Andrea Perini, Profili penali dei condoni fiscali previsti dalla “Finanziaria 2003”, in Rass. Tributaria, 2003, 2, 558
Profili penali dei condoni fiscali previsti dalla “Finanziaria 2003”
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Le “cause ostative penali” ai condoni fiscali previsti dalla “Finanziaria 2003” – 2.1. I reati tributari non richiamati – 2.2. Il problema dell’efficacia ostativa di procedimenti relativi a reati commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74/2000 – 2.3. La connessione tra i delitti tributari ed i reati societari e di falso richiamati dagli artt. 8 e 9, della L. n. 289/2002 – 2.4. I reati “non ostativi” – 2.5. L’esercizio dell’azione penale – 2.6. (Segue): la “formale conoscenza” dell’esercizio dell’azione penale: questioni interpretative – 2.6.1. La “formale conoscenza” in presenza di responsabilità amministrativa dell’ente – 2.6.2. La “formale conoscenza” qualora il “contribuente”-persona giuridica sia persona offesa dal reato – 2.6.3. La formale conoscenza “impossibile”, ovvero dell’assenza di preclusioni penali al condono del contribuente-persona giuridica: prime conclusioni e rinvio – 3. La “non punibilità'” conseguente ai condoni fiscali: le fattispecie “non punibili” – 3.1. I confini dell'”ombrello penale” concesso dai condoni: reati contro la Pubblica Amministrazione, reati societari, bancarotta e appropriazione indebita – 3.2. Rilievi sulla natura della “non punibilità” conseguente al perfezionamento dei condoni fiscali – 3.3. Potenziali profili di incostituzionalità dei condoni fiscali legati alla “non punibilità”: il problema della “formale conoscenza” nell’ambito dei contribuenti persone giuridiche. Possibili “letture alternative” della disciplina – 3.3.1. La tesi della “formale conoscenza” conseguita attraverso forme atipiche – 3.3.2. La tesi che separa gli effetti del condono della società dalla “non punibilità” in capo all’amministratore – 3.3.3. La mancanza di una norma che coordini i rapporti tra il contribuente e la persona fisica autrice dell’illecito penale – 3.3.4. Rilievi conclusivi: la probabile incostituzionalità della disciplina – 4. Note conclusive.
1.1 Premessa – Come di consuetudine, nei momenti “finanziariamente difficili” il legislatore non riesce a rinunciare a provvedimenti di “emergenza” dal forte gettito quali i condoni fiscali. Ed appare ormai inutile, perlomeno in questa sede, soffermare l’attenzione sulle note polemiche che solleva tale prassi (1), capace di trasformare il contribuente fedele in uno sfrontato “non condonante”, per giunta minacciato da un’Amministrazione finanziaria che si vede prolungati i termini di accertamento (2) (a dispetto dell’art. 3, comma 3, dello Statuto del contribuente) e preannuncia controlli “a tappeto” in capo a chi avesse l’ardire di sottrarsi a codeste sanatorie. In sostanza, torna a fare capolino l’identificazione del contribuente scrupoloso con il “povero allocco” (3).
In questa “kermesse perdonistica”, particolarmente meritevole di sottolineatura è invece l’impatto penalistico dei vari condoni introdotti dalla legge “Finanziaria 2003” e, infine, “posti a regime” (dopo numerosi “ritocchi”) dalla L. 21 febbraio 2003, n. 27. In tali provvedimenti, l’intreccio con il sistema penale appare duplice: da un lato, infatti, la commissione di fatti di reato può impedire l’accesso a tali sanatorie; sull’altro versante, invece, il perfezionamento delle sanatorie comporta la “non punibilità” per talune fattispecie penali.
Ed è proprio all’approfondimento di questi due aspetti della “Finanziaria 2003” che vale la pena dedicare alcune, prime, riflessioni.
2. Le “cause ostative penali” ai condoni fiscali previsti dalla “Finanziaria 2003” – Come si accennava, un primo punto di contatto tra la disciplina dei diversi condoni introdotti dalla legge Finanziaria ed il sistema penale è dato dalla natura preclusiva che l’esercizio dell’azione penale per talune fattispecie di reato riveste rispetto alla possibilità di accedere alle sanatorie.
Ben quattro, infatti, sono gli istituti il cui accesso è condizionato al mancato esercizio dell’azione penale, vale a dire:
– la “Definizione automatica di redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione” (cosiddetto “concordato di massa”) di cui all’art. 7;
– la “Integrazione degli imponibili per gli anni pregressi” (cosiddetta “dichiarazione integrativa”) di cui all’art. 8;
– la “Definizione automatica per gli anni pregressi” (meglio nota come “condono tombale”) di cui all’art. 9;
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– la “Definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione” (anch’essa ribattezzata nella prassi come “definizione delle liti potenziali”) di cui all’art. 15.
Sostanzialmente identica, in tutte e quattro le sanatorie, è la formula con la quale il legislatore riconosce efficacia preclusiva all’esercizio dell’azione penale, anche se – singolarmente – a mutare è il novero di quelli che potremmo sinteticamente definire come “reati ostativi”.
Invero, con riferimento al “concordato di massa” di cui all’art. 7, il comma 3, lettera d), dispone che non possano avvalersi di tale sanatoria quei soggetti “nei cui riguardi è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di definizione automatica”.
Dunque, attribuzione di rilievo ai soli (ma a tutti i) reati fiscali, esercizio dell’azione penale e formale conoscenza – in capo al contribuente – di tale esercizio: è questo il modello normativo di riferimento, non privo – come si vedrà – di asperità interpretative. Modello normativo che è comunque ricalcato puntualmente dal comma 1 dell’art. 15, in materia di “definizione delle liti potenziali”: stesso novero di “reati ostativi” e medesimo rilievo all’esercizio dell’azione penale.
Le uniche varianti su questo tema le ritroviamo negli istituti disciplinati dagli artt. 8 e 9 (rispettivamente “dichiarazione integrativa” e “condono tombale”), nei quali – come si accennava – a mutare è il novero dei reati ostativi. Ricorrendo, infatti, alla tanto vituperata tecnica del rinvio, l’art. 8, comma 10, lettera b), rimanda al comma 6, lettera c), per ribadire – in modo sostanzialmente ultroneo – quanto già emerge chiaramente dalla lettura del medesimo comma 6, lettera c), vale a dire che ad assumere efficacia ostativa alla sanatoria sono:
– i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74;
– i reati previsti dagli artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, quando siano stati commessi per eseguire od occultare i reati tributari di cui al punto precedente, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria;
– i reati societari di cui agli artt. 2621, 2622 e 2623 del codice civile, sempre che siano nel medesimo rapporto di connessione con i reati tributari previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del D.Lgs. n. 74/2000.
Identica, sul punto, la formulazione dell’art. 9 e, in particolare, dei commi 10, lettera c), e 14, lettera b), con perfetta coincidenza dei “reati ostativi”.
Come si accennava in precedenza, quindi, in prima approssimazione si può constatare come le quattro cause ostative di natura penale manifestino tre profili di particolare rilievo ed in larga parte coincidenti: individuazione di taluni reati ostativi, avvio di un procedimento penale per tali reati che sia giunto allo stadio “dell’esercizio dell’azione penale” e formale conoscenza – in capo al “contribuente” – che il procedimento penale è giunto a tale stadio.
L’unico punto di non perfetta coincidenza nei quattro istituti che contemplano cause ostative di natura penale è quindi ravvisabile nel novero dei reati ostativi: tutti e soltanto i reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 per le sanatorie di cui agli artt. 7 e 15, parte dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 nonché gli anzidetti reati societari e di falso (quando connessi ai citati reati tributari) per quanto concerne i condoni di cui agli artt. 8 e 9.
2.1. I reati tributari non richiamati – Dietro all’apparente linearità della formula adottata dal legislatore si celano dubbi interpretativi di non poco momento, il primo dei quali – per seguire l’ordine suggerito dall’impianto normativo – attiene al significato da attribuire al mancato rimando, negli artt. 8 e 9, ai delitti di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000) e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 dello stesso decreto).
La ratio di tale omissione può forse essere ravvisata nel ruolo centrale che riveste il momento dichiarativo sia nei condoni previsti dagli artt. 8 e 9 della Finanziaria che nei delitti di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 74/2000, tutte fattispecie che nella presentazione di una dichiarazione mendace o nell’omissione tout court della dichiarazione hanno il proprio momento consumativo. Di qui la liaison con l’integrativa semplice ed il condono tombale, volti a sanare quelle stesse dichiarazioni che hanno altresì segnato la consumazione dei “reati ostativi” (4). Ragionamento, questo, suscettibile di essere poi esteso fino ad abbracciare anche ipotesi di falso (sia societario che “comune”) purché connesse alla mendacità delle dichiarazioni fiscali.
In realtà, se è vero che tale interpretazione della voluntas legis potrebbe consentire di comprendere le ragioni che hanno guidato il legislatore nell’omettere ogni riferimento agli artt. 8 ed 11 del D.Lgs. n. 74/2000, appare comunque contraddittoria l’attribuzione di rilevanza al delitto di occultamento o distruzione delle scritture contabili (5), anch’esso avulso dal momento dichiarativo quanto i delitti di cui agli artt. 8 ed 11 ma, nondimeno, annoverato tra i “reati ostativi”.
Inoltre, in caso di definizione dei periodi fiscali attraverso il condono tombale, il contribuente “compra” la propria “pace fiscale e penale” attraverso il pagamento di una somma di denaro predeterminata, a nulla rilevando l’originaria dichiarazione. Dunque, il legame con il momento dichiarativo, in realtà, appare più di tipo tendenziale che effettivo.
2.2. Il problema dell’efficacia ostativa di procedimenti relativi a reati commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74/2000 – Di ben maggiore spessore, tenuto conto delle notevoli ricadute applicative, è il dubbio attorno all’efficacia preclusiva di azioni penali esercitate a seguito della commissione di reati fiscali perfezionati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74/2000 e, quindi, prima del 15 aprile 2000. In sostanza, si tratta di verificare se anche la commissione di un reato previsto dalla “vecchia” L. n. 516/1982 possa “bloccare” l’accesso ai condoni, sempre che – ovviamente – sia già stata esercitata l’azione penale.
In proposito, occorre rilevare come non sia del tutto agevole ritenere che l’assenza di un esplicito rinvio ai fatti previsti dalla L. n. 516/1982 significhi semplicemente che le previgenti fattispecie penali tributarie siano del tutto inidonee a precludere l’accesso alle quattro sanatorie in esame (6). Al riguardo, infatti, occorre osservare come codesta conclusione comporti altresì l’impossibilità di ritenere non punibili i “vecchi” reati tributari a seguito del perfezionamento dei condoni in questione.
Ed invero, come si approfondirà in seguito, sussiste un’ampia (ancorché non assoluta) coincidenza tra “reati ostativi” e reati suscettibili di divenire “non punibili” grazie ai condoni previsti dagli artt. 8, 9 e 15 della “Finanziaria”, cosicché ritenere “non ostativi” i “vecchi” reati tributari significa, coerentemente, escluderne altresì la non punibilità.
Nulla di inaccettabile, in linea teorica, sennonché il confronto tra periodi d’imposta “sanabili” (dal 1996 al 2001, salvo eventuali “esercizi a cavallo” d’anno) ed entrata in vigore della riforma dei reati fiscali (15 aprile 2000) rivela che la grande maggioranza dei reati tributari potenzialmente commessi resterebbe esclusa dai vari istituti lato sensu perdonistici, conservando piena rilevanza penale. Conclusione, questa, che sembra assolutamente antitetica rispetto alla generalizzata volontà deflativa espressa da un legislatore che, diversamente opinando, avrebbe “lasciato in vita” proprio i reati più risalenti per estinguere – invece – le fattispecie di più recente commissione. Si tratterebbe, peraltro, di una scelta di politica criminale forse neppure esente da sospetti di incostituzionalità per l’arbitrarietà (se non l’irragionevolezza) che la caratterizzerebbe (7).
Certo è che il legislatore, laddove ha fatto rinvio ai “reati” previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, non ha certo aiutato l’interprete ad accedere ad una lettura “estensiva” degli stessi, risultato al quale sarebbe stato più agevole pervenire laddove il richiamo fosse stato – ad esempio – ai “fatti” previsti dal citato decreto. Ma tant’è: non resta che tentare di conciliare l’utilizzo di una formula infelice con le ragioni della sistematicità e della razionalità dell’impianto complessivo, adottando quella che sembra essere la soluzione meno contrastante con la struttura complessiva delle sanatorie.
Codesta lettura, che tra l’altro gode dell’avallo dell’Amministrazione finanziaria (8), impone una verifica volta all’individuazione di quali fattispecie penali tributarie previste dalla L. n. 516/1982 siano “sopravvissute” alla riforma del 2000 in virtù dell’art. 2, comma 3, del codice penale e di quali, invece, abbiano perduto qualsiasi rilievo in quanto già falcidiate dalla disciplina dell’abolitio criminis.
Rinviando ad altri autorevoli lavori l’approfondimento di un tema ormai molto dissodato anche dalla giurisprudenza (9), basterà qui ricordare come si ravvisi, ormai pacificamente, continuità normativa tra la fattispecie di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e frode fiscale ex art. 4, lettera f), della L. n. 516/1982 ed il novello art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 (10).
Consolidata è altresì l’individuazione di un’abolitio criminis nel passaggio dalle contravvenzioni di cui all’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della L. n. 516/1982 alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del decreto n. 74/2000 (11), mentre ancora forieri di perplessità sembrano essere i rapporti tra la “vecchia” dichiarazione infedele ex art. 1, comma 2, lettera c), della L. n. 516/1982 ed il novello art. 4 (12), nonché tra la vecchia e la nuova fattispecie di omessa dichiarazione (13).
Vero ciò, sembra corretto ritenere che possano assumere efficacia preclusiva rispetto alle sanatorie in esame anche le fattispecie penali tributarie originariamente previste dalla L. n. 516/1982 ed oggi confluite, attraverso la disciplina dell’art. 2, comma 3, del codice penale, nel D.Lgs. n. 74/2000 (14).
In breve: siccome il D.Lgs. n. 74/2000 ha soppiantato la L. n. 516/1982, le “vecchie” fattispecie o sono depenalizzate, oppure “sopravvivono” proprio attraverso tale decreto: ciò spiega le ragioni del rinvio alla sola normativa vigente.
2.3. La connessione tra i delitti tributari ed i reati societari e di falso richiamati dagli artt. 8 e 9 della L. n. 289/2002 – Come si è detto, gli artt. 8 e 9 riconoscono efficacia ostativa non solo ai reati tributari espressamente richiamati ma altresì a tre reati societari (artt. 2621, 2622 e 2623 del codice civile) ed a numerose fattispecie di falso previste dal codice penale (artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale).
Rispetto a tali fattispecie, l'”aggancio” alla materia tributaria è garantito dalla connessione che deve sussistere tra la commissione di tali reati e la realizzazione dell’illecito tributario, così come espressamente prevista dal legislatore. Si tratta, infatti, di reati che devono essere “commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria”.
In sostanza, il legislatore si rifà a quella connessione tra reati già presa in considerazione dalla circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 2), del codice penale, arricchita dal riferimento alla medesimezza di “pendenza o situazione tributaria” oggetto del reato fiscale. Una precisazione, questa, verosimilmente superflua ma che, comunque, garantisce la sussistenza di uno stretto legame tra reato tributario e reato strumentale.
Al riguardo, si può pensare alla “classica” falsità del bilancio commessa per occultare la presentazione di una dichiarazione infedele (riduzione dei ricavi sia in dichiarazione che nel bilancio), con la variante (presumibilmente meno frequentata) della falsità del prospetto informativo animata dal medesimo fine. La chiamata in causa di fattispecie codicistiche di falso, inoltre, porta alla mente ipotesi di false dichiarazioni racchiuse in atti pubblici (art. 483 del codice penale) volte a “comprimere” il prezzo di vendita – ad esempio – di beni immobili onde occultare eventuali utili realizzati dalla compravendita dei medesimi.
Con riferimento alle ipotesi di reato societario richiamate dalla norma, può osservarsi come la recente riforma di tali fattispecie riproponga le medesime questioni di diritto intertemporale già analizzate nell’ambito dei reati tributari, ponendo la questione dell’eventuale efficacia ostativa – ad esempio – di false comunicazioni sociali realizzate prima della riforma del 2002 e non colpite dall’abolitio criminis in quanto tipiche anche ai sensi del novello art. 2621 del codice civile (15).
Proprio il rinvio all’art. 2621 del codice civile, in realtà, sembra rafforzare la tesi che attribuisce rilievo ostativo altresì ai fatti di reato commessi prima della riforma delle fattispecie richiamate dalle norme sui condoni ma poste in continuità con queste ultime, atteso che – diversamente – sarebbero solamente le false comunicazioni sociali commesse tra la metà di aprile e l’ottobre del 2002 a poter essere ritenute ostative (nonché, come si accennava dianzi, non punibili): è sufficiente, infatti, confrontare l’entrata in vigore della riforma dei reati societari con gli esercizi potenzialmente oggetto di sanatoria per rendersi conto di come – in sostanza – solo i bilanci falsi relativi all’esercizio 2001 e presentati nel 2002 potrebbero essere ricompresi in una lettura restrittiva del rinvio all’art. 2621 del codice civile che non abbracciasse altresì il “vecchio” n. 1) dell’art. 2621 del codice civile.
2.4. I reati “non ostativi” – Fuori dall’elencazione delle fattispecie penali suscettibili (ove sussistenti gli altri requisiti di natura processuale) di precludere l’accesso alle sanatorie fiscali rimangono, tuttavia, numerose fattispecie di reato spesso connesse all’evasione fiscale. Anzi, nell’elencazione dei reati ostativi in quanto strumentali alla commissione di reati tributari, il legislatore sembra non avere avuto a mente quello che, assai probabilmente, è il comportamento criminologicamente più diffuso, vale a dire l’appropriazione indebita aggravata conseguente alla distrazione dalla società-contribuente delle somme provenienti dall’evasione fiscale (16).
Torneremo in seguito (cfr. paragrafo 3.1.) su tale tema, in sede di analisi dei limiti “dell’ombrello penale” offerto dai condoni. Basti, per ora, constatare come l’esercizio dell’azione penale per fatti di appropriazione indebita aggravata non assuma efficacia ostativa alle sanatorie fiscali.
Ad identiche conclusioni, poi, si giunge con riferimento a qualsiasi altra fattispecie penale non ricompresa nell’elencazione (ovviamente tassativa) svolta dal legislatore: al riguardo, il pensiero corre immediatamente ai reati contro la Pubblica Amministrazione, ai reati societari previsti dagli artt. 2624 e seguenti del codice civile, nonché al reato associativo (art. 416 del codice penale) eventualmente commesso dagli evasori più “intraprendenti”.
2.5. L’esercizio dell’azione penale – Come si diceva in precedenza, il legislatore ricollega l’efficacia preclusiva dei diversi “reati ostativi” all’esercizio dell’azione penale. Dunque, non solo devono essere state avviate le indagini per i reati de quibus, ma tali indagini devono essersi concluse con l’esercizio dell’azione penale. Infine, è previsto che di tale esercizio dell’azione penale abbia formale conoscenza “il contribuente”.
Solo realizzandosi tutti questi elementi le diverse sanatorie fiscali risultano precluse (in questa sede si prescinde dall’analisi delle preclusioni aventi natura “amministrativa”).
Come ha chiarito anche la circolare n. 12/E dell’Agenzia delle Entrate, la conoscenza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale è ravvisabile in caso di notificazione al contribuente della fissazione dell’udienza preliminare (ex art. 419 del codice di procedura penale), oppure di notificazione della richiesta di giudizio immediato (ex art. 456 del codice di procedura penale), o qualora sia stato emesso decreto penale di condanna (ex art. 460 del codice di procedura penale) o sia stata avanzata al giudice la richiesta di applicazione della pena (ex art. 447 del codice di procedura penale) (17).
Inoltre, in tali situazioni la preclusione opera solamente con riferimento ai periodi d’imposta oggetto di censura penale, restando impregiudicata la “sanabilità” degli altri esercizi.
Tale dato normativa merita, forse, qualche breve riflessione.
Prima delle modifiche apportate dalla L. 21 febbraio 2003, n. 27, ad assumere efficacia preclusiva non era l’esercizio dell’azione penale bensì l’avvio di un procedimento penale del quale il soggetto che presenta la dichiarazione avesse avuto formale conoscenza. In sostanza, si impediva all’evasore fiscale autore di fatti di reato di “approfittare” dei condoni fiscali per “sanare” illeciti ormai disvelati o, comunque, oggetto di indagine da parte dell’Autorità giudiziaria. Si trattava di garantire un minimo – se non di spontaneità – quantomeno di volontarietà nell’accesso alle sanatorie in questione, una scelta di ritorno “a pagamento” nella legalità non costretta da eventi esterni tali da annullare qualsiasi libertà di determinazione.
Tale impostazione di politica criminale è stata invece stravolta dal legislatore del febbraio 2003 (18), il quale ha dilatato le maglie dei condoni fiscali lasciando filtrare anche situazioni nelle quali, di fatto, l’accesso al condono significa null’altro che la fuga da una sanzione penale ormai certa. E tutto ciò senza che l’eventuale avvio delle indagini influisca neppure sull’onerosità delle sanatorie fiscali, realizzando così una perfetta equiparazione tra il contribuente non ancora fatto oggetto di alcuna verifica fiscale ed il contribuente rispetto al quale già si siano chiuse le indagini preliminari ma ancora manchi la fissazione dell’udienza preliminare ex art. 419 del codice di procedura penale.
Facile, allora, prevedere le “fughe al condono” da parte di contribuenti che già hanno ricevuto l’avviso di cui all’art. 415-bis del codice di procedura penale, nonché richieste di interrogatorio dilatorie presentate in extremis onde “guadagnare” qualche giorno per perfezionare il condono. Tutte situazioni rispetto alle quali dalla maggiore o minore “reattività” dell’Autorità giudiziaria possono discendere conseguenze davvero rilevanti in merito alla “sanabilità”, integrale o meno, di forme di evasione potenzialmente anche molto rilevanti.
Difficile intravedere una logica dietro a questo “spostamento in avanti” dell’efficacia preclusiva del procedimento penale: l’identità del “prezzo” del condono sia per i soggetti indagati che per i non indagati sembra escludere che siano le “solite” esigenze di cassa a spingere il legislatore, mentre la perdita anche di quel barlume di volontarietà che caratterizza istituti quali il cosiddetto “ravvedimento operoso” (art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997) priva la norma di qualsiasi aggancio sistematico e, forse, anche razionale.
2.6. (Segue): – la “formale conoscenza” dell’esercizio dell’azione penale: questioni interpretative – Giusta quanto si è detto nei paragrafi precedenti, l’esercizio dell’azione penale per uno dei “reati ostativi” è condizione necessaria ma non sufficiente per precludere l’accesso ai citati condoni fiscali, essendo altresì richiesto che tale circostanza sia portata formalmente a conoscenza del contribuente.
Tale previsione ingenera notevoli perplessità interpretative foriere di rilevantissime conseguenze applicative, soprattutto laddove vi sia uno scollamento tra la persona del “contribuente” e quella dell’autore del reato ostativo (19). Ed invero, gli effetti distorcenti della disciplina introdotta dal legislatore sono particolarmente evidenti nell’ambito delle società di capitali (rectius: dei soggetti Irpeg), laddove è nitido lo sdoppiamento tra la figura del contribuente-società e quella della persona fisica autrice del reato in quanto amministratore della società stessa. Vicenda che potrebbe addirittura divenire ad (almeno) tre soggetti laddove si ipotizzasse l’avvenuta sostituzione dell’amministratore autore di illeciti tributari.
In tali circostanze, è chiaro che la formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’amministratore potrà prodursi in capo alla società solamente in casi del tutto eccezionali.
2.6.1. La “formale conoscenza” in presenza di responsabilità amministrativa dell’ente – In primo luogo, infatti, può ipotizzarsi la commissione (nell’ambito dei condoni previsti dagli artt. 8 e 9 della Finanziaria) di fatti rilevanti ex artt. 2621, 2622 o 2623 del codice civile post riforma del 2002 con conseguente avvio del procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 in capo alla persona giuridica. In tale caso, ai sensi dell’art. 43 del D.Lgs. n. 231/2001, anche la società verrebbe a conoscenza dell’esercizio dell’azione penale in capo al proprio amministratore, anche se eventualmente cessato.
Come è agevole constatare, tuttavia, si tratta di una situazione certamente marginale laddove si confronti – come già si è avuto modo di fare (cfr. paragrafo 2.3.) – la data di entrata in vigore della riforma dei reati societari con il novero dei periodi d’imposta sanabili: in sostanza, solamente i bilanci relativi all’esercizio 2001 potrebbero dar luogo, ove falsi, a responsabilità amministrativa dell’ente, sempre che sussistano altresì gli altri elementi posti a fondamento di tale responsabilità.
2.6.2. La “formale conoscenza” qualora il “contribuente”-persona giuridica sia persona offesa dal reato – L’altra situazione ipotizzabile (20) vede la società assumere le vesti di parte offesa da uno dei reati commessi dal proprio amministratore: basti pensare all’appropriazione indebita del quantum evaso realizzata dall’amministratore ai danni della società. In tale eventualità, la società dovrebbe essere portata a conoscenza dell’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’art. 552 del codice di procedura penale, con conseguente preclusione dell’accesso ai condoni.
A tale lettura della norma potrebbe opporsi, non senza ragioni, il sostanziale travisamento che subirebbe la notificazione alla persona offesa che, da disposto volto a garantirne la partecipazione al procedimento penale, si trasformerebbe (anche) in norma capace di precludere l’accesso alla sanatoria fiscale. Una norma di favor per la parte offesa sarebbe tramutata, dalla “Finanziaria 2003”, in previsione capace di bloccare l’accesso ai condoni in capo a chi già ha subito – ad esempio – una distrazione di fondi da parte dell’amministratore infedele.
L’obiezione è certamente calzante, anche se non pare sufficiente ad escludere che una tale notificazione realizzi comunque quella “formale conoscenza” dotata inequivocabilmente di efficacia preclusiva rispetto agli istituti previsti dagli artt. 7, 8, 9 e 15. Piuttosto, anche per tale via risulta confermata l’imprecisione del legislatore e l’insufficiente valutazione dell’impatto sistematico ingenerato dalle nuove norme.
2.6.3. La formale conoscenza “impossibile”, ovvero dell’assenza di preclusioni penali al condono del contribuente-persona giuridica: prime conclusioni e rinvio – Una volta che si fuoriesca dalle due situazioni (certo non frequentissime) che si sono ipotizzate sembra possibile escludere che la società contribuente possa avere “formale conoscenza” dell’esercizio di un’azione penale che in nessun modo potrebbe riguardare la società stessa. Di qui la conclusione, certo dirompente, secondo la quale la società potrebbe sempre, anche in presenza di un’azione penale condotta nei confronti del proprio amministratore, accedere ai condoni fiscali (21).
Vedremo, trattando dell’efficacia estintiva dei condoni, quali potenziali elementi di distorsione, forse forieri di profili di incostituzionalità, presenti codesta disciplina. Sia sufficiente, per ora, constatare come – in assenza di correttivi (sui quali, cfr. infra, paragrafo 3.3.) – sia questa la conclusione che pare emergere dalla lettura del dato normativo. Lettura tanto più significativa laddove si consideri che codesto riferimento alla “formale conoscenza” in capo al “contribuente” è ripetuto pedissequamente ben sei volte: una volta negli artt. 7 e 15 e due volte in ciascuno degli artt. 8 e 9. Ciò ad escludere che si tratti di una isolata “svista” del legislatore il quale, anzi, aveva originariamente previsto che la “formale conoscenza” si realizzasse in capo al “dichiarante” (cfr. L. 27 dicembre 2002, n. 289) per poi “rettificare il tiro” ed inserire la figura del “contribuente” (cfr. L. 21 febbraio 2003, n. 27, legge di conversione del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282).
3. La “non punibilità” conseguente ai condoni fiscali: le fattispecie “non punibili” – Come si è dianzi detto, l’aspetto maggiormente caratterizzante delle sanatorie fiscali introdotte dalla “Finanziaria 2003” è dato dalla “non punibilità” che comporta il perfezionamento di tali condoni rispetto a numerose fattispecie penali. In particolare, gli istituti previsti dagli artt. 8, 9 e 15 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 assicurano “l’esclusione della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria …”.
Come è agevole constatare, l’elencazione dei reati suscettibili di estinzione coincide, nelle sanatorie di cui agli artt. 8 e 9, con il novero dei “reati ostativi”, riproponendosi altresì quel nesso di connessione ipotattica o paratattica che deve avvincere le fattispecie societarie e codicistiche ai delitti fiscali.
Rispetto all’art. 15, invece, si ricorderà come tale sanatoria fosse preclusa dall’esercizio dell’azione penale per uno qualsiasi dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, il che comporta una singolare discrasia tra “fattispecie ostative” e reati non punibili. In particolare, alla non punibilità di un minor numero di reati tributari rispetto a quelli ostativi si contrappone l’estensione della non punibilità anche alle fattispecie societarie e di falso strumentali ai delitti tributari. Rimangono, quindi, “ostativi” ma comunque punibili i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).
Per quanto concerne, invece, le fattispecie penali tributarie previste dalla “vecchia” L. n. 516/1982 e “sopravvissute” alla riforma del 2000, è sufficiente rinviare a quanto dianzi osservato trattando della potenziale natura ostativa di tali reati, rilevando così come anche codeste ipotesi risultino suscettibili di estinzione a seguito del perfezionamento delle sanatorie fiscali previste dagli artt. 8, 9 e 15. Stesse conclusioni per quanto concerne i fatti di false comunicazioni sociali commessi prima della riforma del 2002 ed oggi ancora rilevanti ex art. 2621 del codice civile [stando all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (22)] in quanto tipici altresì ai sensi della nuova fattispecie, sempre che sussista l’anzidetto nesso di connessione teleologica con almeno una fattispecie penale tributaria.
3.1. I confini dell'”ombrello penale” concesso dai condoni: reati contro la Pubblica Amministrazione, reati societari, bancarotta e appropriazione indebita – Ciò detto in merito alle fattispecie di reato “coperte dall’ombrello penale” che il legislatore ha voluto abbinare alle sanatorie fiscali, occorre rilevare quali siano le “assenze eccellenti”, ovvero le fattispecie penali che, pur accompagnandosi con una certa frequenza alla commissione di reati tributari, nondimeno non sono state ritenute suscettibili di accedere al beneficio della non punibilità.
Tali sono, in primo luogo, tutte le fattispecie a danno della Pubblica Amministrazione che, in quanto relative a condotte comunque ulteriori rispetto al mero fatto di evasione, sono state lasciate – molto opportunamente – al di fuori dell’area di esclusione della punibilità. Dunque, rimane punibile, ad esempio, la corruzione commessa utilizzando proventi derivanti da fatti di evasione fiscale.
Stesse conclusioni in merito alle altre fattispecie penali societarie non richiamate dalla L. n. 289/2002, vale a dire i reati previsti dagli artt. 2624 e seguenti del codice civile: quindi, l’esagerata valutazione di un conferimento, finalizzata alla successiva svalutazione dello stesso onde evidenziare un componente negativo di reddito, continua comunque ad essere punibile nonostante il perfezionamento di una delle sanatorie in questione.
Anche la commissione di eventuali fatti di bancarotta rimane punibile indipendentemente da qualsiasi condono, e ciò anche qualora il fatto di bancarotta fosse realizzato proprio attraverso la commissione di uno dei reati suscettibili di estinzione. Basti pensare alla distruzione delle scritture contabili realizzata in dispregio sia degli interessi del Fisco che dei creditori, o alle false comunicazioni sociali finalizzate ad occultare fatti di evasione ma che abbiano altresì contribuito a cagionare il dissesto della società ai sensi del novello art. 223, comma 1, n. 1), della legge fallimentare: l’indipendenza che da sempre è stata riconosciuta all’ipotesi penale fallimentare rispetto alle altre fattispecie citate (23) garantisce la “sopravvivenza” della stessa indipendentemente dalla punibilità del reato societario o tributario. E ad identiche conclusioni occorre pervenire – giusta la lettera dell’art. 170, comma 1, del codice penale – con riferimento al reato associativo eventualmente commesso da evasori particolarmente intraprendenti: l’estinzione dei reati tributari ai quali è finalizzata l’associazione per delinquere non comporta altresì l’estinzione della fattispecie associativa.
Tuttavia, quella che molto probabilmente è destinata ad essere l’assenza più rilevante nel novero delle fattispecie suscettibili di estinzione sembra essere il delitto di appropriazione indebita. Ed invero, non occorrono approfondite analisi criminologiche per constatare la frequenza statistica di condotte quali l’impossessamento, da parte del socio di maggioranza nonché amministratore di piccole società di capitali a base familiare, dei proventi derivanti dall’evasione fiscale perpetrata dalla società. È sufficiente ipotizzare il pagamento di fatture relative ad operazioni inesistenti realizzato, in realtà, su conti personali di tale socio-amministratore, oppure al “dirottamento” del cosiddetto “nero” sempre sugli anzidetti conti personali: in siffatte situazioni, al reato fiscale si accompagna la spoliazione della società del provento dell’evasione, con conseguente integrazione del delitto di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11), del codice penale (e, dunque, procedibile d’ufficio) (24). E ciò, riterremmo, anche dopo la recente introduzione della fattispecie di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 del codice civile (25).
Come è evidente, quindi, condotte di tal genere resteranno punibili nonostante il perfezionamento delle sanatorie fiscali e, in quanto tali, potranno altresì “mantenere in vita” – attraverso l’istituto del reato continuato – reati fiscali relativi a periodi antecedenti a quelli suscettibili di condono fiscale. Basti pensare a condotte di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti accompagnate – giusta quanto si diceva poc’anzi – dal pagamento delle stesse su conti personali dell’amministratore e protrattesi per magari un decennio, con consumazione nel 2002 dell’ipotesi appropriativa di più recente realizzazione. Qualora tali fatti fossero avvinti dal vincolo della continuazione (eventualità riconosciuta pressoché automaticamente nella prassi), occorrerebbe constatare come la prescrizione di tutte le fattispecie poste in continuazione inizi a decorrere con il perfezionamento dell’ipotesi di più recente realizzazione che, nel caso esemplificato, è stata commessa nel 2002.
Dunque, anche fattispecie penali tributarie relative a periodi d’imposta ante condono ma in continuazione con fattispecie di appropriazione indebita di recente realizzazione sono suscettibili di conservare la loro punibilità, risultando “non punibili” solamente i reati dianzi ricordati e relativi a periodi oggetto di condono.
Come si è rilevato, rimane altresì al di fuori dell’ombrello penale la fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti, scelta normativa foriera di qualche difficoltà applicativa in situazioni nelle quali lo stesso soggetto amministri sia la società emittente fatture per operazioni inesistenti che la società utilizzatrice di tali fatture. In siffatte situazioni, nonostante la non punibilità del delitto di dichiarazione fraudolenta a seguito dell’accesso al condono da parte della società utilizzatrice delle fatture, riterremmo che permanga comunque la punibilità per il (diverso ed ulteriore) delitto non “sanabile” di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000.
3.2. Rilievi sulla natura della “non punibilità” conseguente al perfezionamento dei condoni fiscali – Si è detto, finora, di come il perfezionamento dei condoni in questione comporti la “non punibilità” del novero di reati dianzi indicato. Per inciso, essendo chiarito dal legislatore che i diversi condoni in questione si perfezionano tutti con il versamento della prima rata, viene prevenuto il consueto dibattito attorno all’efficacia della dichiarazione di condono non seguita da pagamenti (26). Certo, desta qualche perplessità l’espresso riconoscimento di efficacia sanante anche all’effettuazione di pagamenti solamente parziali.
Tornando, tuttavia, a codesta “non punibilità”, vale la pena spendere qualche considerazione per tentare di inserirla in modo meno generico nell’ambito delle varie categorie che il legislatore accorpa sotto la generalissima bandiera della “non punibilità” (27).
Al riguardo, sembra possibile escludere con una certa tranquillità che possa trattarsi sia di cause di giustificazione che di scusanti, attesa l’indubbia eterogeneità che connota la ratio sottesa alle sanatorie in esame rispetto a tali cause di “non punibilità” in senso lato. Ed infatti, siamo certamente al di fuori di quel bilanciamento tra interessi contrapposti che caratterizza le cause di giustificazione, mentre estranei sono altresì quei fattori di eccezionale pressione psicologica capaci di elidere la colpevolezza e che connotano le scusanti (28).
Piuttosto, sembra di essere al cospetto di condotte susseguenti al reato, lato sensu riparatorie dell’offesa arrecata ed alle quali, in via eccezionale, il legislatore attribuisce efficacia estintiva del reato (29). Dunque, pare trattarsi di cause sopravvenute di esclusione della punibilità (30), a sé stanti rispetto alle consuete cause di estinzione del reato e, piuttosto, riconducibili a quell’eterogeneo ambito di misure eccezionali talvolta varate dal legislatore per perseguire obiettivi di politica criminale (anche) attraverso la rinuncia alla propria potestà punitiva (31).
Resta, comunque, l’efficacia ablativa di tali cause sopravvenute di esclusione della punibilità, capace di abbracciare la pena e le pene accessorie mentre, giusta l’affermazione di semplice “non punibilità” del fatto, sembrano impregiudicati gli altri effetti penali della eventuale sentenza di condanna. Ciò a meno di non voler sostenere che il legislatore abbia inteso discernere la disciplina dettata dall’art. 8 rispetto a quanto previsto (per lo meno) dall’art. 9.
Infatti, nell’art. 8, comma 6, lettera c), il legislatore ha ritenuto di escludere “ad ogni effetto” la punibilità, ricorrendo ad una precisazione (“ad ogni effetto”, appunto) che nell’art. 9 non viene riproposta. Di qui, forse, un argomento per sostenere che nell’art. 8 la “non punibilità” abbraccerebbe anche gli effetti penali della condanna, soluzione che – a livello sistematico – potrebbe essere giustificata dal fatto che nella “dichiarazione integrativa” avviene una completa disclosure della posizione del contribuente con ricalcolo (ancorché a condizioni agevolate) del debito d’imposta, mentre negli artt. 9 e 15 si opera una sorta di “forfettizzazione a scatola chiusa” attraverso la quale viene definita la posizione del contribuente. Dunque, non sarebbe del tutto irragionevole riconnettere effetti ablativi più estesi ad una forma di “resipiscenza” (anche se magari suggerita da indagini prossime alla conclusione!) che pare più strettamente aderente alla lesione degli interessi erariali rispetto agli istituti previsti dagli artt. 9 e 15.
Ancora una volta, comunque, l’interprete si trova al cospetto di una normativa assai imprecisa e lacunosa, anche se – per questa via – è forse possibile attribuire un significato all’utilizzo di formule di “non punibilità” non proprio coincidenti.
Nessun effetto estintivo, invece, sembra abbracciare l’eventuale responsabilità amministrativa dell’ente/contribuente a fronte della commissione di reati societari divenuti non punibili in capo alla persona fisica: in proposito, la secca previsione di cui all’art. 8, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 231/2001 (“La responsabilità dell’ente sussiste anche quando
… b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”) pare davvero ergersi a norma di sbarramento, anche nei confronti dell’art. 8 della “Finanziaria” (32).
Quale che sia la conclusione corretta, vale comunque la pena rilevare come il tema abbia ragione di porsi laddove sussista uno sdoppiamento tra il “contribuente” che perfeziona il condono fiscale (mancando di formale conoscenza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale) e la persona fisica nei cui confronti è esercitata l’azione penale. Situazione che, come si è visto, dovrebbe caratterizzare la stragrande maggioranza dei casi in cui i fatti di reato siano stati perpetrati da amministratori di società di capitali, laddove – quindi – l’azione penale è esercitata nei confronti dell’amministratore mentre la società contribuente rimane estranea all’intera “vicenda penale” (cfr. supra, paragrafo 2.6.3.).
Ebbene, in tali situazioni sarebbe possibile addirittura assistere alla “non punibilità” di un reato tributario accertato da una sentenza passata in giudicato ma divenuto “non punibile” a seguito di un condono fiscale perfezionato dal contribuente/società che mai ha avuto notizia (e come avrebbe potuto averla, se non nei casi assai sporadici dianzi ricordati?) dell’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti del proprio amministratore. Di qui il dubbio sulla portata di tale anodina “non punibilità” e, in particolare, sulla sorte degli effetti penali della condanna.
3.3. Potenziali profili di incostituzionalità dei condoni fiscali legati alla “non punibilità”: il problema della “formale conoscenza” nell’ambito dei contribuenti persone giuridiche. Possibili “letture alternative” della disciplina – Proprio la situazione testé esemplificata mette a nudo un profilo della nuova disciplina suscettibile di sollevare rilevanti questioni di costituzionalità, perlomeno sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza.
Ed invero, la particolare disciplina che regge le cause ostative di natura penale e, in particolare, la previsione che sia il “contribuente” a dover essere informato dell’esercizio dell’azione penale per aversi preclusione al perfezionamento dei condoni, risulta foriera di disparità di trattamento difficilmente accettabili tra contribuenti persone fisiche e contribuenti persone giuridiche o, per meglio dire, tra soggetti Irpef e soggetti Irpeg.
Nell’esempio dianzi prospettato, infatti, una società di capitali potrebbe benissimo – stando alla lettura più accreditata del dato normativo – perfezionare il proprio condono (in ipotesi, tombale) garantendo così la non punibilità al proprio amministratore.
Dunque, il condono della società giova al suo amministratore e, se non ricorrono cause ostative, la società può perfezionare un condono dal quale scaturirà la non punibilità del proprio amministratore. E ciò, si badi, anche qualora tale amministratore fosse stato addirittura condannato per un reato che, ora, diverrebbe comunque “non (più) punibile”.
Ben diversa, evidentemente, la situazione per il contribuente/persona fisica, il quale non può più accedere ad alcun condono fiscale dal momento in cui gli viene notificata la fissazione dell’udienza preliminare. Con l’aberrante conseguenza di vedere precluso il condono alla persona fisica assolta dall’imputazione di un reato fiscale (33), laddove l’amministratore di società condannato per lo stesso reato potrebbe usufruire della “non punibilità” derivante dal condono perfezionato dalla sua società.
Se fin qui siamo stati nel vero, vi è quanto basta per ritenersi al cospetto di una irragionevole area di privilegio che la disciplina dei condoni ritaglia a favore degli amministratori di società ma che cozza frontalmente contro i principi più volte affermati in materia dalla Corte Costituzionale (34).
3.3.1. La tesi della “formale conoscenza” conseguita attraverso forme atipiche – Difficile individuare dei correttivi a codesta disciplina.
Per un verso, potrebbe tentarsi di sostenere che la novella abbia introdotto surrettiziamente (!) – a latere rispetto al codice di procedura penale – un obbligo di “portare a formale conoscenza” anche la società dell’eventuale esercizio dell’azione penale nei confronti di un suo amministratore (anche se cessato, purché fosse tale nel periodo suscettibili di essere “condonato”). Così facendo, attraverso questa inedita “formale conoscenza” sarebbe preclusa alla società la possibilità di accedere alle sanatorie.
Si tratterebbe, di certo, di una ricostruzione ardita e che, comunque, non sanerebbe disparità di trattamento scaturenti da situazioni nelle quali – ad esempio – il procedimento penale fosse comunque già giunto al termine, precludendo la possibilità di operare anche una tale, eterodossa, “notificazione”.
3.3.2. La tesi che separa gli effetti del condono della società dalla “non punibilità” in capo all’amministratore – Secondo un’altra lettura, particolarmente attenta alla lettera della norma (35), sarebbe possibile separare gli effetti del condono fiscale che si producono in capo alla società/contribuente da quelli che attengono al suo amministratore. Così facendo, per la società sarebbe sempre possibile aderire al condono in quanto non potrebbe mai avere formale conoscenza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale in capo ad un suo amministratore, specie se cessato. Al contrario, l’amministratore verserebbe nell’impossibilità di giovarsi di tale condono in quanto concernente un diverso contribuente: la società, appunto. Di qui il corollario che vede l’amministratore di società non poter mai “comprare” la non punibilità per i reati compiuti proprio in quanto amministratore della società: infatti, tali reati non sarebbero “condonabili” né dalla società (che fa il “suo” condono, privo di ricadute in capo all’amministratore) e neppure dall’amministratore stesso, che con il proprio condono personale potrebbe rendere “non punibili” solamente eventuali fatti di reato commessi da quest’ultimo in quanto contribuente (ad esempio, la mancata dichiarazione di compensi provenienti dalla società e superiori alle soglie previste dall’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000) (36).
Dunque, il condono delle società di capitali (e dei soggetti Irpeg in generale) non avrebbe mai alcun effetto estintivo quanto a sanzioni atteso che la società stessa non può essere centro di imputazione di sanzioni: infatti, non potrebbe estinguere le sanzioni penali facenti capo al suo amministratore, in quanto soggetto che si assume estraneo al rapporto tributario definito dalla società; inoltre, per le stesse ragioni, non potrebbero essere estinte neppure le sanzioni amministrative che, come è noto, dopo la riforma del 1997 gravano (seppure con meccanismi di temperamento) sulla persona fisica autrice dell’illecito e non sul contribuente che di tale illecito abbia beneficiato (cfr. D.Lgs. n. 472/1997).
In sostanza, le lettere b) e c) del comma 6 dell’art. 8 e le analoghe previsioni contenute negli artt. 9 e 15 della L. n. 289/2002 non sarebbero applicabili ai soggetti Irpeg, i cui condoni mai sarebbero in grado di far conseguire la “non punibilità” a reati commessi da altri soggetti quali sono i propri amministratori.
La tesi è certamente assai suggestiva, anche se – come lo stesso Tinti rileva, censurando la norma – è comunque foriera di disparità di trattamento, atteso che l’amministratore di società da soggetto privilegiato scade a soggetto penalizzato in quanto non potrà mai “sanare” i reati che ha commesso in qualità di amministratore. In tale ricostruzione, invece, privilegiata diviene la sola società che potrebbe, sempre e comunque, perfezionare la propria sanatoria fiscale senza che le vicende del suo amministratore possano in alcun modo ostacolarla. Dunque, una ricostruzione che sposta le iniquità della disciplina senza, tuttavia, eliminarle; tant’è che – emblematicamente – il commento si chiude segnalando le “poche luci e le molte ombre” che affliggono le norme in esame (37).
Vi è però, forse, un argomento suscettibile di porre in crisi questa lettura del dato normativo. Infatti, tra le fattispecie di reato capaci di divenire “non punibili” se connesse teleologicamente a reati tributari, vi è anche il delitto di falso in prospetto di cui all’art. 2623 del codice civile, fattispecie la cui commissione deve necessariamente avvenire nell’ambito di società per azioni. Dunque, solo l’amministratore di una società per azioni può commettere il delitto in questione e, quindi, laddove il legislatore inserisce anche tale reato nel novero delle ipotesi “sanabili”, implicitamente sembra rivelarci che anche il condono delle società per azioni può comportare la non punibilità di reati commessi proprio nell’ambito della gestione della società. Altrimenti, non avrebbe alcun senso prevedere la “non punibilità” dell’art. 2623 del codice civile.
In sostanza, anche per questa via non si può fare a meno di censurare la scarsa determinatezza delle norme e le iniquità che, comunque, emergono dalla loro interpretazione.
3.3.3. La mancanza di una norma che coordini i rapporti tra il contribuente e la persona fisica autrice dell’illecito penale – Infine, sotto un’altra prospettiva ancora, occorre rilevare l’assenza di una previsione di coordinamento tra la posizione della società contribuente e quella dell’amministratore persona fisica analoga a quanto disposto dall’art. 1, lettere c) ed e), del D.Lgs. n. 74/2000 e che, da sola, potrebbe effettivamente ridurre le discrasie in esame sancendo – ad esempio – che la formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale in capo all’amministratore della società equivale alla formale conoscenza in capo al contribuente nel cui ambito ha agito l’amministratore ormai imputato (38). Ciò permetterebbe di risolvere, perlomeno, quelle situazioni nelle quali l’amministratore assoggettato ad azione penale non sia stato sostituito dalla società.
Tuttavia, nell’assenza di una tale previsione, non pare neppure possibile operare una estensione analogica (che sarebbe, evidentemente in malam partem) di quanto previsto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000 (39).
Vero ciò, sembra proprio difficile eliminare, se non attraverso una censura di incostituzionalità, le disparità di trattamento che discriminano le diverse categorie di contribuenti.
3.3.4. Rilievi conclusivi: la probabile incostituzionalità della disciplina – Forse, l’unica strada – per quanto irta di difficoltà – che potrebbe schiudersi all’interprete è proprio quella di ritenere che la “Finanziaria 2003” abbia surrettiziamente introdotto un novello obbligo di portare la società a “formale conoscenza” dell’avvenuto esercizio dell’azione penale, interpretazione certo ardita – come si diceva – ma che sembra assumere i contorni di una “interpretazione costituzionalmente orientata” e, quindi, preferibile rispetto ad altre letture più vicine al dato normativo ma affette da incostituzionalità. Tuttavia, qui il discorso rischia di scivolare verso aspetti più prettamente processuali la cui trattazione assumerebbe i connotati di un’autentica invasione di campo.
Vale soltanto la pena osservare come, anche aderendo ad una tale interpretazione, l’equivocità del dato normativo rischi comunque di provocare l’inerzia del giudice penale, fungendo così da viatico al perfezionamento di sanatorie fiscali non tempestivamente “bloccate” neppure da tale, eterodossa, “formale conoscenza”.
Diversamente, non resta che ravvisare come la recente normativa rischi di introdurre “zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all’interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile”, secondo l’espressione utilizzata dalla stessa Corte Costituzionale per circoscrivere i margini di manovra lasciati al legislatore nel conio di cause di esclusione della punibilità (40). Di qui la censurabilità di una disciplina che, peraltro, sembra non agevolmente riconducibile nell’ambito della costituzione anche ricorrendo al giudice delle leggi.
Difficile, infatti, pensare ad una totale (e senz’altro livellante) cancellazione della “non punibilità” connessa ai condoni, atteso che la scelta di non sanzionare il contribuente persona fisica che acceda ad una sanatoria fiscale rientra certamente tra le scelte di politica criminale che il legislatore può compiere. Si tratterebbe, piuttosto, di parificare la posizione dell’amministratore “privilegiato” a quella del contribuente persona fisica, obiettivo realizzabile attraverso – ad esempio – l’equiparazione della formale conoscenza in capo al “contribuente/società” dell’esercizio dell’azione penale alla formale conoscenza in capo “all’amministratore” (anche se cessato) di tale società. In sostanza, la Corte potrebbe introdurre in via interpretativa quello stesso meccanismo che è previsto dall’art. 1, lettere c) ed e), del D.Lgs. n. 74/2000 ma che non sembra altrimenti azionabile sotto pena di violare il divieto di operare estensioni analogiche in malam partem.
Tuttavia, vi è da chiedersi se una tale “manipolazione” del dato normativo possa rientrare o meno nel campo di intervento della Corte Costituzionale o non realizzi, piuttosto, una violazione della riserva di legge (41). E poi, dopo un tale intervento, che ne sarebbe dei condoni perfezionati confidando in una disciplina successivamente posta nel nulla dalla Corte Costituzionale? Basti pensare alla società che abbia aderito al condono nonostante l’esercizio dell’azione penale in capo al proprio amministratore: una volta che la Corte ravvisasse l’incostituzionalità di una tale disciplina, tale condono dovrebbe risultare totalmente inefficace. In siffatti casi, assisteremmo ad un rimborso di quanto indebitamente versato dal contribuente?
Il tema meriterebbe un approfondimento impossibile in questa sede. È sufficiente rilevare come, da qualunque prospettiva la si osservi, la disciplina in esame risulta affetta da gravissime carenze di tassatività foriere di iniquità inaccettabili.
4. Note conclusive – Se ci si volta indietro per ripercorrere le varie leggi di condono capaci di intervenire anche sull’aspetto penale dell’evasione, si scopre come gli ultimi due provvedimenti (42) ablativi risalgano al 1992 (43) ed al 1982 (44). Dunque, in sostanza, sembra che il contribuente possa contare sul fatto che, ogni decennio, compaia un provvedimento grazie al quale, pagando cifre assai contenute (perlomeno se parametrate all’evasione oggi penalmente rilevante) si garantirà l’impunità per eventuali fatti di reato commessi evadendo le imposte.
Tali provvedimenti, inoltre, neppure richiedono – di regola – il pagamento del “prezzo” del condono per aversi l’acquisto (è proprio il caso di dirlo) della “non punibilità”: talvolta è sufficiente presentare la “dichiarazione di condono” per attingere tale obiettivo (45), altre volte – come nella recente “Finanziaria” – diviene necessario pagare la prima rata del prezzo per aversi il perfezionamento dell’istituto perdonistico. Certo è che, in ogni caso, si tratta di una impunità acquistata davvero a prezzi di saldo e che, nella normativa più recente, sembra potersi conseguire non solo ad indagini avviate ma, addirittura, anche dopo aver subito una sentenza di condanna divenuta definitiva. Ciò almeno per gli amministratori di società di capitali.
Al consueto vulnus al principio di uguaglianza e di capacità contributiva che accompagna codesti provvedimenti, inclini a favorire l’illegalità a tutto discapito della lealtà del rapporto tra contribuente e Fisco, sembra così aggiungersi anche un mancato coordinamento interno alla disciplina della “non punibilità”, anch’esso foriero di ulteriori perplessità di ordine costituzionale.
Cosa resti, in questo scenario, della funzione general preventiva della sanzione penale, non è dato sapere. Rimane, laconico, il comma 1 dell’art. 10 dello Statuto del contribuente che, un poco impudentemente, continua a recitare che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.
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(1) Per tutti, sulla “perversione politico criminale” sottesa a generalizzati “condoni di massa”, cfr. Padovani, Il traffico delle indulgenze, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1986, pagg. 427 e seguenti. Sulla normativa in commento, cfr. i chiari rilievi di Izzo, Integrativa semplice e condono tombale. Effetti penali e valenza oggettiva, in “il fisco”, n. 7/2003, fascicolo n. 1, pagg. 1063.
(2) Cfr. le considerazioni, a tale riguardo, di Bruzzone, Profili di incostituzionalità della proroga dei termini per gli accertamenti, in “Corr. Trib.”, 2003, n. 9, pagg. 685 e seguenti; F. Dezzani-L. Dezzani, L. 27 dicembre 2002, n. 289. Circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003. Emendamenti del relatore al D.L. n. 282/2002. Condono tombale e concordato. Due occasioni irripetibili per i contribuenti, in “il fisco”, n. 4/2003, fascicolo n. 1, pagg. 491 e seguenti.
(3) Secondo l’efficace espressione di Padovani, op. ult. cit., pag. 429.
(4) Caraccioli, Profili penali del nuovo concordato fiscale, in “il fisco”, n. 3/2003, fascicolo n. 1, pagg. 430 e seguenti.
(5) Su tale fattispecie, per tutti, Cerqua, Art. 10 occultamento o distruzione di scritture contabili, in “Diritto e procedura penale tributaria, Commentario al D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74”, Padova, 2001, pagg. 299 e seguenti; Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, Milano, 2000, pagg. 170 e seguenti; Nannucci- D’Arrivo, La riforma del diritto penale tributario (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), Padova, 2000, pagg. 279 e seguenti.
(6) In tale direzione sembrava orientato Caraccioli, Profili penali del nuovo concordato fiscale, cit., ma ciò prima della formulazione della L. n. 27/2003 che pare aver cambiato i termini della questione imponendo – come si approfondirà in seguito – che solamente l’esercizio dell’azione penale (e non l’avvio delle indagini) assuma efficacia preclusiva.
(7) Condivide tali perplessità Izzo, Integrativa semplice e condono tombale, cit., pag. 1064.
(8) Cfr. circolare n. 12/E dell’Agenzia delle Entrate del 21 febbraio 2003.
(9) Cerqua, L’abolizione del principio di ultrattività delle disposizioni penali finanziarie e l’eredità dei vecchi reati tributari, in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 2000, pagg. 809 e seguenti.
(10) Cfr. le Sezioni Unite penali in Cass., 25 ottobre 2000, D.M., in “Foro it.”, 2001, II, 143. Da ultima, nello stesso solco, Cass., 8 febbraio 2002, in “Rass. Trib.”, 2002, pagg. 1801 e seguenti, con nota di Rocchi.
(11) Cass., n. 6785 del 5 dicembre 2001-20 febbraio 2002, in “il fisco” n. 29/2002, fascicolo n. 1, pag. 4719 (facendo, tuttavia, riferimento all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000); Tribunale di Genova, 26 febbraio 2001, in “Dir. prat. delle società”, n. 18/2001, pag. 99; Cass., 5 febbraio 2001, in “Dir. prat. delle società”, n. 18/2001, pag. 95; Cass., 11 dicembre 2000, in “Giur. imposte”, 2001, pag. 442; Cass., 6 novembre 2000, “Dir. prat. delle società”, n. 23/2000, pag. 79; Cass., 14 giugno 2000, in “Giur. imposte”, 2000, pag. 1373 ed in “Rass. Trib.”, 2001, pag. 244; Cass., n. 2338 del 13 giugno-11 ottobre 2000, in “il fisco”, n. 5/2001, pag. 1557; Cass., 17 maggio 2000, in “Rass. Trib.”, 2001, pag. 243 (caso, tuttavia, di mancato superamento delle soglie di punibilità introdotte dalla riforma del 2000); App. Roma, 16 maggio 2000, in “Giur. imposte”, 2000, pag. 722; Tribunale di Trieste, 15 maggio 2000, in “Dir. prat. delle società”, n. 1/2001, pag. 79; Tribunale di Pesaro, n. 519 del 5-10 maggio 2000, in “il fisco”, n. 27/2000, pag. 9043; Tribunale di Torino, 20-21 aprile 2000, in “il fisco”, n. 20/2000, pag. 6654. In senso contrario, tuttavia, sembrerebbe Cass., 24 gennaio 2001, in “Giur. imposte”, 2001, pag. 444, relativamente ad un fatto comunque prescritto e la cui descrizione risulta non chiarissima.
(12) Nel senso della continuità normativa, cfr. Trib. Crotone 20 aprile 2001, in “il fisco”, n. 29/2001, pag. 9854; Cass., n. 8294, del 24 gennaio-27 febbraio 2001, in “il fisco”, n. 35/2001, pag. 11658. Per l’abolitio criminis, invece, Tribunale di Crotone, 29 ottobre 2001, in “il fisco”, n. 26/2002, fascicolo n. 1, pag. 4216; Cass., n. 6818 dell’11 gennaio-20 febbraio 2001, in “il fisco”, n. 35/2001, pag. 11658.
In argomento, cfr. Tribunale di Pinerolo, 13 giugno 2002, in “Rass. Trib.”, 2002, pagg. 2129 e seguenti, con nota di Perini, Alla ricerca di un orientamento giurisprudenziale in materia di successione di norme nel tempo: la dichiarazione infedele tra vecchia e nuova normativa penale tributaria.
(13) Nel senso dell’abolito criminis si sono espresse le Sezioni Unite penali in Cass., 13 dicembre 2000, S., in “Foro it.”, 2001, II, 141 e seguenti. Tuttavia, per opposte conclusioni, cfr. Cass., n. 22207 del 16 aprile-7 giugno 2002, in “il fisco”, n. 36/2002, fascicolo n. 1, pag. 13510.
(14) Bongiovanni, Profili penali dei condoni, cit.; CORSO, I possibili effetti penali della definizione automatica, in “Corr. Trib.”, 2003, n. 6, pag. 441; Izzo, Integrativa semplice e condono tombale, cit., pag. 1064.
(15) Nel senso della continuità normativa tra art. 2621, n. 1) ante riforma e attuale art. 2621 del codice civile, cfr. Cass., 8 maggio 2002, T., in “Cass. pen.”, 2002, pag. 2051; Cass., 21 maggio 2002, F., in “Foro it.”, 2002, II, 401, nonché in “Le società”, 2002, pag. 1097; Cass., 11 luglio 2002, in “Diritto e giustizia” n. 46/2002, pag. 80; App. Torino, 25 settembre 2002, inedita; App. Milano, 10 maggio 2002, in “Le società”, 2002, pag. 1099; Tribunale di Ravenna, 15 maggio 2002, in “Cass. pen.”, 2002, pag. 2053; Tribunale di Bari, 18 giugno 2002, in “Le società”, 2002, pag. 1101; Tribunale di Milano, 23 aprile 2002, in “Le società”, 2002, pag. 1114; Tribunale di Alba, 16 maggio 2002, in “Le società”, 2002, pag. 1107; Tribunale di Napoli, 29 maggio 2002, F., in “Giur. merito”, 2002, pag. 1055. Per una panoramica degli orientamenti giurisprudenziali si veda BERSANI, Prime applicazioni giurisprudenziali in tema di successione di norme penali per il reato di false comunicazioni sociali ex art. 2621 del codice civile, in “Impresa”, 2002, pag. 1160. Da ultima, si veda altresì la recentissima sentenza delle Sezioni Unite penali del 26 marzo 2003, pronuncia ancora inedita mentre il presente lavoro viene concluso. Nel senso dell’abolitio criminis, invece, Tribunale di Milano, 20 novembre 2002, in “Dir. pratica delle società” n. 49/2002, pag. 88; Tribunale di Ascoli Piceno, 29 maggio 2002, in “Foro it.”, 2002, II, 401; Tribunale di Milano, 15 maggio 2002, in “Le società”, 2002, pag. 1109; Tribunale di Macerata, 28 maggio 2002, in “Foro it.”, 2002, II, 401; Tribunale di Napoli, 28 maggio 2002. G., in “Giur. merito”, 2002, pag. 1056.
(16) Caraccioli, Profili penali del nuovo concordato fiscale, cit., pag. 433.
(17) In merito alla puntuale elencazione degli atti alla cui notifica consegue la formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale si veda la circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003. Cfr. altresì Bongiovanni, Profili penali dei condoni previsti dalla Finanziaria 2003, pubblicato sul sito internet Penale.it.
(18) La legge di conversione del D.L. n. 282/2002 è stata approvata dalla Camera il 6 febbraio e dal Senato il 18 febbraio con L. 21 febbraio 2003, n. 27.
(19) Tinti, Il difficile raccordo tra il tributario e il penale nel nuovo condono, in “il fisco”, n. 8/2003, fascicolo n. 1, pag. 1214 e seguenti; ROSSI, “Condono 2003”, Esclusione della punibilità e processi pendenti, in “il fisco”, n. 8/2003, fascicolo n. 1, pagg. 1217 e seguenti.
(20) E cfr. Chieppa, L’esercizio dell’azione penale per i reati tributari nei confronti dell’amministratore ed il condono della società, in “il fisco”, n. 7/2003, fascicolo n. 1, pagg. 1066 e seguenti.
(21) Cfr., in argomento, Tinti, Il difficile raccordo tra il tributario ed il penale nel nuovo condono, cit., pag. 1216; Chieppa, L’esercizio dell’azione, cit., pag. 1067.
(22) Cfr. la precedente nota 15.
(23) Tra le molte, Cass., Sez. V, 28 maggio 1996, S., in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 1997, pag. 583; Cass., sez. V, 26 giugno 1990, B., in “Cass. pen.”, 1991, pag. 828; Cass., Sez. V, 26 aprile 1990, E., in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 1991, pag. 266; Cass., Sez. V, 21 novembre 1989, P., in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 1991, pag. 272; Cass., Sez. V, 21 novembre 1986, B., in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 1989, pag. 1161, con nota di Schiavano.
Ulteriori riferimenti in Casaroli, Disposizioni penali, in “Commentario breve alla legge fallimentare”, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2000, pag. 911; Pedrazzi, Sgubbi, Reati commessi dal fallito, Reati commessi da persone diverse dal fallito, “Commentario Scialoja Branca Legge Fallimentare, artt. 216-227”, a cura di Galgano, Bologna, 1995, pag. 312.
(24) Cfr. Cass., 21 gennaio 1998, C., in “Foro it.”, 1998, II, 517; Cass., 4 aprile 1997, A., in “Guida al diritto”, n. 23/1997, pag. 80.
(25) Cfr., in argomento, le perplessità di Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2002, pagg. 149 e seguenti.
(26) Su tale annosa questione, con riferimento al “vecchio” condono del 1991, cfr. Cass., SS.UU., 1 febbraio 2000, S., in “Dir. pen. e processo”, 2000, pag. 830, con nota di Perini.
(27) In argomento, per tutti, Vassalli, voce Cause di non punibilità, in “Enc. del diritto”, vol. VI, Milano, 1960, pag. 610.
(28) Per tutti, Romano, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità, in “Studi in onore di Giuliano Vassalli”, vol. I, Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale, Milano, 1991, pagg. 221 e seguenti; ID., Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano, 1995, pag. 490.
(29) Per tutti, cfr. Romano-Grasso-Padovani, Commentario sistematico del codice penale, vol. III, artt. 150-240, Milano, 1994, pagg. 9 e seguenti.
(30) Caraccioli, Profili penali del nuovo concordato fiscale, cit., pag. 434 “… si deve necessariamente propendere per la loro natura di cause sopravvenute speciali di estinzione del reato, in quanto presuppongono un reato già consumato, di cui vengono eliminati successivamente gli effetti, mentre le scriminanti coesistono al fatto, rendendo lecito il comportamento fin dall’inizio”.
(31) In argomento, tra i tanti lavori, cfr. Musco, La premialità nel diritto penale, in “Indice penale”, 1986, pagg. 591 e seguenti; Padovani, Il traffico delle indulgenze, cit., 1986, pag. 398; Zagrebelsky, voce Indulto, (dir. cost.), in “Enc. del dir.”, vol. XXI, 1971, pagg. 247 e seguenti. In linea generale, cfr. altresì le riflessioni di Maiello, La clemenza tra dommatica e politica criminale, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1992, pagg. 1029 e seguenti, in particolare pagg. 1062 e seguenti con riferimento al principio di uguaglianza; Pulitanò, Tecniche premiali fra diritto penale e processo, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1986, pag. 1017, ove ulteriori riferimenti; Stortoni, Profili costituzionali della non punibilità, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1984, pagg. 645 e seguenti
(32) Secondo Izzo, Integrativa semplice e condono tombale, cit., pag. 1064, invece, il condono di cui all’art. 8 della Finanziaria esplicherebbe i propri effetti estintivi anche in capo alla persona giuridica.
(33) Di diverso avviso sembra l’Amministrazione finanziaria che, con la circolare n. 19/E del 27 marzo 2003, alla risposta n. 30, ha affermato che potrebbe accedere a tutte le sanatorie previste dalla “Finanziaria” il contribuente che abbia perduto “la qualità di imputato”. Dunque, stando a questa lettura, potrebbe sempre accedere alle sanatorie il contribuente che sia stato assolto in un procedimento relativo a reati fiscali, ma altresì il contribuente che abbia “patteggiato” la pena o, addirittura che sia stato condannato (con sentenza definitiva) per un tale reato: in tutte queste situazioni, infatti, viene meno la natura di soggetto “imputato”.
In realtà, tale interpretazione ministeriale sembra confliggere con la lettera della norma che, assai nitidamente, si limita a fare riferimento all’avvenuto esercizio dell’azione penale, quale che ne sia stato l’esito.
(34) In particolare, cfr. Corte Cost. sent. n. 148/1983, sulla quale – per tutti – Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, 2001, pag. 90. Nello stesso solco, successivamente, Corte Cost. sent. n. 321/1983; ord. n. 387/1987; sent. n. 826/1988; sent. n. 124/1990 (con declaratoria di incostituzionalità); sent. n. 167/1993; sent. n. 25/1994; sent. n. 89/1996.
(35) Cfr. Tinti, Il difficile raccordo, cit., pag. 1214.
(36) Così, chiaramente, Tinti, Il difficile raccordo, cit., pag. 1214.
(37) Tinti, Il difficile raccordo, cit., pag. 1216.
(38) Spunti, in tale direzione, in Tinti, Il difficile raccordo, cit., pag. 1215.
(39) Ed infatti, lo stesso Tinti, Il difficile raccordo, cit., pag. 1215 giudica come “molto evanescente” e “davvero ardua” una tale conclusione.
(40) Cfr. Corte Cost., n. 148/1993, citata.
(41) Per tutti, su tale problematica, cfr. Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, 2001, pagg. 83 e seguenti. Sulle sentenze “additive”, cfr. altresì Patrono, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, in “Riv. trim. dir. pen. ec.”, 1988, pag. 93 ed ivi nota 29, ove ulteriori riferimenti.
(42) Eccetto l’atipico e più circoscritto concordato di cui al D.L. n. 564/1994, convertito, con modificazioni, nella L. n. 656/1994 e successivamente denominato “accertamento con adesione” e disciplinato dal D.Lgs. n. 218/1997.
(43) Cfr. D.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23.
(44) Cfr. D.P.R. 9 agosto 1982, n. 525.
(45) Sia permesso, sul punto, rinviare a Perini, Il condono tributario del 1991 davanti alle Sezioni Unite: fu “amnistia a pagamento”?, in “Dir. pen. processo”, 2000, pagg. 833 e seguenti.