Solveig Cogliani, Amministrazione pubblica – comunità europea la nozione di pubblica amministrazione tra diritto interno e diritto comunitario, in Giornale Dir. Amm., 2000, 10, 975
Amministrazione pubblica – comunità europea la nozione di pubblica amministrazione tra diritto interno e diritto comunitario
Sommario: Nozione comunitaria e diritto interno – Conclusioni
Il caso
La pronunzia è di estremo rilievo, poiché la Corte di Strasburgo si collega alla cospicua giurisprudenza comunitaria, sulla definizione unitaria della nozione di pubblica amministrazione, in una causa riguardante l’applicabilità del diritto ad ottenere la tutela giudiziaria in tempi ragionevoli.
Il ricorrente, cittadino francese, era stato reclutato per contratto, in qualità di Consigliere tecnico del Ministro dell’economia, della pianificazione e del commercio della Guinea equatoriale, per stabilire il budget degli investimenti dello Stato nel 1990 e partecipare all’elaborazione di un piano triennale e del programma di investimento pubblico insieme ai funzionari guineani.
A fronte della decisione del Ministero di non rinnovare il contratto, l’istante proponeva ricorso dinanzi al giudice amministrativo francese. Ed invocava l’art. 6.1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, al fine di ottenere una decisione in tempi ragionevoli. La Commissione portava la questione dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e questa escludeva l’applicabilità della norma menzionata, con la motivazione riportata all’inizio.
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La Corte di Strasburgo muta completamente l’orientamento espresso dai propri precedenti, richiamando, invece, la giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità Europea.
Nei casi esaminati in passato, infatti, la Corte, sulla base della constatazione che il diritto degli Stati membri, per lo più, prevede una distinzione tra dipendenti pubblici e dipendenti privati, aveva differenziato le controversie azionate dai primi per questioni «puramente patrimoniali» (1) o «essenzialmente patrimoniali» (2) da quelle aventi ad oggetto «prerogative discrezionali dell’amministrazione» (3).
Solo le prime venivano considerate come aventi ad oggetto un diritto civile ed in quanto tali coperte dalla tutela di cui all’art. 6.1, convenzione (4). Tuttavia la Corte di Strasburgo evidenzia le difficoltà connesse al tipo di interpretazione seguita, soprattutto in merito all’incertezza nella distinzione di controversie aventi o meno conseguenze sul piano patrimoniale.
Così, abbandonando la strada sinora percorsa, adotta il «criterio funzionale basato sulla natura dei compiti e della responsabilità esercitata dal dipendente».
Pubblica amministrazione in senso stretto
La decisione offre interessanti spunti di riflessione. In primo luogo, viene affermato che il concetto di amministrazione pubblica deve essere determinato attraverso il «criterio funzionale», come già indicato nelle pronunzie della Corte di giustizia, che avevano precisato lo spazio di applicazione dell’art. 39 ( ex 48) del Trattato istitutivo della Comunità europea (5).
La Corte, nel delimitare l’ambito soggettivo di vigore dell’art. 6.1. della Convenzione europea dei diritti dell’uomo(6), esclude che la tutela del diritto ad un giusto processo possa trovare applicazione nei confronti dell’agente pubblico che svolga «attività specifiche dell’amministrazione pubblica». Siffatta specificità è individuata nell’agire «come detentrice del potere pubblico incaricato della salvaguardia di interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche».
Due sono, dunque, gli elementi caratterizzanti la pubblica amministrazione: l’esercizio di pubblici poteri e la cura di interessi generali.
La nozione, così definita, ricalca quella elaborata dalla Corte di giustizia europea, per la quale la deroga alla libertà di circolazione nella Comunità, di cui all’art. 39 ( ex 48) del Trattato, riguarda «posti che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio dei pubblici poteri» e «mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche» (7).
Tuttavia, dall’esame letterale della pronunzia in oggetto, il «criterio funzionale», posto a fondamento della decisione, assume un significato particolare.
Infatti, se, in passato, la Corte di giustizia aveva precisato che l’interpretazione della nozione di pubblica amministrazione di cui all’art. 48 del Trattato era funzionale alla norma , respingendo, così l’eccezione relativa alla presenza, nell’ordinamento comunitario, di altre definizioni (come quella contenuta nella direttiva in tema di appalti pubblici) (8), nella decisione in esame il termine «funzionale» serve quale criterio di identificazione dell’amministrazione pubblica, sulla base della «natura delle funzioni e della responsabilità esercitate dall’agente». In tale contesto vengono in mente concetti propri della dottrina interna.
Come più volte affermato in dottrina (9), la pubblicità dell’amministrazione non può essere dedotta dal riferimento ad un soggetto-persona giuridica pubblica, essa deriva piuttosto da un elemento interno all’amministrazione stessa, ovvero dal modo in cui è regolata la funzione e dalla disciplina dei suoi fini. In tale ambito, l’esercizio del pubblico potere deve essere inteso come funzionalizzato alla cura di interessi generali della collettività. Al criterio funzionale se ne accompagna, poi, uno sostanzialistico, già più volte prescelto dalla Corte di giustizia (10), in forza del quale la natura di pubblica amministrazione non è connesso al regime giuridico del soggetto. Infatti, esula dal diritto comunitario la distinzione, rilevante per il diritto interno, tra ente pubblico ed ente privato (11).
Neppure appare determinante, ai fini della definizione, la differenza tra perseguimento degli interessi dello Stato o di altra collettività pubblica.
Nella fattispecie in esame, la Corte di Strasburgo fa ricorso alla tecnica della definizione, per determinare il concetto di pubblica amministrazione in senso stretto. E tale tecnica è utilizzata per delimitare la deroga alla tutela del diritto sancito dall’art. 6.1., nello stesso modo in cui essa era già servita a circoscrivere l’eccezione all’applicabilità dei principi fondamentali del Trattato.
A riguardo deve sottolinearsi che i due elementi individuati appaiono coessenziali alla delimitazione della nozione di pubblica amministrazione in senso stretto. Infatti, alla luce dei recenti sviluppi del diritto comunitario e interno, il perseguimento di interessi generali costituisce indice di pubblicità, ma di per sé è insufficiente alla definizione dell’amministrazione in senso stretto, come qui delineata. Non può prescindersi dal richiamare la figura, legalmente determinata in sede comunitaria, al fine dell’individuazione delle amministrazioni aggiudicatrici, per superare la lacunosa definizione, contenuta nella prima direttiva in materia di appalti pubblici di opere, 71/305/CEE. Tale normativa, infatti, era circoscritta allo Stato, agli enti pubblici territoriali ed alle persone giuridiche enumerate tassativamente nell’all. I (12). In tale ambito rimanevano fuori dalla disciplina i soggetti non qualificabili come pubblici, all’interno dei singoli Stati, una valutazione puramente formale. Sicché, con la direttiva 89/440/CE (13) e la successiva 93/37, era introdotta la nozione di «organismi di diritto pubblico» ovvero di soggetti caratterizzati dalla personalità giuridica, dalla finalizzazione al soddisfacimento di bisogni di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale e dal finanziamento pubblico (14).
La normativa sugli appalti si propone di estendere l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina posta a garanzia della concorrenza e della par condicio nell’ambito comunitario.
Opposto è l’intento di delimitazione della deroga all’applicabilità dei principi fondamentali e dei diritti discendenti dalla cittadinanza europea.
L’elemento di differenziazione tra le due nozioni di amministrazione pubblica pare debba essere individuato nell’esercizio del pubblico potere. Entrambe sono in funzione della delimitazione del c.d. Bill of rights , scritto e non, della Comunità (15): l’una non suscettibile di interpretazione estensiva, poiché finalizzata a stabilire la portata di una norma eccezionale, l’altra tesa ad allargare l’ambito di applicabilità dei principi della concorrenza e della trasparenza del mercato.
Tuttavia, nonostante lo sforzo definitorio operato in sede comunitaria, la difficoltà di stabilire, in concreto, la nozione di amministrazione pubblica in senso stretto, ha fatto sì che si rendesse necessario il ricorso al criterio enumerativo di identificazione, in forza del quale sono stati individuati i settori della difesa, della sicurezza, delle finanze , della giustizia, degli affari esteri e del controllo della moneta, mentre sono stati esclusi quelli relativi ai servizi commerciali, alla sanità, alla scuola ed alla ricerca (16).
La Corte di Strasburgo, in realtà, se da un lato sembra accogliere la nozione di pubblica amministrazione in senso stretto già elaborata in sede comunitaria sottolinea, quale elemento di identificazione la specificità dell’attività svolta dal soggetto. Sembra, pertanto, che in sede di determinazione dell’ambito della deroga all’applicazione dell’art. 6.1 cit., la Corte ponga l’accento sui compiti e sulle responsabilità specifiche assegnate al soggetto.
Tale criterio sostanzialistico, secondo una tendenza interpretativa già inaugurata in sede comunitaria, comporta due conseguenze logiche. In primo luogo appare identificabile un nuovo concetto di pubblica amministrazione in senso stretto, ancora più delimitata rispetto alla nozione elaborata in sede comunitaria relativamente all’applicazione del principi del trattato e funzionale unicamente all’esclusione dell’invocabilità del diritto di cui all’art. 6.1 della Convenzione.
In secondo luogo, in forza della predetta definizione, risultano identificabili, nell’ambito della pubblica amministrazione individuata per settori, come sopra indicati, alcuni agenti dotati di particolare responsabilità, in qualche modo immedesimabili con l’ente di appartenenza. Alla luce delle svolte considerazioni rimane da chiedersi se la linea interpretativa seguita dalla Corte di Strasburgo costituisca l’espressione di un nuovo generale indirizzo comunitario.
Cosicché anche ai fini, sopra evidenziati, della definizione del concetto di pubblica amministrazione in senso stretto dovrebbe aversi maggior riguardo al posto ricoperto dall’agente, nell’ambito dei settori identificati come espressione di attività specifiche della pubblica amministrazione. Già nella sopra richiamata pronunzia della Corte di giustizia si era in qualche modo introdotto un duplice criterio definitorio, ovvero per un lato quello della specificità dei posti e per l’altro quello dei settori. Così nella sentenza 2 luglio 1996 la Corte di giustizia aveva affermato che per verificare la presenza di una p.a. in senso stretto si deve accertare se i posti «siano o no caratteristici dell’attività specifica della pubblica amministrazione in quanto incaricata dell’esercizio dei pubblici poteri e responsabili della tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche. Per questo motivo il criterio per l’applicazione dell’art. 48, c. 4, del trattato deve essere funzionale e tener conto della natura dei compiti e delle responsabilità inerenti al posto, al fine di evitare che l’effetto utile e la portata delle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori e alla parità di trattamento dei cittadini di tutti gli Stati membri siano limitate da interpretazioni della nozione di pubblica amministrazione tratte dal solo diritto nazionale e che ostino all’applicazione della norma comunitaria» (17).
Tuttavia , la Corte, adoperava tale ragionamento per escludere che uno Stato Membro possa «in via generale, assoggettare la totalità dei posti rientranti nei settori considerati – distribuzione dell’acqua, del gas e dell’elettricità (ovvero diversi da quelli identificati dalla Commissione) – a un requisito di cittadinanza, senza oltrepassare i limiti della deroga prevista dall’art. 48, n. 4, del trattato». La circostanza che taluni posti nei settori indicati possono rientrare nella previsione della deroga soggiace ad un particolare onere di motivazione da parte dello Stato. Tornando alla fattispecie oggetto della pronunzia della Corte di Strasburgo sembra che l’esclusione dell’esplicabilità dell’art. 6.1 della Convenzione non possa prescindere da un esame concreto della responsabilità e dei poteri attribuiti all’agente, pur questo comunque operante in un settore identificato come tipico dell’ attività specifica della p.a.. C’è, pertanto, da chiedersi se questa interpretazione con tendenza restrittiva e strettamente sostanzialistica vada estesa anche all’esame dei casi di applicazione della deroga di cui all’art. 39 ( ex 48), c. 4 del trattato, dovendosi così procedere in ogni caso alla verifica in concreto dei «posti» come dotati di specifica responsabilità anche se rientranti nei settori e poteri della difesa della finanza, della sicurezza, della giustizia, degli affari esteri e del controllo della moneta.
A favore di tale interpretazione sta, quanto, peraltro, evidenziato dalla stessa Corte di giustizia, ovvero la non illegittima estensione delle deroghe ai principi del trattato. Di contro, però, non possono non nascondersi le preoccupazioni dell’aleatorietà della mancanza di criteri generali di riferimento. Un’indagine connessa all’analisi concreta dei posti ricoperti, tuttavia offre sicuri benefici in un settore come quello del controllo della moneta in cui si intersecano potestà pubbliche e rapporti più tipicamente di stampo privatistico.
Nozione comunitaria e diritto interno
Giova soffermarsi su quello che si è individuato quale elemento differenziatore: l’esercizio del pubblico potere. Esso, infatti, non è richiesto, in sede comunitaria, ai fini dell’identificazione di un’amministrazione aggiudicatrice. Il giudice nazionale (18) ha dovuto discostarsi dai precedenti orientamenti (19), che si fondavano sulla natura potestativa dell’atto emanato e, conseguentemente, sulla potestà autoritativa, tipica dell’atto-provvedimento, capace di incidere sulla posizione del soggetto, differentemente dagli atti posti nell’ambito di relazioni paritetiche proprie del diritto privato.
La giurisprudenza comunitaria fa ricorso, invece, al concetto di esercizio di pubblico potere nel delimitare la portata derogatoria delle norme a cui si è fatto cenno.
C’è da chiedersi se a tal riguardo debba farsi riferimento, nel delineare il concetto di pubblico potere, all’esercizio di una potestà autoritativa, quale modello tipico, per il diritto interno, dell’azione amministrativa. Tuttavia, non sembra lecito trasferire in ambito comunitario categorie meramente appartenenti al diritto interno.
Ma le due diverse nozioni, sopra esaminate, di pubblica amministrazione appaiono richiamare la distinzione elaborata dal diritto interno tra funzione e servizio pubblico, ovvero tra attività necessaria al funzionamento della collettività e, dunque, in gestione pubblica necessaria ed altre attività, che sono pubbliche o perché affidate ad un soggetto pubblico o perché relative ad interessi pubblici (20).
Difesa, finanza, sicurezza, giustizia, affari esteri e controllo della moneta, risultano, infatti, essere quei settori di esercizio di funzioni necessarie all’amministrazione pubblica, indirizzate all’interesse generale, individuate comunemente per tutti gli Stati membri. Tale individuazione non è condizionante in termini di organizzazione delle funzioni stesse, ma costituisce la misura della deroga al diritto comune europeo. Da un lato, di certo, essa ha una connotazione storica, che la rende suscettibile di evoluzioni. Dall’altro, nel contesto interno, essa corrisponde per lo più con la parte di pubblica amministrazione che agisce attraverso atti autoritativi.
La riforma del pubblico impiego, contenuta nel d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo risultante dalle successive modifiche, sembra aver recepito la distinzione tra amministrazione in senso stretto ed amministrazione in senso lato, sopra esaminata. Il criterio adottato è quello dell’enumerazione. Da un lato, infatti, l’art. 1, c. 2, si rifà ad un concetto allargato di pubblica amministrazione, dall’altro l’esclusione dall’applicazione della privatizzazione del personale militare, della carriera diplomatica e prefettizia, nonché dei dipendenti degli ordinamenti di tutela del credito e del risparmio e della concorrenza, appare ripetere l’enumerazione fatta dalla Commissione in sede comunitaria. Pertanto, l’area che rimane, nel diritto interno, non coinvolta dalla privatizzazione corrisponde con quella individuata, nella Comunità, come derogatoria alla disciplina comune.
La scelta operata dal nostro legislatore con la novella, di cui al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, di includere nella riforma anche la dirigenza generale, fa pensare al ricorso, nell’individuazione della amministrazione in senso stretto, alla tecnica dei settori, già usata dalla Commissione, come detto.
La prima versione del d.lgs. n. 29/1993 aveva, infatti, lasciato nel dominio dello statuto pubblicistico la dirigenza generale, in qualche modo individuando in essa, una prossimità con lo Stato, tale da non poter essere disciplinata in termini privatistici, attraverso la contrattazione.
L’aera delimitata dal diritto interno non corrispondeva pienamente con quella delimitata dal diritto comunitario, quando la Corte di giustizia, come visto, sembrava aver adottato un criterio fondato sulla individuazione di settori caratterizzati dalla specificità dell’attività svolta, ammettendo al fuori di essi delle eccezioni, in forza di specifiche prove fornite dagli Stati.
Invece, con il d.lgs. n. 80 cit. e, poi, con il d.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150, recante la costituzione del ruolo unico della dirigenza pubblica, la questione è stata semplificata, poiché nel ruolo unico sono confluiti tutti i dirigenti, ad esclusione solo delle categorie che rimangono sottoposte alla disciplina pubblicistica (diplomatici, prefetti, forze di polizia e forze armate), nonché i dirigenti delle autorità amministrative indipendenti, disciplinati dai rispettivi ordinamenti (21).
Conseguentemente, è possibile individuare una coincidenza tra le aree delimitate in ambito comunitario, con la tecnica dell’enumerazione, e nel diritto interno di pubblica amministrazione in senso stretto. Tuttavia, un nuovo problema si pone oggi alla luce della pronunzia qui esaminata, ove si voglia ad essa attribuire il significato di espressione di una nuova interpretazione in ambito comunitario, fondata non esclusivamente sul criterio dei settori ma su quello sostanzialistico del posto. Non può , infatti, trascurasi la circostanza, ben evidenziata in dottrina, dell’influenza che gli organismi sopranazionali esercitano sul diritto amministrativo nazionale (22), dettando una disciplina, non solo attraverso le fonti scritte ma anche per mezzo della giurisprudenza, secondo una tradizione più propriamente anglosassone. Qualche incertezza, dunque, sorge nel momento in cui si consideri preminente, in ambito comunitario , il criterio sostanzialistico. Per fare un solo esempio viene da chiedersi se nel novero di pubblica amministrazione in senso stretto debbano essere ricompresi anche i militari che svolgano funzioni meramente esecutive. Ed, ancora che tipo di impatto possa avere l’affermazione incidentale contenuta nella pronunzia della Corte in ordine alla qualificazione delle posizioni soggettive dei c.d. «agenti pubblici» che azionino pretese nel confronti dello Stato, a fronte di un rapporto di lavoro.
Da un lato, infatti, nel diritto interno si è riconosciuta la qualificazione di diritti soggettivi in capo ai lavoratori dell’amministrazione in senso lato, a seguito della privatizzazione, per tutto ciò che attiene il rapporto di lavoro disciplinato da fonte contrattuale.
Rimane sottratta alla tutela in sede ordinaria solo ciò che sta a monte del rapporto, attenendo alla sfera organizzativa della p.a.. Dall’altro, però, per quanto riguarda i settori esclusi dalla privatizzazione voluta dal legislatore del 1993 ( con le modifiche del 1998) il permanere della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo permette di individuare comunque controversie attinenti a questioni incidenti su diritti soggettivi e controversie relative alla lesione di interessi legittimi. In generale, per quanto concerne per esempio le pretese patrimoniali, la tutela dei dipendenti pubblici offerta dall’ordinamento ha avuto una lenta equiparazione, sia dal punto di vista sostanziale che processuale, a quella dei lavoratori privati. In tale senso depongono ad es. l’inapplicabilità del termine di decadenza tipico del processo impugnatorio ed, invece, la vigente della disciplina della prescrizione, la possibilità del giudice amministrativo di condannare l’amministrazione al pagamento di somme di denaro pur permanendo talune differenze attinenti alla specificità del rapporto (23). Di fronte della prospettata evoluzione dell’ordinamento nazionale, si pone l’affermazione fatta ora dalla Corte di Strasburgo secondo la quale non rientrerebbe nell’ambito dei diritti civili, tutelati dall’art. 6.1 della Convenzione la pretesa azionata dall’agente pubblico che agisca nell’esercizio dei pubblici poteri per il soddisfacimento di interessi generali.
E tale affermazione giunge proprio in riforma della destinazione dapprima adottata tra azioni per pretese patrimoniali e controversie relative al questioni in cui si sia esplicata la discrezionalità amministrativa. Tali problematiche sono aperte ed appare lecito avanzare il sospetto che sia necessaria una riflessione da parte della Corte dei diritti dell’uomo, anche alla luce delle discipline vigenti nei singoli Stati membri.
Conclusioni
Ciò che suscita talune perplessità è il fatto che la Corte di Strasburgo motivi la necessità dell’esposta delimitazione soggettiva dell’applicabilità della norma, unicamente sulla base della incertezza del criterio dapprima adottato, mentre, in tema di limitazione della libertà di circolazione dei lavoratori, la deroga al principio trae origine e ragione dalla necessità di preservare lo spazio di sovranità degli Stati membri.
Alla luce di quanto sopra evidenziato,la conclusione negativa alla quale perviene la Corte appare contrastante con la distinzione tra il rapporto organico di immedesimazione tra l’organo ed il soggetto ad esso preposto ed il rapporto di servizio, in forza del quale si individua lo stato giuridico delle singole unità di personale, fatto di diritti ed obblighi reciproci. Infatti, in una lite insorta tra l’amministrazione pubblica ed il suo agente, in merito al rapporto, sembrerebbe doversi prescindere dalla particolare relazione di immedesimazione attinente allo svolgimento della funzione.
La Corte, invece, individua un’area franca, nella quale il soggetto non avrebbe diritto di invocare l’art. 6.1. della Convenzione (24).
Paradossalmente, la decisione in contrasto con l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, tesa peraltro sempre di più all’equiparazione dal punto di vista processuale della tutela delle diverse posizioni soggettive che si assumono lese come da ultimo evidenziato da Consiglio di Stato (25). In realtà la decisione della Corte sembra evocare, nella qualificazione della posizione soggettiva dell’agente pubblico come non rientrante tra i diritti civili di cui al menzionato art. 6.1, la figura per noi nota dell’interesse legittimo, proprio in un momento in cui il nostro legislatore e la giurisprudenza, proprio sulla base dello stimolo dell’azione comunitaria, tendono ad accordare una più ampia tutela a tale situazione giuridica (26).
Né pare potersi invocare nella fattispecie in esame, la categoria degli interessi legittimi, specifici del nostro ordinamento, per ritenere che questi non siano ricompresi nell’ambito di tutela dell’art. 6.1.
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(1) V. Corte europea dei diritti dell’uomo, De Santa c. Italia , Abenavoli c. Italia, 2 settembre 1997, in Racc. 1997 – V, rispettivamente 1663, par. 18, 1967, par.21 e 1703 par.18, cit. nella pronunzia in esame
(2) V. Corte europea dei diritti dell’uomo, Nicodamo c. Italia, 2 settembre 1997, in Racc. 1997 – V, 1703 par. 18, cit. nella pronunzia in esame.
(3) V. per la distinzione, tra le altre, Benkessiover c. France, 24 agosto 1998, in Racc., 1998 – V, 2287, par.par. 29 – 30 ; Covez c. Francia, 24 agosto 1998, in Racc., 1998 – V, 2265, par. 25, cit. nella pronunzia in esame.
(4) V. sul punto S. Cassese , relazione introduttiva al Convegno su Diritto amministrativo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, svoltosi il 18 aprile 2000 presso l’Università «La Sapienza» di Roma, e, sui precedenti della corte di Strasburgo, relazione di Carlo Gallo, allo stesso convegno.
(5) V. Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 2 luglio 1996, Causa C- 473/93, Commissione c. Granducato del Lussemburgo, Causa C- 173/94, Commissione c. Regno del Belgio, Causa C-290/94, Commissione c. Repubblica ellenica – Rel. P. Jou, Avv. Gen. P. Leger, con commento di S. Cassese, La nozione comunitaria di pubblica amministrazione, in questa Rivista , 1996, 10, 915 ss.
(6) Recita l’art. 61 cit. « Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement, publiquement et dans un délai raisonnable, par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera son des contestations sur ses droits et obligations de caractére civil, soit du bien – fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle… .
(7) V. nota 1.
(8) V. S. Cassese, La nozione…,op. cit., 921
(9) V. S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Torino, 1989, 24 e ss. ed id., Milano, 2000, 46 e ss..
(10) V. S. Cassese, La nozione…,op. cit..
(11) V., in tema di appalti, F. Chiti, La nozione di ente pubblico tra disciplina comunitaria e disciplina nazionale , in questa Rivista , 1996, 8, 736 ss; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1267, caso Ente Fiera di Milano, con commento di G. Pasquini, Un revirement sull’organismo di diritto pubblico: il caso Ente Fiera di Milano, in questa Rivista , 1999, 1, 17 ss.
(12) Ovvero « le associazioni di diritto pubblico costituite dagli enti pubblici territoriali, come le associazioni di Comuni, i consorzi intercomunali, i Gemeindeverbaende» ed in Italia « le università statali, i consorzi per i lavori interessanti le università, gli istituti superiori scientifici e culturali, gli osservatori astrofisica, gli enti di riforma fondiaria, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza»; cfr., per un’attenta disamina della materia, La nuova legge quadro sui lavori pubblici, F. Caringella (a cura di ), Milano, 1999, 56 ss.
(13) V. S. Cassese, I lavori pubblici e la direttiva comunitaria n.440/1989, in Foro Amm., 1989, 3518 e ss.
(14) V., sul tema, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 settembre 1998, n. 1267, cit. Corte di giustizia delle Comunità europee, 10 novembre 1998, Causa C-360/96, con commento di C. Nizzo, L’organismo di diritto pubblico nella direttiva 92/50/CEE, ibidem, 1999, 4, 316 e ss.; Consiglio di Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, con commento di C. Gruccione,Gli organismi di diritto pubblico nuovamente al vaglio del Consiglio di Stato, ibidem, 1999, 3, 209 ss.
(15) V., per un approfondito esame in tema di diritti fondamentali in ambito comunitario, M. P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 1999, 55 e ss
(16) V. Comunicazione della Commissione dell’Unione 88/C72/02
(17) V. F. Chiti, op. cit, 200
(18) V. Consiglio di Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n.1478, cit.
(19) V. per tutte, Corte di Cassazione, sez. un., 29 dicembre 1990, n. 12221, in Foro Amm., 1991, 655 ed id., 4 gennaio 1993, n. 3, in Rass. Giur. Energia elettrica, 1994, 471
(20) V. S. Cassese, Le basi…,op. cit, 81 e ss.
(21) V. sul tema, il Decreto Presidente della Repubblica 26 febbraio 1999, n.150 « Regolamento recante la disciplina delle modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo. E della banca dati informativa della dirigenza, nonché delle modalità di elezione del Comitato dei Garanti», con commento di A. Stancanelli, Il ruolo unico della dirigenza dello Stato,in questa Rivista , 1999, 9, 821 e ss..
(22) V. S. Cassese, relazione cit..
(23) V. ad esempio la problematica delle mansioni superiori , nella soluzione negativa in ordine alla spettanza, Consiglio di Stato , Ad. Plen., 28 gennaio 2000, n. 10 in Il Consiglio di Stato, 2000, 1, 11 ss. Ed id., 18 novembre 1999, n. 22, ibid., 1999, I, 1813
(24) V. da ultimo, specificatamente sul tema, con un approfondimento delle perplessità qui accennate, A. Sonaglioni, Giusto processo, pubblico impiego e diritto europeo: fine delle incertezze?,in Il Corriere giuridico, 2000, 3, 304 ss.
(25) V. Consiglio di stato, Ad. Plen., 30 marzo 2000, n. 1.
(26) V. F. Chiti, op. cit, 412 e ss.