Alberto Mastromatteo, Quando il creditore personale del coniuge prende (o perde)…quota, in Questioni di diritto di famiglia, Maggioli Editore, 3/2010.
Trib. Reggio Emilia, Ufficio Esecuzioni Immobiliari, ordinanza 7 ottobre 2009.
Acquisto di immobile in comunione legale – Inaggredibilità della quota da parte dei creditori personali di un coniuge – Nozione di quota.
Per aggredire legittimamente la “quota ideale” spettante al singolo coniuge in regime di comunione legale, occorre che il suo valore sia calcolato non già per ogni singolo cespite, bensì con riferimento all’intera massa della comunione legale, in maniera che l’azione esecutiva dei creditori particolari, pur svolgendosi su ciascun bene per l’intero, non gravi complessivamente per un ammontare di valore superiore alla metà dell’intero patrimonio in comunione.
Quando il creditore personale del coniuge prende (o perde)…quota.
I. Il fatto.
Due coniugi in regime di comunione legale acquistano un’unità immobiliare senza che dagli atti risulti che l’acquisto di essa sia avvenuto in proprietà esclusiva ai sensi dell’art. 179, c.c.. A seguito di una sentenza di condanna a carico del marito, il terzo creditore di costui procede in esecuzione col pignoramento della quota indivisa di proprietà del debitore sull’immobile predetto.
Ne scaturisce opposizione a latere debitoris, conclusa con l’ordinanza in commento.
II. Una premessa sulla comunione legale tra coniugi1.
Con la riforma del diritto di famiglia di cui alla l. 17 maggio 1975, n. 151, il legislatore ha
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Controversa è la ratio della comunione legale.
Una prima opinione2 ravvisa il fondamento del predetto regime nell’esigenza di garantire un “compenso” al lavoro casalingo della moglie.
Una seconda impostazione3 collega la scelta effettuata dal legislatore alla volontà di attuare l’art. 29 Cost.: talché, la comunione legale promuoverebbe la parificazione anche economica tra gli sposi.
Secondo una terza opinione, la comunione legale risponde all’esigenza di parificare la partecipazione dei coniugi alle «ricchezze» conseguite post nuptias, agli incrementi patrimoniali realizzati durante la vita matrimoniale4.
L’art. 177, lett. a), c.c., stabilisce che costituiscono oggetto della comunione legale gli acquisti che i coniugi abbiano compiuto insieme o separatamente in costanza di matrimonio. Talché, nel caso in cui un coniuge effettui un acquisto, la titolarità sul bene si estende nell’immediato all’altro coniuge ex lege, entrando a far parte della comunione legale.
Si disquisisce in dottrina sul tipo di meccanismo che consente al coniuge di divenire titolare del bene acquistato dal partner.
Una prima opinione5 ritiene che il coniuge dell’acquirente sia beneficiario di un ritrasferimento pro quota6. Questa riflessione sarebbe ispirata dalla necessità di rispettare il principio di relatività del contratto previsto dall’art. 1372, c.c., talché, la possibilità che esso produca effetti sfavorevoli in capo al coniuge non stipulante dovrebbe indurre a considerare l’acquisto di costui come il prodotto di un ritrasferimento a suo favore, mediante il confluire in comunione della sua quota di credito sull’acquisto compiuto dal coniuge che sia stato parte sostanziale del contratto7.
Altri autori ritengono che la contitolarità sul bene acquistato durante il matrimonio sia frutto di un unico trasferimento8, sicché il coniuge deve essere considerato acquirente diretto ed immediato dal dante causa dell’altro9. Secondo i fautori di questa teorica non si comprende come possano discendere ex lege da un medesimo acquisto, mediante un medesimo atto, effetti diversi a seconda, da un lato, che siano favorevoli o meno e, dall’altro, del soggetto che ne venga investito. In tale prospettiva, si esalta la formulazione dell’art. 177, c.c., il quale sarebbe uno dei «casi previsti dalle legge», di cui al cpv. dell’art. 1372, idonei a derogare alla regola della relatività degli effetti del contratto ivi regolata ed in cui, quindi, il contratto produce effetti anche nei riguardi di chi non abbia partecipato alla sua formazione. La particolarità della fattispecie è che l’estensione degli effetti del contratto a chi non sia stipulante è limitata agli acquisti10.
In via intermedia alle precedenti, si è sostenuto che la comunione non debba essere intesa come “contitolarità”, ma come “vincolo”, restando la titolarità esclusiva del coniuge acquirente sugli acquisti che cadono in comunione, il quale sarebbe soggetto ad un obbligo nei riguardi dell’altro coniuge pari al 50% del valore dell’investimento11.
Per quel che riguarda, infine, la natura giuridica della comunione legale si segnalano due indirizzi fondamentali.
Secondo i fautori di una prima teoria, detta soggettiva, essa costituirebbe un autonomo soggetto di diritto12. Al riguardo, si trae argomento dall’art. 180, c.c., che, nel disporre che il potere di amministrazione e di rappresentanza in giudizio per gli atti relativi alla comunione medesima spetta ad entrambi i coniugi disgiuntamente, presupporrebbe l’esistenza di un soggetto da essi diverso; inoltre, dall’indisponibilità della quota del patrimonio comune, deriverebbe la possibilità di accostare questo modello a quello della comunione di tipo germanico, cd. “a mano comune” o a “mani riunite”.
I sostenitori dell’opposta concezione oggettiva criticano le precedenti argomentazioni. Si sostiene, infatti, come la norma citata contenga “un’espressione impropria”13. In tale prospettiva, la comunione legale instaurerebbe solo un vincolo sul bene, del quale resta comunque titolare esclusivo il coniuge che lo ha acquistato. Tuttavia, l’altro partner matura sul bene medesimo un diritto di godimento, di amministrazione e di controllo. Inoltre, allo scioglimento della comunione, il consorte non proprietario ha il diritto di ottenere la sua parte sul predetto bene14. Invero, le norme che regolano il regime legale ricollegano diritti e obblighi non ad un soggetto distinto dai coniugi, ma alla sfera giuridica di costoro. Inoltre, l’argomento che prende le mosse dalla indisponibilità della quota non è sufficiente a consentire un’identificazione del regime legale con la comunione “a mano comune”, poiché la predetta indisponibilità della quota del singolo coniuge non trova giustificazione nel fatto che il relativo potere di disposizione spetti ad un organo della comunione, ma perché si tratta di una comunione che deve necessariamente intercorrere tra i coniugi15.
III. Le differenze tra comunione legale e comunione ordinaria.
Prendendo le mosse dalla teoria oggettiva sulla natura della comunione legale, parte della dottrina16 si esprime in termini di contitolarità tra i coniugi del patrimonio comune, il quale è pur sempre privo di soggettività giuridica. La presunzione di una contitolarità dei coniugi sul patrimonio oggetto del regime legale, però, che è la caratteristica che consente di accostare il detto regime alla comunione ordinaria17, non deve portare a confondere l’istituto in parola con quello di cui agli artt. 1100 e ss., sussistendo fra essi molteplici differenze18.
In primo luogo, mentre fonte della prima è solo la legge, la seconda può trovare origine anche in una convenzione. In secondo luogo, la misura delle quote sul bene è ben differente tra le due ipotesi, ammettendo la comunione ordinaria la possibilità di quote diseguali, quella legale presupponendo, invece, la loro equivalenza19 (peraltro, l’art. 210, cc, sancisce espressamente l’inderogabilità della parità tra le quote). Un’ulteriore differenza attiene ai poteri dei comproprietari, che nella comunione ordinaria possono solo disporre della propria quota e non anche dell’intero bene; diversamente, il coniuge comunista può disporre solo e soltanto dell’intero bene, allorché sussistano i presupposti di cui agli artt. 181, 182 e 183, c.c., e mai della propria quota.
Ancora, i due regimi sono differenti in punto di amministrazione. Gli artt. 1105 e ss, cc, prevedono che la comunione ordinaria sia amministrata in via congiunta, attraverso una procedura di deliberazione a maggioranza (artt. 1105, comma 2, e 1108, commi 1, 2 e 3, cc) o all’unanimità, a seconda del tipo di atti da compiere. Per contro, nella comunione legale l’art. 180, cc, prevede l’amministrazione disgiunta per gli atti di ordinaria gestione (comma 1), mentre quella congiunta per quelli di straordinaria amministrazione (comma 2). L’ultima differenza attiene alla possibilità di chiedere la divisione della comunione ordinaria in ogni tempo ad istanza anche di uno solo dei comproprietari (art. 1111, cc), ciò che è escluso per i coniugi in regime di comunione legale, finché questa perduri.
Ciononostante, la dottrina è tendenzialmente propensa a ritenere applicabili in via residuale le norme della comunione ordinaria, al fine di colmare le lacune di disciplina di quella legale20.
III. I debiti personali e la nozione di quota21.
Ai sensi degli artt. 187 e 188, c.c., i beni della comunione non possono essere aggrediti per il soddisfacimento di debiti contratti prima delle nozze, sia dal singolo che da entrambi i coniugi, e per le obbligazioni che gravano sui beni pervenuti per donazione o successione.
L’art. 189, c.c., poi, al 1° comma, prevede la responsabilità del coniuge obbligato per i debiti che derivino da atti di straordinaria amministrazione compiuti senza il consenso dell’altro coniuge. In realtà, occorre precisare che nel caso in cui tale atto si riveli vantaggioso per la famiglia o funzionale al soddisfacimento dei bisogni di questa, il coniuge che lo abbia realizzato non avrà l’obbligo di ricostituire la comunione legale per l’importo corrispondente ai beni di questa che siano stati aggrediti. Inoltre, sulla sorte delle obbligazioni contratte dal coniuge stipulante per l’acquisto di beni che ricadono in comunione, la dottrina22 e giurisprudenza maggioritarie ritengono che esse restino personali del coniuge stipulante, in quanto non si può applicare agli atti di acquisto dei beni che pure ricadano in comunione legale la disciplina propria dell’amministrazione, che è un’attività che ontologicamente riguarda i soli cespiti che sono già soggetti a tale regime23.
La disposizione da ultimo citata fa riferimento alla nozione di quota, che indica il tetto entro cui le pretese creditorie nei confronti del singolo coniuge possono trovare soddisfazione all’interno dei beni in comunione legale. Ora, la quota in commento deve ritenersi inalienabile e inespropriabile, essendo il regime legale de quo definito, addirittura, una comunione “senza quote”24 ed essendo, inoltre, difficilmente ipotizzabile che la parte di beni riconducibile alla quota ideale del coniuge non obbligato possa essere aggredita e venduta all’incanto25.
Pertanto, si è delineata una prima opinione, secondo la quale il limite della “quota” andrebbe riferito ad ogni singolo bene della comunione, analogamente a quanto avviene nella comunione ordinaria, talché il creditore personale del singolo coniuge potrebbe cercare soddisfazione su qualunque dei beni della comunione, ma fino alla metà e mai per l’intero loro valore26. La restante quota resterebbe nella comunione legale, ma diverrebbe inaggredibile ad opera dei creditori del coniuge già esecutato27.
Secondo l’opinione maggioritaria, invece, la nozione di “quota” deve essere riferita non al bene in sé, bensì al valore dello stesso, nei limiti del valore dei beni del coniuge obbligato, calcolato sull’intera massa dei beni in comunione28. Per tale via, il creditore procedente ha la possibilità di scegliere l’aggressione su uno qualunque tra i beni in comunione, anche per l’intero, senza che il coniuge non stipulante possa in alcun modo opporsi in forza della sua contitolarità sullo stesso e della sua estraneità al negozio da cui sia scaturita l’obbligazione.
In proposito ci si può interrogare sulla sorte dei beni che residuano una volta che il creditore procedente si sia soddisfatto sui beni in comunione.
Secondo i fautori della tesi riportata per prima retro, ciò che residua rimarrebbe in comunione e non potrebbe essere riaggredito da altri creditori personali del coniuge esecutato29.
Per contro, altra opinione ritiene che il residuo dell’azione esecutiva del creditore procedente andrebbe reso al coniuge non stipulante in proprietà esclusiva30.
IV. L’ordinanza in rassegna.
Il giudice dell’ordinanza in commento, constatato che l’immobile oggetto dell’esecuzione al momento della domanda si trovava in regime di comunione legale, precisa come essa non possa essere considerata una fattispecie di contitolarità di diritti (a differenza della comunione ordinaria), pertanto «il complesso patrimoniale, costituito dall’insieme dei cespiti facenti parte delle categorie indicate nell’art. 177 cod. civ., non è oggetto di un sovraordinato diritto di ciascun coniuge, che differisca dal diritto avente ad oggetto ciascun bene». Egli inoltre riporta, aderendo, le considerazioni della Consulta, n. 311/1988, cit., in particolare postulando che la quota non rappresenta un elemento strutturale dell’istituto. Ne deriva l’impossibilità per il coniuge di alienare ad un terzo la sua partecipazione alla comunione legale, sostituendo a sé in essa un terzo estraneo.
Talché, la quota della comunione legale assurge a mera “astratta misura del riparto”, ad elemento ideale di suddivisione del cespite in comunione legale, idoneo a concretizzarsi in un quid solo al momento di scioglimento di questa.
Ne deriva che oltre che indisponibile da parte del coniuge, la quota è altresì inespropriabile da parte del creditore personale di questi31. Contrariamente verrebbe a riprodursi l’aberrante risultato della sostituzione nella comunione legale del coniuge con un terzo estraneo al rapporto (nel caso, l’aggiudicatario).
Poste tali premesse, il giudice reggiano osserva che, alternativamente alla escussione della quota indivisa del bene, il creditore avrebbe potuto percorrere la via dell’escussione dell’intero bene, per tale via conseguendo il creditore un ricavato non eccedente la quota della metà spettante al coniuge obbligato (ossia il valore corrispondente alla quota ideale sul bene). Con la conseguenza che all’aberrante risultato rifiutato dal giudice, si sostituisce la possibilità per il coniuge non esecutato di ottenere per sé l’intero valore corrispondente alla sua quota, che residui dall’esperimento dell’azione esecutiva. Tuttavia, il giudice precisa che per tale via il diritto reale del coniuge non stipulante viene ex abrupto trasformato in diritto di credito e che, quindi, occorre condividere le considerazioni svolte da precedente giurisprudenza32, secondo cui occorre seguire «la strada della legittimità del sequestro di uno o più beni della comunione legale, aggrediti per l’intero ai fini della soddisfazione su tutto il loro ricavato, ma fino al valore corrispondente a quello spettante sull’intera massa comune al coniuge debitore», tale soluzione, se concretamente adottata, essendo «in linea con la lettera e la ratio della norma nel senso che ciascun creditore particolare del coniuge, in regime di comunione legale, può soddisfarsi, in via sussidiaria, sui singoli beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Tuttavia, il valore della quota del coniuge obbligato deve essere calcolato non già per ogni singolo cespite, bensì con riferimento all’intera massa della comunione legale, in maniera che l’azione esecutiva dei creditori particolari, pur svolgendosi su ciascun bene per l’intero, non gravi complessivamente per un ammontare di valore superiore alla metà dell’intero patrimonio in comunione».
Tale soluzione, effettivamente, appare la più coerente con la concezione della comunione legale offerta dalla Consulta e dalla Suprema Corte, cit., che la configurano non come una situazione di contitolarità “pro quota”, come se fosse una comunione ordinaria, bensì una sorta di “proprietà solidale”33, in cui la quota assolve funzioni peculiari, finalizzate a salvaguardare gli interessi individuali dei coniugi, “considerati in una prospettiva metafamiliare”.
Sulla scorta di tali considerazioni, il giudice dell’esecuzione perviene al rigetto dell’istanza di vendita dell’immobile e ordina al conservatore dei registri immobiliari la cancellazione del pignoramento sull’immobile oggetto della questione.
Avvocato Alberto Mastromatteo
Abstracts
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Nel caso in cui un coniuge effettui un acquisto, la titolarità sul bene si estende nell’immediato all’altro coniuge ex lege, entrando a far parte della comunione legale (Par. II, p. 1)
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La dottrina è tendenzialmente propensa a ritenere applicabili in via residuale le norme della comunione ordinaria, al fine di colmare le lacune di disciplina di quella legale (Par. II, p. 4)
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la nozione di quota indica il tetto entro il quale le pretese creditorie nei confronti del singolo coniuge possono trovare soddisfazione all’interno dei beni in comunione legale (Par. III, p. 5)
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Secondo l’opinione maggioritaria la nozione di “quota” deve essere riferita non al bene in sé, bensì al valore dello stesso, nei limiti del valore dei beni del coniuge obbligato, calcolato sull’intera massa dei beni in comunione (Par. III, p. 5)
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Tale soluzione, effettivamente, appare la più coerente con la concezione della comunione legale offerta dalla Consulta e dalla Suprema Corte che la configurano come una sorta di “proprietà solidale” (Par. IV, p. 7)
1 Per un’approfondita disamina in materia, ci si permette di rimandare, fra gli altri, al nostro lavoro A. Mastromatteo, La comunione legale: l’oggetto, in Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di A. Arceri, M. Bernardini, Maggioli editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2009, pp. 457-527.
2 Cfr., fra gli altri, R. Costi, Lavoro e impresa nel nuovo diritto di famiglia, Milano, Giuffrè, 1976, p. 11 e ss.
3 Cfr., fra gli altri, L. Barbiera, La comunione legale, in Tratt. Rescigno, Bari, Cacucci, 1997, p. 14.
4 Così P. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, Tomo III, Padova, Cedam, 1992, sub) artt. da 177 a 197, p. 73. L’Autore aggiunge che «l’attribuzione di tali beni al solo coniuge che ne abbia procurato l’acquisto significherebbe, infatti, ignorare il contributo diretto o indiretto, materiale o morale, che l’altro coniuge di solito […] ha prestato alle fortune familiari, con propri sacrifici o rinunce, incentivando il risparmio comune, sostenendo, anche psicologicamente, l’attività del partner».
5 G. Cian – A. Villani, Comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in N. Dig. It., App., II, Torino, Giappichelli, 1981, p. 164.
6 G. Gabrielli, M.G. Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 18 e 19, riferiscono di questa impostazione i passi da cui prende le mosse allorché scrivono: «si sostiene che occorrerebbe riconoscere l’esistenza di un trattamento peculiare dell’acquisto posto in essere individualmente dal singolo coniuge, se abbia titolo in un contratto. Il principio in base al quale gli effetti contrattuali si producono nella sola sfera giuridica delle parti contraenti (art. 1372, c.c.) dovrebbe importare, secondo questo orientamento, che la titolarità del rapporto contrattuale, come insieme di situazioni soggettive attive e passive, faccia sempre capo, esclusivamente, al coniuge stipulante».
7 Si osserva che il meccanismo sarebbe in sostanza quello previsto in relazione agli acquisti compiuti dal mandatario senza procura (artt. 1705 e ss.)
8 Fra gli altri, cfr. P. Schlesinger, op. cit., sub art. 177, p. 85 e ss.
9 G. Gabrielli, M.C. Cubeddu, op. cit. pp. 17 e 18 afferma che al fine di risolvere il dubbio interpretativo, poteva essere di sostegno una norma che il codice prevedeva prima della riforma del 1975; l’art. 218, infatti, recitava che “la comunione si opera di diritto anche quando nell’atto di acquisto non ne è fatta menzione. Ciascuno dei coniugi, trattandosi di immobili, ha facoltà di far eseguire la relativa trascrizione, nei registri immobiliari”. Dice l’Autore che «in effetti, tale formula depone piuttosto per un automatico coacquisto anche in capo al coniuge rimasto estraneo all’atto che per un ritrasferimento pro quota dall’altro coniuge, unico acquirente».
10 G. Gabrielli, C.M. Cubeddu, op. cit., p. 20 osservano che «la scomposizione del rapporto contrattuale complesso, discendente dalla circostanza che l’efficacia diretta nella sfera del coniuge estraneo è limitata agli acquisti, non è, a ben vedere, singolare. L’ordinamento contempla infatti una situazione per qualche aspetto analoga nel caso in cui, in sede di cessione del contratto, il contraente ceduto abbia dichiarato di non liberare il cedente (art. 1408, comma secondo, c.c.)».
11 Cfr, fra gli altri, F. Prosperi, Sulla natura della comunione legale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983, pp. 123 e ss. P. Shlesinger, op. cit. pp. 83 e ss., ribadendo la natura della comunione come contitolarità e non vincolo su un patrimonio, obietta a questa tesi che «talvolta l’acquisto di un diritto da parte di un coniuge comporta non l’acquisto di una contitolarità su quel medesimo bene a favore dell’altro coniuge, bensì l’acquisto di una semplice ragione di credito interna di un coniuge verso l’altro, ferma restando la titolarità esclusiva esterna sul bene a favore del coniuge acquirente». La necessità di contemperare le ragioni dei coniugi in comunione legale con le esigenze di sicurezza nei traffici giuridici avvertite in funzione di tutela dei terzi potrebbe essere soddisfatta mantenendo distinti gli effetti sostanziali da quelli processuali nella vicenda scaturente dal contratto in forza del quale l’un coniuge “compie un acquisto”, consentendo l’ingresso automatico in comunione dei beni acquistati singolarmente dai coniugi, ma ritenendo solo quello stipulante legittimato attivo e passivo delle azioni che scaturiscono dalle relative operazioni negoziali.
12 Cfr. V. De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, Giuffrè, 1995, p. 236 e ss.; E. Quadri, Il contenuto della comunione legale: l’itinerario esegetico della Cassazione, in N.G.C.C., 1994, II, 311 e ss.
13 Così M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 2a ed., Padova, Cedam 2007, p. 72, il quale precisa che «se si considerano l’art. 194 c.c. – che prevede dopo lo scioglimento della comunione la divisione dei beni fra coniugi – e l’art. 189 c.c. – che regola la responsabilità per le obbligazioni contratte separatamente, prevista, sia pure in via sussidiaria, sino al valore della quota – si perviene alla conclusione che non è configurabile un patrimonio autonomo, bensì una contitolarità dei beni coniugali».
14 Si segnalano, altresì, teoriche parzialmente differenti da quella da ultimo esaminata. Al proposito, F. D. Busnelli, La “comunione legale” nel diritto di famiglia riformato, in Riv. Not., 1976, p. 40, muovendo dalla concezione oggettiva, ricostruisce la comunione legale come patrimonio separato o di destinazione, poiché vincolato ad uno scopo, quasi si trattasse di una società di persone. Tuttavia, si obietta non solo che lo scopo di lucro, se è essenziale nella società di persone, non lo è di certo nella comunione legale (anzi, addirittura potendo ritenersi che esso sia estraneo al regime legale); ma anche che lo scioglimento di questa non può aversi che nei casi tassativamente determinati dalla legge e che, nel caso di suo scioglimento per morte di uno dei coniugi, non è ammissibile che essa continui con l’erede del defunto, e cioè con una persona diversa dal coniuge.
15 Pertanto, l’evenienza di un’alienazione della quota instaurerebbe una comunione ordinaria tra l’acquirente e l’altro coniuge, ciò che contrasterebbe inoltre con la tassatività delle cause di scioglimento della comunione legale.
16 Cfr., ex ceteris, P. Di Martino, La comunione legale tra coniugi: l’oggetto, in G. Bonilini, G. Cattaneo, Il diritto di famiglia. II. Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, Utet, 2007, pp. 64 e ss.
17 Piuttosto, c’è la tendenza in dottrina a ritenere maggiormente convergenti le discipline della comunione legale e di quella ereditaria.
18 Secondo la Cass., 7 marzo 2006, n. 4890, in Dir. & Giust., 2006, p. 1944, «la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto al quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune» con il consenso dell’altro coniuge, qualora si tratti di atto di straordinaria amministrazione, in forza dell’art. 180, c.c.
19 Al riguardo, M. Sesta, op cit., p. 73, afferma che ciò si evince «dal combinato disposto degli artt. 194 e 210 c.c., che sanciscono rispettivamente la divisione in parti uguali e l’inderogabilità della normativa sull’uguaglianza delle quote».
20 Tuttavia, la Corte Costituzionale 17 marzo 1988, n. 311, in Giur. cost., 1988, I, p. 1299, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 184, cc, ha evidenziato che “dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria”. Il giudice delle leggi osserva che mentre quest’ultima “è una comunione per quote”, l’altra “è una comunione senza quote”. La Corte precisa anche che in quest’ultima «i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, comma 2)». Da queste premesse scaturisce una precisa conseguenza, cioè che, “nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione. Il consenso dell’altro […] non è un negozio (unilaterale) autorizzativo […] è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio”. Talché, la fattispecie disciplinata dall’art. 184, comma 1, cc, “non è tecnicamente un caso di acquisto da un alienante non legittimato, bensì un caso di acquisto a domino in base ad un titolo viziato”. In forza di tali considerazioni, la Corte reputa legittima la previsione di annullabilità di cui alla norma in commento. Tuttavia, G. Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia, in Codice Della Famiglia, a cura di M. Sesta, I, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 762 e ss., revoca in dubbio la premessa dalla quale sembra muovere la Consulta: cioè che la comunione legale sia un’ipotesi di comproprietà solidale. Fra le altre argomentazioni, si segnalano in particolare quelle che fanno leva sulla circostanza che «se la proprietà dei coniugi fosse veramente solidale, dovrebbe valere la regola per cui i debiti per qualunque ragione contratti singolarmente da ciascuno dei coniugi dovrebbero impegnare senza limiti il patrimonio comune», mentre si può ricavare dall’art. 189, cpv., c.c., l’opposto principio secondo cui i creditori personali nell’esecuzione contro i beni comuni si devono limitare alla quota del coniuge obbligato. Inoltre, l’Autore osserva che «appare implicito nel concetto di solidarietà che ogni atto d’esercizio del diritto stesso – ivi compreso ogni atto di disposizione – da parte di uno solo dei più soggetti attivi è per definizione atto lecito (arg. ex art. 1292 c.c.), laddove l’art. 180 c.c. manifesta nella maniera più evidente l’esistenza di una obbligazione ex lege al compimento congiunto (o comunque con il necessario consenso di entrambi) degli atti di amministrazione e quindi anche di disposizione dei diritti in comunione: consegue che tali atti, ove compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, dovranno ritenersi illeciti (come del resto confermato dalle sanzioni predisposte dall’art. 184 c.c.) e pertanto non potranno essere in alcun modo considerati altrettante manifestazioni di un (in realtà inesistente) diritto di esercizio solitario di un potere che spetterebbe solidalmente a ciascuno dei coniugi».
21 Per un quadro completo delle tematiche in esame, cfr., inter alios, A. Arceri, La comunione Legale: il regime della responsabilità, in Il regime patrimoniale della famiglia, cit., pp. 729-761.
22 E. Quadri, Famiglia e ordinamento civile, Torino, Giappichelli, 1999; T. Arrigo, La nuova responsabilità per le obbligazioni della famiglia, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato, diretto da G. Ferrando, II, Bologna, Zanichelli, 2008, p. 563; F. Mastropaolo, P. Pitter, Commento agli artt. 186-190 c.c., in Commentario, G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, III, Padova, Cedam, 1992, p. 238.
23 Contra, Cass., 21 aprile 1993, n. 4666, in Giust. Civ., 1993, I, p. 2679, secondo la quale tali obbligazioni sono riferibili alla comunione, in quanto non sarebbe legittimo che la consistenza del peculio comune si incrementi a discapito di un solo coniuge e dei suoi creditori, i cui crediti non potrebbero trovare soddisfazione se non nei limiti di cui all’art. 189, c.c.
24 Cfr., retro, sub n. 20.
25 A. Arceri, op. cit., p. 760, aggiunge che «il nostro ordinamento non potrebbe mai tollerare che il coniuge non esecutato si venga a trovare in comunione legale con un terzo, aggiudicatario della quota stessa».
26 G. Grasso, Comunione legale ed espropriazione della quota del coniuge personalmente obbligato, in La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, II, Milano, Giuffrè, p. 804. In giurisprudenza, cfr. Trib. Genova, 30 gennaio 1982, in Giur. it., 1982, I, 2, p. 440.
27 A. Arceri, op. cit., p. 760, osserva che a voler seguire tale impostazione, per coerenza ne deriva che «l’esecuzione sui beni della comunione dovrebbe avvenire osservando il modello dell’espropriazione dei beni, e pertanto facendo luogo ai tre modi che l’art. 600 c.p.c. prevede per liquidare il diritto del contitolare non debitore: mediante separazione in natura, ovverosia mediante lo scorporo dal bene aggredito della porzione spettante al coniuge non esecutato; mediante la vendita della quota indivisa (sicché il coniuge non esecutato verrebbe a trovarsi in comunione ordinaria con un terzo); mediante la divisione del patrimonio comune, ove il bene sia indivisibile in natura. »
28 In tal senso, cfr., ex pluris, T. Arrigo, op. cit., pp. 569-570; M. Gionfrida Daino, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, Cedam, 1986, p. 62. In giurisprudenza, cfr. Trib. Prato, 21 novembre 1985, in Giur. it., 1988, I, 2, p. 824; Trib. Napoli, 6 aprile 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, p. 116.
29 Tuttavia, si obietta che così opinando, qualora il pignoramento non sia soggetto a trascrizione, i creditori non sarebbero nella possibilità di individuare quali beni siano già stati oggetto di esecuzione, con la conseguenza che ci si esporrebbe a continue opposizioni.
30 A. Arceri, op. cit., obietta al riguardo che «La soluzione così prospettata urta tuttavia contro il sistema di rimborsi e restituzioni previsto dall’art. 192, comma secondo c.c.: infatti il coniuge esecutato dovrebbe, una volta provocata l’aggressione dei beni comuni, non già operare la ricostituzione del patrimonio comune nell’originaria consistenza, ma procedere al rimborso direttamente a vantaggio del coniuge non escusso».
31 In tal senso, Trib. Bari, 18 dicembre 2001, in Riv. Esec. Forz., 2002, 2, p. 298.
32 Trib. Prato 21 novembre 1985, cit., e Trib. Napoli, 6 aprile 1990, cit., nonché, come obiter dictum, Sez. Un., 4 agosto 1998, n. 7640, in Rep. F. it., 1998, v. Famiglia (regime patrimoniale).
33 Invero, ci sembra suggestiva l’espressione “proprietà solidale”. Infatti, oltre a rimandarsi a quanto contestato da G. Oberto, cfr. retro, sub n. 20, e pur nella consapevolezza che la citazione sia evocativa (come se la Consulta e il giudice in commento avessero voluto dire: “tanto per rendere l’idea: si pensi a…”), è curioso pensare all’evenienza che soggetti terzi, senza che il titolare abbia realizzato alcun atto, possano sottrargli il bene senza che costui possa nulla eccepire, salva la possibilità di rivalersi sul coniuge. Chissà: forse tutto ciò è il portato della disposizione di cui all’art. 832, c.c, in tema di diritto di proprietà, la quale, si ricorda, precisata l’ampia latitudine dei poteri del proprietario, fa salvi i limiti previsti dall’ordinamento giuridico (in cui potrebbero ricondursi le disposizione esaminate nel presente commento).