’articolo 5-quinquies, comma 1, lettere a) e b)”, ossia per assicurare la non punibilità dei reati ivi citati, ma anche – forse – per accendere un faro sulle ipotesi “limitrofe” che hanno conservato intatta la loro punibilità.
Peraltro, analoghe riflessioni potrebbero essere svolte anche con riferimento al reato di infedeltà patrimoniale previsto dall’ art. 2634 c.c., sebbene la perseguibilità a querela di tale fattispecie depotenzi di gran lunga il rischio penale, perlomeno al cospetto di compagini societarie compatte. Ed ancora la perseguibilità a querela, oltre alla fulminea prescrizione, potrebbero limitare la portata di un’ulteriore falla presente nel catalogo dei reati suscettibili di veder cancellata la punibilità: la mancata previsione delle fattispecie di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c.
E’ infatti evidente come tali reati societari siano suscettibili di essere chiamati in causa ogniqualvolta – ad esempio – una società abbia utilizzato fatture per operazioni inesistenti e, quindi, abbia, non solo alterato la base imponibile dichiarata al Fisco ma, altresì, il risultato di esercizio indicato a bilancio. Ebbene, in siffatte situazioni, la disclosure dei fondi neri accantonati grazie al pagamento di tali fatture per operazioni inesistenti sarà sì accompagnata dalla esclusione della punibilità per il reato fiscale, ma il reato societario manterrà intatta la sua punibilità, arginata esclusivamente – come si rilevava – dalla rapida prescrizione della fattispecie contravvenzionale e dalla querela prevista nelle società non quotate.
Invero, la voluntary disclosure realizzata nell’ambito di società di capitali pare ben difficilmente potersi risolvere in qualcosa di diverso dalla confessione di una falsa comunicazione sociale, atteso che il governo di fondi extra-bilancio appare – diremmo per definizione – rilevante exartt. 2621 o 2622 c.c.
Anzi, a ben vedere, nella frequente ipotesi in cui tali fondi non siano stati accantonati in vista di un esclusivo futuro impiego per finalità lato sensu “societarie” (con tutti i limiti che comunque il caso presenterebbe, e non solo sotto il profilo probatorio), si ricadrebbe verosimilmente nella sfera applicativa dell’ art. 2622 c.c., dal momento che la società risulterebbe danneggiata dal non poter disporre dei fondi in questione. D’altro canto, il legislatore del 2002 si dimostrò più lungimirante, atteso che – allorquando pose mano al condono fiscale (cfr. L. n. 289/2002) – dispose espressamente la non punibilità (tra le altre) delle fattispecie penali societarie di cui agli artt. 2621, 2622 e 2623 c.c. (8).
Tutto ciò, quindi, rende difficilmente percorribile la procedura di rimpatrio per società quotate, assodato che in esse il delitto sarebbe perseguibile d’ufficio. Probabilmente, a ben vedere, non saranno comunque molte le quotate interessate ad una procedura che, sotto il profilo reputazionale, non pare contribuire molto al lustro del contribuente!
Resta in ogni caso da scandagliare, soprattutto con riferimento alla fattispecie di cui all’ art. 2621 c.c., la sopravvivenza di eventuali profili di responsabilità dell’ente, exart. 25-ter del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, tenuto conto del diverso regime di prescrizione che governa la responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica autrice del reato societario.
5. Altri potenziali profili di permanenza della responsabilità penale
Un cenno merita poi la materia penale fallimentare, tradizionalmente estranea a provvedimenti di questa natura.
Occorre segnalare, al riguardo, la delicatezza che potrebbe assumere l’emersione di beni provenienti da società o da imprese fallite laddove il loro “riaffiorare” dovesse rendere palese la precedente commissione di fatti distrattivi. Circostanza, questa, da tenere in particolare considerazione laddove ad essere fallito fosse l’imprenditore individuale che dà corso all’emersione dei capitali o il socio illimitatamente responsabile di società di persone dichiarata fallita: in tali contesti, infatti, patrimonio dell’imprenditore e garanzia creditoria finiscono con il coincidere e, quindi, l’occultamento di beni al cospetto delle pretese dei creditori rischia di risolversi in una bancarotta del tutto impermeabile ai benefici derivanti dalla voluntary disclosure.
Infine, qualche problema interpretativo potrebbe presentare anche il caso, quasi “scolastico”, di colui che abbia intestato alla figlia, alla moglie o ad un prestanome il libretto di risparmio o il conto corrente acceso in un paradiso fiscale e sul quale abbia fatto confluire i proventi di un reato tributario, proventi poi ulteriormente riciclati ed occultati. E’ vero che, in siffatta situazione, le fattispecie penali tributarie ed il riciclaggio vedrebbero venir meno la loro punibilità, così come anche eventuali fatti di autoriciclaggio che dovessero essere commessi prima del 30 settembre 2015. Resta da domandarsi se, in un tale scenario, non conservi un qualche spazio applicativo la fattispecie di cui all’ art. 12-quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, a norma del quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a sei anni”. Ebbene, non sfuggirà che, nel caso esemplificato, l’autore del reato fiscale attribuisce ad altri la titolarità di denaro onde consentire l’avvio di un’attività di riciclaggio (9); per giunta, se un tale fatto fosse stato commesso antecedentemente all’entrata in vigore della fattispecie di autoriciclaggio, non si porrebbe neppure un problema di concorso apparente di norme (10), vista la sussistenza – all’epoca del fatto – della sola ipotesi di cui all’art. 12-quinquies. Dunque, anche in questo caso, la questione sembra presentare connotati assai delicati (11).
Per concludere, vi è ancora una domanda che, forse, vale la pena porsi.
Si immagini uno scenario nel quale un contribuente, dopo aver a lungo presentato dichiarazioni fiscali assai modeste, incapaci di giustificarne l’elevato tenore di vita, aderisca alla procedura di voluntary disclosure, facendo emergere importanti capitali occultati al Fisco.
Si ipotizzi poi che, a distanza di qualche anno, questi subisca una verifica fiscale dalla quale emergano nuovi, rilevanti redditi sottratti a tassazione. Ebbene, in un tale contesto, sarebbe interessante chiedersi se sussistano elementi di fatto per ritenere che questo contribuente “per la condotta ed il tenore di vita” viva “abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”, giusta quanto disposto dall’ art. 1, lett. b), del D.Lgs. n. 159/2011 (altrimenti noto come Codice delle leggi antimafia).
Ciò in quanto, in presenza di una risposta affermativa, è chiaro che a schiudersi sarebbero le porte del procedimento di prevenzione(12), con tutto ciò che ne consegue – ad esempio – sotto il profilo della confisca di cui all’art. 24 del Codice delle leggi antimafia, anche alla luce della lettura che ne ha recentemente dato la Cassazione a Sezioni Unite (13).
6. Considerazioni conclusive
Come si può rilevare, quindi, vi è quanto basta per constatare come la novella si accompagni a rilevanti incertezze, perlomeno sotto il profilo dei reali confini che presenta quel perimetro di esclusione della punibilità destinato, nella mente del legislatore, ad incentivare l’adesione alla procedura.
In realtà, sol che si approfondisca un poco l’analisi, emerge un quadro nel quale il venir meno della punibilità si manifesta, per così dire, “a chiazze di leopardo”, lasciando sopravvivere rischi penali tutt’altro che trascurabili e che, quindi, non paiono il viatico ideale per il neonato provvedimento.
(1) Sul punto cfr. A. Perini, Considerazioni sulla natura oggettiva o soggettiva delle cause di esclusione della punibilità previste dai condoni fiscali, in “Rass. trib.” n. 3/2003, pag. 937.
(2) Cfr. Cass., 16 maggio 2003, n. 24167, secondo cui “l’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti che abbia istigato l’emittente concorre moralmente nel delitto di emissione quando non si sia avvalso in dichiarazione delle fatture”. Cfr. altresì, nello stesso senso, Cass., 17 aprile 2008, n. 25129;Id., 17 marzo 2010, n. 14862; Id., 12 ottobre 2011, n. 1894. In senso contrario, tuttavia, cfr. Cass., 14 novembre 2007, n. 3052.
In argomento, cfr. P. Dell’Anno, Responsabilità penale dell’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti a titolo di concorso con l’emittente: una sentenza “creativa” della Corte di cassazione, in “Cass. pen.”, 2004, pag. 1051.
(3) Così Cass., 17 aprile 2008, n. 25129.
(4) Cfr., sostanzialmente nella stessa direzione, P. Formica, L. Peruzzu, Voluntary disclosure internazionale: profili applicativi e prime considerazioni, in “il fisco” n. 46/2014, pag. 4558.
(5) E si vedano, per tutti, G. Izzo, Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in “il fisco” n. 23/2000, pag. 7554; V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano, 2000, pag. 195.
(6) Sia consentito fare rinvio a A. Perini, voce Reati tributari, in “Digesto disc. pen.”, Aggiornamento*******, Torino, 2013, pag. 501.
(7) Cass., 6 febbraio 2008. Più cautamente, sempre sul tema della potenziale rilevanza della costituzione di un fondo patrimoniale, cfr. Cass., 4 aprile2012, n. 40561. Per la ritenuta sussistenza di tale fattispecie nell’ambito di un’operazione di lease back, cfr. Cass., 9 aprile 2008. E cfr. altresì Cass., 17 giugno 2009, in un caso di trasferimento – ritenuto simulato – di un immobile ad una società il cui legale rappresentante è il coniuge convivente del contribuente. Per la rilevanza di “più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire a nuovi soggetti societari immobili”, cfr. Cass., 18 maggio2011.
In generale, sulla rilevanza di qualsiasi atto idoneo ad ostacolare il soddisfacimento del fisco, cfr. la recentissima Cass., 20 novembre2014, n. 48424.
Cfr. altresì, Cass., 3 luglio 2012, secondo la quale la mera condotta di prelievo, anche integrale, di somme di denaro depositate su di un conto corrente bancario non integra, di per sé, l’elemento oggettivo del delitto in esame.
(8) E’ interessante osservare come la norma sul condono fiscale prevedesse anche la non punibilità di tutta una serie di reati contro la fede pubblica ( artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 c.p.) che, evidentemente, il legislatore odierno ha invece ritenuto disgiunti dall’evasione fiscale o, in alternativa, meritevoli di conservare intatta la loro punibilità.
(9) Si vedano, in argomento, per tutti, R. Bricchetti, Riciclaggio e auto-riciclaggio, in “Riv.it.dir.proc.pen.”, 2014, pag. 684 e ss.; F. D’Arcangelo, Fondamento e limiti della non punibilità dell’autoriciclaggio, in “Indice pen.”, 2014, pag. 301 ss.
(10) Per decidere, quindi, se sussista un autoriciclaggio eventualmente divenuto non punibile o un trasferimento fraudolento di valori che conserva immutata la propria punibilità.
(11) Sul punto, assumono un certo interesse alcune pronunce del Tribunale di Palermo, rese in sede di riesame, laddove il Tribunale ha escluso la rilevanza exart. 12-quinquies del D.L. n. 306/1992, di una operazione di donazione e di successiva locazione di un immobile (si vedano, sul punto, le pronunce citate da E. Belfiore, La legalità ripristinata: a proposito del delitto di trasferimento fraudolento di valori, in “Riv. pen.”, 2009, pag. 421 ss., part. 423).
(12) Si vedano, in argomento, A.M. Maugeri, La confisca allargata: dalla lotta alla mafia alla lotta all’evasione fiscale?, in Penalecontemporaneo.it; G. Putzu, R. Lupo, Le misure di prevenzione in materia di reati tributari, in “Riv. Guardia di fin.”, 2013, pag. 1755 ss.; A. Tadini, Confisca di prevenzione ed evasione fiscale, in “Resp. amm. soc. enti” n. 4/2014, pag. 53 ss., al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali (cfr., part. nota 27). In particolare, ricorda Tadini come diverse pronunce della Cassazione siano “concordi, con riferimento al condono tombale ex legge 413/1991, nel ritenere che l’adesione a tale iter amministrativo nulla comporta in tema di confiscabilità dei proventi dell’evasione fiscale, posto che quelle procedure, a seguito delle quali le somme non dichiarate entrano lecitamente nel patrimonio in indagine, non modificano l’originale illiceità del comportamento grazie al quale esse si sono accumulate” (A. Tadini, op. loc. cit., pag. 61).
Nella giurisprudenza, cfr. Trib. Chieti, 12 luglio 2012, in Penalecontemporaneo.it, con nota redazionale, Un caso di applicazione di misure di prevenzione, personale e patrimoniale, nei confronti di un “evasore fiscale socialmente pericoloso”.
(13) Cass., SS.UU., 29 luglio 2014, n. 33451, secondo cui “ai fini della confisca di cui all’ art. 2-ter della L. n. 575/1965 (attualmente art. 24 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, non deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale”.