Antonio Greco, Le classificazioni della prestazione, in Studium Iuris, Padova, 2005, 12, p. 1424 e ss.
Le classificazioni della prestazione
Sommario: 1. Gli elementi del rapporto obbligatorio. – 2. Segue: la prestazione: «dare», «fare» e «non fare».– 3. Segue: la prestazione principale e le prestazioni accessorie e sussidiarie. – 4. Le prestazioni negoziali e non negoziali. – 5. Le prestazioni fungibili e non fungibili. – 6. Le prestazioni istantanee o transeunti e a carattere continuativo. – 7. Le prestazioni semplici e le prestazioni complesse.
1. Gli elementi del rapporto obbligatorio.
Secondo la definizione comunemente data, «l’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale una persona (debitore) è tenuta ad una determinata prestazione verso un’altra persona (creditore)» (1). Questa formula ha le proprie remote origini in due passi in lingua latina (I, 3, 13, pr.; Paolo, D., 44, 7, 3 pr.). Il primo, presente nelle Istituzioni giustinianee, prevede: «Obbligatio est vinculum iuris quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura»; il secondo, contenuto nelle Pandette, è così redatto: «Obbligationum substantia non in eo consistit, ut aliquod corpus nostrum ant servitutem nostram faciat, sed ut alium nobis adstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum». Il passo delle Istituzioni di Giustiniano pone in risalto quello stato di soggezione psichica in cui il debitore versa nei confronti del creditore. L’altro testo esamina, invece, il contenuto del rapporto obbligatorio ed enuncia l’antitesi tra la categoria dei diritti di obbligazione e quella dei diritti reali (2).
Dalla scomposizione della sopraddetta definizione di obbligazione, si possono evidenziare i vari elementi che identificano il rapporto obbligatorio: a) il vincolo giuridico a carico del debitore; b) la prestazione; c) i soggetti del rapporto obbligatorio.
La definizione di obbligazione quale vinculum iuris (3), cioè quale rapporto da cui deriva una sanzione giuridica, fa rilevare innanzitutto la netta distinzione esistente tra obbligazioni scaturenti dal diritto e obblighi avente fonte diversa (sociale, costume, religione, galateo, etc.) (4). Le obbligazioni si caratterizzano, oltre che per il vincolo personale e patrimoniale
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L’essenza del vincolo giuridico che individua l’obbligazione è la prestazione, ossia ciò che è dovuto dal debitore al creditore (6). La struttura del vincolo è complessa, ed è costituita dal dovere personale del debitore (7) e dalla sua responsabilità patrimoniale (8).
I soggetti del rapporto obbligatorio, titolari delle corrispettive posizioni di debito e di credito, sono, dal lato attivo, il creditore, e dal lato passivo, il debitore. Affinché il rapporto possa esistere e trovare attuazione è intuitivamente necessario che i soggetti siano distinti e che sia possibile individuarli. Il principio di dualità sancisce la necessaria intercorrenza del rapporto obbligatorio tra un debitore ed un creditore (9). Il principio di determinatezza dei soggetti pone la distinzione tra obbligazioni e doveri generici. Questi ultimi, regolando la vita di relazione, sussistono nei confronti della generalità dei consociati. L’obbligazione, invece, impone uno specifico dovere nei confronti di un soggetto particolare, il creditore (10). Esempio di determinabilità dei soggetti del rapporto obbligatorio si può ravvisare nella promessa al pubblico (art. 1989 c.c.). Difatti, se qualcuno promette una data somma di danaro a chi ritroverà un determinato bene smarrito, il debitore è già determinato quando sorge l’obbligazione (è chi, rivolgendosi al pubblico, promette la somma), mentre non è determinato il creditore: questi è però determinabile in base ad un criterio già stabilito al momento in cui l’obbligazione è sorta (sarà colui che avrà ritrovato l’oggetto smarrito) (11).
Accennati i primi due elementi dell’obbligazione, la presente trattazione d’ora in avanti sarà esclusivamente dedicata all’analisi della prestazione.
2. Segue: la prestazione: «dare», «fare» e «non fare».
La prestazione è l’oggetto dell’obbligazione (12). Essa consiste in quel comportamento (condotta o contegno) che il debitore è tenuto a porre in essere nei confronti del creditore (13); ossia nello svolgimento di attività o nel conseguimento di risultati, funzionale per l’acquisizione degli stessi risultati o attività voluti dal creditore (14).
Etimologicamente, la parola «prestare» deriva dal latino praes e stare, e significa «star garante»: il senso della parola si ricollega dunque all’elemento della garanzia (15).
Giusta la nota definizione di Paolo (16) la sostanza o il contenuto delle obbligazioni consiste o in un dare, o in un facere o in un praestare.
Soltanto la seconda categoria della tripartizione romanistica corrisponde approssimativamente alla nozione che del «fare» si ha ai nostri giorni. Il significato giuridico del termine «dare» si riferiva invece al trasferimento della proprietà di una cosa; dunque, alla consegna con efficacia traslativa del diritto di proprietà. Attualmente, stante il disposto di cui all’art. 1376 c.c., la antica definizione ha perso buona parte del suo significato in quanto l’obbligazione che ha per oggetto la consegna di cose determinate presuppone che il trasferimento della proprietà sia già avvenuto. Il che non significa che non possono aversi prestazioni dovute con efficacia traslativa anche all’infuori delle tipiche ipotesi previste dal legislatore; significa piuttosto che l’oggetto del vincolo a «dare» qualcosa non è necessariamente costituito da una prestazione di consegna di cose ma, al contrario, dalla manifestazione stessa del consenso al trasferimento (17). La terza categoria, il praestare, concerne un tipo di prestazioni la cui peculiarità ne ha sconsigliato una classificazione generale. Del termine, già nel diritto comune, si era persa l’essenza; lo si intendeva come «eseguire una prestazione», attribuendogli così un significato che ripeteva, sintetizzandolo, quello degli altri due verbi (il dare e il facere) (18), mentre, il suo significato classico alludeva, così come detto in precedenza, al caso in cui si garantiva il creditore (19).
Il codice napoleonico, nel definire il contratto in funzione dell’obbligazione conseguente, pur discostandosi dal modello romano classico, non ha abbandonato la classificazione tripartita della prestazione (20). Dalla definizione di Paolo il legislatore francese ha espunto il praestare imperniando il contenuto della prestazione sul «dare», sul «fare» e sul «non fare» (21).
Anche se il codice civile italiano del 1865 e l’attuale codice civile del 1942, distinguendosi rispetto al code civil, non hanno esplicitamente riportato la tripartizione classica (22), essa tuttavia – nonostante sia latente (o forse anche esplicita) la coscienza dell’incertezza e dell’insufficienza delle ragioni che ancora ad oggi dovrebbero fondarla – continua ad essere considerata come generale classificazione delle prestazioni (23).
Le prestazioni di dare sono le obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento di un diritto o la consegna di un bene (24). Come già riferito in precedenza, la prestazione di «dare», in ragione dell’efficacia traslativa del mero consenso (art. 1376 c.c.), è destinata a convertirsi nel «consegnare» (25). Non fanno eccezione alla regola neanche le ipotesi in cui, come nel caso della vendita obbligatoria, il trasferimento non possa aver luogo al momento del consenso; basterà in questi casi, infatti, il consenso accompagnato da qualche ulteriore elemento (ad esempio, tramite l’individuazione della cosa da trasferire). Situazione analoga si verifica nel caso in cui un soggetto abbia assunto l’obbligo di trasferire attualmente (ad esempio, tramite un contratto preliminare); anche in tale ipotesi è data la possibilità di ottenere iussu iudicis il trasferimento tramite l’esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.) (26).
Le prestazioni di consegnare si distinguono in specifiche e generiche. Le obbligazioni generiche consistono nella consegna di una cosa determinata solo nel genere (27); quelle specifiche hanno ad oggetto beni identificati nella loro identità (28). Nel quadro del loro adempimento, il codice civile si limita a precisare che nell’obbligazione di consegnare una cosa determinata è inclusa «quella di custodirla fino alla consegna» (art. 1177 c.c.); nell’obbligazione di genere è connessa la regola secondo la quale il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media (art. 1178 c.c.) (29).
Le prestazioni di fare indicano, in senso ampio, tutte le obbligazioni aventi ad oggetto un’attività materiale o giuridica che non consiste in un dare (30). Per le obbligazioni di questa specie si è soliti distinguere a seconda che il fare riguardi il compimento di un’opera determinata o di un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione e/o con l’organizzazione dei mezzi e con gestione a proprio rischio ovvero consista nel mettere a disposizione del creditore le proprie energie lavorative, con vincolo di subordinazione (31).
Le obbligazioni di fare, inoltre, vengono distinte in due diverse sottospecie: nelle obbligazioni di mezzi e nelle obbligazioni di risultato (32). Nelle obbligazioni di mezzi, la prestazione cui il debitore è obbligato consiste in una determinata attività, idonea ad ottenere il risultato che il creditore si attende, ma non anche nella realizzazione del risultato stesso. Nelle obbligazioni di risultato il debitore è obbligato, verso il creditore, anche a realizzare il risultato. Nel primo caso la prestazione si identifica con l’attività diligente, perita ed esperta. La diligenza ex art. 1176 c.c. diventa così criterio per determinare la qualità e la quantità dell’attività dovuta; diventa unità di misura della prestazione, criterio per valutare se vi è stato o meno esatto adempimento. Nel secondo caso, invece, la diligenza gioca un ruolo marginale o minore nella determinazione del contenuto dell’obbligo (33).
La differenza tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato non rileva dal punto di vista della responsabilità del debitore. Essa non incide sul criterio di imputazione della responsabilità in quanto il fondamento della responsabilità contrattuale è identico in entrambe le ipotesi. Essa non incide sull’onere della prova: il creditore deve provare in entrambi i casi l’inadempimento; il debitore, in entrambi i casi, deve provare – al fine di esonerarsi da responsabilità – l’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. La differenza viene ad incidere piuttosto sul contenuto della prova. Il debitore di una obbligazione di risultato si libera da responsabilità provando che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile (provando dunque il caso fortuito, la forza maggiore, il fatto del terzo, il fatto del creditore o il factum principis). Di converso, il debitore di una obbligazione di mezzi può liberarsi anche offrendo la prova del proprio comportamento diligente, perito, prudente. Le cause ignote sono, nel primo caso, a carico del debitore; nel secondo caso, invece, restano a carico del creditore (34).
Le prestazioni di non fare, infine, consistono in un particolare rapporto giuridico di carattere patrimoniale che obbliga il debitore nei confronti del creditore all’osservanza di un comportamento astensivo (35): la prestazione consiste in un divieto, ossia un precetto giuridico negativo (36). Tale precetto va distinto rispetto ai doveri extracontrattuali di non ledere l’altrui sfera giuridica (art. 2043 c.c.). Il neminem laedere, infatti, quale obbligo negativo, ha il carattere della genericità e comporta l’astensione di tutti dal compimento di fatti illeciti (37); l’obbligazione negativa, invece, è un rapporto intercorrente tra soggetti determinati o determinabili, ed ha ad oggetto esclusivamente quel divieto di compiere fatti o atti altrimenti leciti, disciplinato contrattualmente o legislativamente previsto (38).
Le obbligazioni in commento, inoltre, vanno ulteriormente distinte dalle c.d. norme proibitive (quali, ad es., l’art. 1501, co. 2º, c.c., dove è sancito che il termine per il riscatto «non può essere maggiore di due anni nella vendita di beni mobili e di cinque anni in quella di beni immobili», oppure l’art. 1573 c.c., secondo cui la locazione «non può stipularsi per un periodo superiore ai trenta anni»). Infatti, mentre con le prime si riconosce pur sempre un diritto ad un contraente (quale, a titolo puramente esemplificativo, il diritto all’altrui astensione dalla concorrenza), nulla del genere può dirsi avuto riguardo delle norme proibitive: esse sono volte esclusivamente ad elidere diritti altrimenti esistenti (39).
In definitiva quindi l’obbligazione negativa mira a soddisfare l’interesse del creditore tramite l’astensione del debitore dall’esercizio di un proprio diritto (40).
3. Segue: la prestazione principale e le prestazioni accessorie e sussidiarie.
La classificazione della prestazione in «dare», in «fare» e in «non fare» vale ad indicare solo per grandi linee l’idea di come può configurarsi un rapporto obbligatorio. Quest’ultimo, infatti, più approfonditamente, rivela una maggiore complessità: il debitore difatti è normalmente obbligato ad una prestazione – di dare, di fare o di non fare – definibile come principale e ad una serie di ulteriori prestazioni – anch’esse di dare, di fare o di non fare – definibili come accessorie (41). Da ogni programma d’obbligazione possono, dunque, distinguersi una prestazione principale e delle ulteriori prestazioni definibili come accessorie e sussidiarie.
La prestazione principale, unica per ogni rapporto obbligatorio (per quanto complessa essa possa essere, come costruire un immobile o patrocinare una causa o eseguire un intervento chirurgico), si desume dalla fonte dell’obbligazione. Così dal fatto illecito, per effetto di quanto previsto dall’art. 2043 c.c., nasce l’obbligazione principale del risarcimento del danno; dal contratto nasce l’obbligazione principale che risulta nella struttura del tipo di contratto (ad esempio, restituzione della cosa nel contratto di comodato) o, nei contratti innominati, dalla volontà delle parti, per il riconoscimento del valore precettivo della stessa operato dalla legge (art. 1322, comma 2º, c.c.) (42).
Le prestazioni accessorie differiscono dalla prestazione principale solo per il grado gerarchico che esse occupano nel programma contrattuale (43), cioè per il fatto che assumono significato solo in subordine ad una data prestazione principale (44).
Gli esempi, sul punto, possono essere diversi. L’obbligazione gravante sul venditore di custodire la cosa di specie fino al momento della consegna al compratore è una ipotesi di prestazione di fare accessoria ad una obbligazione di dare; l’obbligazione gravante sull’agente di commercio di non trattare affari, nella zona assegnatagli dall’imprenditore preponente, per conto di altri imprenditori concorrenti con il preponente è un esempio di prestazione di non fare accessoria ad una prestazione principale di fare (ossia, nel caso dell’agente di commercio, il promuovere la conclusione di affari). Ancora: l’obbligazione del locatore è, nella sua complessità, quella di «far godere» la cosa propria al locatario o conduttore (art. 1571 c.c.); ma questa complessa obbligazione si scompone in una obbligazione di dare, la consegna della cosa al locatario o conduttore (art. 1575, n. 1, c.c.) e in più obbligazioni di fare, come quella di mantenere la cosa in stato idoneo a servire all’uso convenuto (art. 1575, n. 2, c.c.) e quella di difendere il pacifico godimento della cosa da parte del locatario (art. 1575, n. 3, c.c.) (45). Ancora, il tema delle prestazioni accessorie è esplicitamente disciplinato in materia societaria. L’art. 2345 c.c. (46), difatti, disciplina le ipotesi in cui il socio assume, oltre all’obbligo del conferimento, anche quello di eseguire delle prestazioni accessorie; tali prestazioni, anche in ambito societario, possono consistere o in un «dare» (47) o in un «facere» (48) o in un «non facere» (49).
Le prestazioni sussidiarie vengono in considerazione come puri elementi necessari per la corretta realizzazione del programma obbligatorio. La condotta che corrisponde a tali prestazioni non può essere pretesa in modo autonomo in quanto il corrispondente dovere non è mai azionabile singolarmente. Si tratta, nella specie, di dovere di praestare: si assicura la controparte in ordine a qualcosa che possa compromettere il suo soddisfacimento (50). Tali prestazioni hanno dunque la funzione di circoscrivere e precisare l’ambito di rispondenza del debitore per l’inadempimento del dovere a sussidio del quale esse sono poste (51).
Generale prestazione sussidiaria (52), che incombe sia sul debitore sia sul creditore, è quella di comportarsi l’uno verso l’altro secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) (53). La correttezza (o buona fede in senso oggettivo) è un fondamentale principio di solidarietà, che si specifica nell’obbligo di salvaguardia; debitore e creditore debbono comportarsi lealmente e devono cooperare per soddisfare l’uno l’interesse dell’altro nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio (54).
4. Le prestazioni negoziali e non negoziali.
Altra distinzione che può farsi in tema di prestazione è quella tra prestazioni negoziali e non negoziali (55).
Per meglio comprendere tale classificazione è necessario accennare brevemente il tema del negozio giuridico (56). Questo, solitamente, viene definito come una «manifestazione o dichiarazione di volontà, esplicita o risultante da un comportamento concludente, diretta a produrre effetti giuridici, che l’ordinamento realizza in quanto voluti» (57). Il concetto di negozio giuridico è elaborato in modo da coprire per intero la vasta area entro la quale la costituzione o la modificazione o l’estinzione dei rapporti giuridici è, in vario grado, rimessa alla libera determinazione dei privati; l’effetto giuridico non è dal diritto ricollegato, come per l’atto giuridico in genere, alla mera volontarietà del comportamento, ma all’ulteriore estremo della cosiddetta «volontà degli effetti» (58). In esso compaiono pertanto le sole dichiarazioni di volontà e ne restano invece esclusi i fatti giuridici e gli atti giuridici umani quali i fatti illeciti, le dichiarazioni di scienza, le partecipazioni e le comunicazioni (59).
Partendo dalla ricostruzione della pandettistica tedesca dell’ottocento, la parte delle dottrina che ammette l’esistenza della categoria logica del negozio giuridico (60) ritiene negoziale quel comportamento consistente in un elemento interno volitivo ed in un comportamento esterno (la dichiarazione) che dà luogo ad una costituzione ad una modificazione o ad una estinzione di un rapporto giuridico; mentre, si ritiene non negoziale qualsiasi comportamento che non possiede le anzidette caratteristiche (61). Casi di comportamento, di attività o di prestazione negoziale sono quelli di chi si obbliga a concludere un successivo negozio giuridico o di chi si obbliga a dare o a rinunciare. Sul punto è interessante notare che nella prestazione negoziale il soggetto è tenuto non a produrre la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto giuridico, bensì a porre in essere quella fattispecie negoziale idonea a produrre la costituzione, la modificazione o l’estinzione del rapporto. Così nella prestazione di dare, che è una prestazione negoziale, il soggetto non è tenuto a trasferire la proprietà della cosa, ma a porre in essere quel negozio che sia idoneo al trasferimento (62).
La distinzione in commento tra prestazioni negoziali e prestazioni non negoziali ha dato spunto all’annosa querelle in tema di inquadramento sistematico della figura del pagamento (63).
Al riguardo, le posizioni degli interpreti si riconducono principalmente a due concezioni: quella negoziale e quella reale (64).
La prima ravvisa nel pagamento un atto di natura negoziale (65). La concezione reale, invece, fondamentalmente ravvisa nel pagamento l’obiettiva realizzazione della prestazione (66); essa, in particolare, è comunemente espressa nella formula del pagamento quale atto dovuto (67).
La nostra giurisprudenza, sul punto, ritiene possibile che il pagamento possa avere anche un contenuto specifico diverso dal semplice adempimento (68). Pertanto, accanto all’adempimento in sé considerato, avente natura reale, è possibile, in alcuni casi, che lo stesso abbia anche natura negoziale, diventando così lo strumento di attuazione dell’obbligo (69).
5. Le prestazioni fungibili e le prestazioni infungibili.
Ancora è possibile distinguere tra prestazioni fungibili ed infungibili.
Sono fungibili quelle cose che appartengono ad un genere e che possono essere sostituite con altre dello stesso genere (così il denaro, i capi di una medesima specie di bestiame o le unità di peso di un medesimo minerale o di una medesima derrata agricola; così qualsiasi oggetto prodotto in serie, come le copie (nuove) di un medesimo libro, le autovetture (nuove) di una medesima marca e di un medesimo modello, etc.); sono infungibili invece quelle che esistono in un unico esemplare o che presentano propri caratteri distintivi (quali gli immobili, l’opera d’arte o il manufatto artigianale avente valore artistico e, in generale, tutte le cose in cui vengono in considerazione le particolari caratteristiche) (70).
La classificazione generale delle cose, in fungibili ed infungibili, è importante anche per quanto riguarda la materia delle obbligazioni. La prestazione è fungibile allorché è irrilevante per il creditore che essa venga effettuata dal debitore o da un terzo; infungibile nel caso in cui al creditore interessa che la prestazione venga effettuata proprio dal debitore (71). Difatti, quando si tratta di prestazione fungibile, il creditore, nel ricevere la prestazione, consegue sempre la medesima utilità economica. Trattandosi invece di cose infungibili, verrebbe alterato il valore dell’adempimento sostituendo la persona del debitore con altra persona o sostituendo una cosa ad un’altra, sicché il creditore può rifiutare l’adempimento da parte del terzo ovvero la cosa che gli si vorrebbe dare in sostituzione di quella cui si è avuto riguardo nel titolo costitutivo dell’obbligazione (72).
Da quanto precede, dunque, si evince che la fungibilità o meno di una prestazione non si determina in base ad elementi oggettivi insiti nella prestazione stessa, ma in base alla volontà delle parti (73).
6. Le prestazioni istantanee o transeunti e a carattere permanente o continuativo.
In tale ambito si ha riguardo al tempo dell’adempimento dell’obbligazione.
Nelle obbligazioni transeunte la prestazione è istantanea, consistendo in uno o più atti che si esauriscono in un periodo di tempo limitato; nelle obbligazioni a prestazione permanente o continuativa, la prestazione ha la sua origine in una unica causa obbligatoria ma l’attività del debitore deve estrinsecarsi frazionatamente nel tempo, consistendo in più atti o in una successione di atti (74). In tali prestazioni, difatti, l’adempimento si protrae per un periodo di tempo più o meno lungo, o perché l’adempimento si fa a varie riprese, o perché ha luogo in modo continuativo (75).
Obbligazioni transeunte o momentanee sono: quelle di dare una somma di danaro in un unico pagamento, l’obbligazione di restituire una determinata cosa (76), l’obbligazione avente ad oggetto l’esecuzione di un opus che, pur richiedendo tempo per essere approntato (come la costruzione di un edificio) viene considerata in un unico istante ai fini dell’adempimento (77).
Obbligazioni a tratto continuativo sono, ad esempio: l’obbligazione a carico del locatore di far godere il conduttore (locatario) della cosa locata, durante tutto il periodo di tempo per cui dura la locazione; l’obbligazione a carico di chi si obbliga alla somministrazione (somministrante) di eseguire, a favore dell’altro contraente, prestazioni periodiche o continuative di cose o servizi (78).
Obbligazione continuativa è pure quella di non fare nell’ipotesi in cui il comportamento astensionistico si protrae per un certo periodo di tempo (79). Non sarebbe difatti esatto affermare che le obbligazioni di non fare siano tutte continuative, poiché è possibile avere anche ipotesi di obbligazioni negative transeunte quali, ad esempio, i casi in cui il debitore è obbligato, al fine di adempiere all’obbligazione assunta, esclusivamente a non compiere un singolo determinato atto che gli è stato vietato (80).
7. Le prestazioni semplici e le prestazioni complesse.
È complessa la prestazione che consta di più prestazioni collegate da un nesso che conferisca ad esse una unità inscindibile (81), ove l’unità è data dalla causa e/o dall’intenzione delle parti nel creare il rapporto obbligatorio (82). In tal caso, perché possa aversi adempimento, è necessario che tutte le prestazioni, in tal modo organizzate o riunite, possano dirsi soddisfatte. Se le prestazioni invece non sono tenute insieme dal suddetto nesso, non si è in presenza di una prestazione complessa, ma di più prestazioni semplici (83).
La distinzione della prestazione in semplice ed in complessa acquista rilievo ai fini dell’adempimento. Difatti, se si hanno prestazioni plurime congiunte, esse vengono considerate come tante obbligazioni in modo che il debitore può estinguerle singolarmente mediante separate solutiones. Se, invece, la prestazione è complessa, il creditore potrebbe legittimamente respingere il singolo adempimento di alcune delle prestazioni, avendo in tale ipotesi diritto ad un’unica e complessa solutio (84).
Esaminando i vari tipi contrattuali, si riscontrano modelli in cui si generano obbligazioni plurime, e modelli in cui si genera una sola obbligazione; modelli che generano obbligazioni con prestazione complessa e altri che generano obbligazioni con prestazioni semplicemente congiunte. Così, ad esempio, prestazioni semplicemente congiunte saranno quelle del venditore: di custodire la cosa, di consegnare la cosa, di garantire il possesso, di garantire la cosa dai vizi occulti, di garantire la cosa dall’evizione, etc. Complessa, invece, è l’accettazione di un paziente in ospedale ai fini di un ricovero; secondo la nostra giurisprudenza (85), in tale rapporto assumono rilievo, oltre alle prestazioni di natura medica, le prestazioni di carattere lato sensu alberghiero e le obbligazioni accessorie di sicurezza e/o protezione. Complessa, inoltre, è la prestazione caratterizzata dalla realizzazione di opere edilizie e dalla fornitura di servizi (86).
1() Il codice civile (come quello abrogato), mantenendosi fedele al modello napoleonico, non definisce l’obbligazione. Durante i lavori preparatori vi fu qualche tentativo di seguire l’opposto indirizzo. Così la prima redazione del progetto ministeriale del 1940 conteneva nell’art. 1, la seguente definizione dell’obbligazione: «l’obbligazione è un vincolo in virtù del quale il debitore è tenuto verso il creditore ad una prestazione positiva o negativa». Siffatto tentativo fallì, essendo prevalsa l’idea, certo più esatta, di evitare qualunque definizione. Nella Relazione n. 557 che accompagna il codice civile si legge infatti che, ove la legge avesse voluto precisare il concetto di obbligazione avrebbe esorbitato dal campo normativo entro cui essa deve strettamente mantenersi. Il definire gli istituti giuridici, difatti, deve considerarsi compito precipuo della dottrina. Sul punto, vedi Giorgianni, Corso di diritto civile, L’obbligazione: concetti generali – I soggetti, Bologna, 1959, 3 e 4.
2() Entrambe le pronunce, benché rilevino notevolmente nello studio della nozione di obbligazione, non possono tuttavia essere considerate esaurienti circa una definizione del contenuto dell’obbligazione e dei requisiti che l’individuano. Per Albertario, Corso di diritto romano, Le obbligazioni, I, Milano, 1946, 157, nessun giurista romano definì mai l’obbligazione in quanto le suddette due definizioni rappresentano esclusivamente l’obbligazione giustinianea. Vedi, sul punto anche, Longo, Diritto delle obbligazioni, 1950, Torino, 4 e ss.; Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, 22 e 23.
3() Il concetto di obbligazione, che a partire dell’età classica si impernia sull’elemento del vincolo giuridico, in origine era diverso. Anche se le opinioni al riguardo sono tante, plausibilmente la prima configurazione astratta di obligatio esprimeva un vincolo materiale. L’etimologia della parola e del corrispondente verbale ob ligare evoca uno scenario in cui chi aveva ricevuto un prestito (nexus) o aveva commesso un illecito era sottoposto a coercizione e poteva anche essere «legato»: cfr.: Manfredini, Istituzioni di diritto romano, Torino, 2001, 304 e 305.
4() La nostra esperienza quotidiana ci pone di fronte ad accordi (caso paradigmatico: l’invito a pranzo) che istintivamente sentiamo non generare azione né per l’adempimento in forma specifica, né per il danno; teoria e diritto applicato confermano l’inidoneità di siffatti accordi a generare vincolo. Le parti in tali ipotesi non contraggono perché non vogliono che gli effetti dell’accordo si producano sul piano giuridico; pertanto l’obbligazione non nasce perché chi invita a pranzo non vuole che nasca l’obbligazione giuridica di dare. Vedi, sul punto, Sacco e De Nova, Il contratto, in Trattato di dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 1993, 32.
5() Scuto, Teoria generale delle obbligazioni con riguardo al nuovo codice civile, Napoli, 1950, 155; Longo, ult. op. cit., 5.
6() Bianca, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 32 e ss.; Cannata, Obbligazioni e contratti, I, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino, 1984, 35.
7() Cannata, ult. op. cit., 9, analizzando i caratteri del rapporto obbligatorio ritiene l’obbligazione stessa un dovere giuridico caratterizzato dal fatto di appartenere al diritto privato, di essere patrimoniale e relativo. L’Autore, occupandosi del carattere privatistico del rapporto obbligatorio, chiarisce che lo stesso genera una soggezione sostanziale di una parte rispetto all’altra determinata esclusivamente dal contenuto dell’obbligazione (i poteri, esercitabili dalla parte privilegiata in relazione al rapporto, nascono assieme al rapporto stesso, per effetto della sua fonte, riguardano il contenuto specifico del rapporto stesso, e si estinguono con esso; se di altri poteri una parte è munita, essi non sono utilizzabili in relazione al rapporto).
8() Che il diritto di credito abbia ad oggetto la posizione debitoria non è stato sempre pacifico tra gli interpreti. Una teoria largamente diffusa, e considerata come quella più aderente alla tradizione romanistica, riteneva che l’oggetto dell’obbligazione dovesse essere la persona del debitore. In contrapposizione con la teoria tradizionale, un’altra corrente assumeva che il vincolo giuridico sorgesse, non con la persona del debitore, ma con il suo patrimonio. Non è mancato poi chi ha ritenuto che l’oggetto dell’obbligazione fosse la volontà del debitore. Altri ancora hanno distinto nella nozione di obbligazione due momenti: il debitum e l’obligatio, il dovere e l’essere obbligati. Sul punto, si rinvia a Longo, ult. op. cit., 6 e ss.; Scuto, Teoria generale delle obbligazioni con riguardo al nuovo codice civile, Napoli, 1950, 163 e ss.
9() La conferma del principio della dualità dei soggetti del rapporto obbligatorio è insita nell’istituto della confusione che prevede, nell’ipotesi di riunione nella stessa persona delle qualità di debitore e di creditore, l’estinzione dell’obbligazione (art. 1253 c.c.). Per comprendere le previsioni di deroghe al principio occorre aver in mente che nel diritto le esigenze della logica non sono assolute, poiché deve sempre tenersi conto delle finalità pratiche delle regole giuridiche con riguardo alla miglior difesa degli interessi che assumono rilievo nella singola ipotesi. Basti pensare, in merito, all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario con cui si impedisce la confusione e restano in vita i diritti e gli obblighi che l’erede aveva nei confronti del defunto. Vedi, sul punto, Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, 121 e 122; Bianca, ult. op. cit., 50 e 51.
10() Bianca, ult. op. cit., 51.
11() Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993, 5. Di contrario avviso sono Giorgianni, Obbligazioni, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, 585-587 e Rescigno, Obbligazioni, in Enc. del dir., XXIX, Milano, 1979, 163 e ss., secondo i quali non è possibile la successiva determinabilità, sulla base di criteri fissati con chiarezza fin dall’origine, delle posizioni di debitore e di creditore.
12() Galgano, ult. op. cit., 3; Bianca, ult. op. cit., 67; Breccia, ult. op. cit., 133.
13() Non è mancato chi ha distinto la prestazione dall’oggetto della prestazione definendo quest’ultimo come il contenuto dell’obbligazione (Miccio, Delle obbligazioni in generale, artt. 1173-1320, in Comm. al cod. civ., Torino, 1992, 4), ovvero come il bene che il creditore attende (Betti, Teoria generale delle obbligazioni, II, Milano, 1953, 49).
14() Bianca, ult. op. cit., 68; Cannata, ult. op. cit., 36; Rescigno, ult. op. cit., 184; Breccia, ult. op. cit., 134.
15() Alla stessa conclusione si arriva ove la parola prestazione si facesse derivare da prae e stare, ovvero stare davanti a qualcuno per tutelarlo: cfr., Scuto, ult. op. cit., 8 e 165; Manfredini, ult. op. cit., 304.
16() Vedi supra paragrafo 1, Paolo D., 44, 7, 3, pr.
17() Breccia, ult. op. cit., 144.
18() Cannata, ult. op. cit., 38.
19() Breccia, ult. op. cit., 145. Cannata, ult. op. cit., 39, analogamente ritiene che il significato del termine sia «assicurare (il creditore) attorno a qualcosa», e cioè alle qualità della cosa dovuta, alla esecuzione a regola d’arte, ad un rischio, etc.
20() Pothier, Traité des obligations, consultato in Traités, I, Parigi, 1781, 56, distingue difatti tra obbligazioni di dare ed obbligazioni di fare o non fare: «l’objet d’une obligation peut être ou une chose proprement dite (res), que le débiteur s’oblige de donner; ou un fait (factum) que le débiteur s’oblige de faire ou de ne pas faire».
21() La codificazione francese distingue tra l’obbligazione di dare (obligation de doner, artt. 1136 e ss.) e quella di fare e non fare (artt. 1142 e ss.): Di Majo, Obbligazione, Teoria generale, in Enc. del dir., XXIX, Milano, 1979, 22; Chianale, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, 30.
22() Il diritto comune di area germanica affiancò alla tripartizione classica la distinzione tra prestazioni positive e negative. Successivamente, tale nuova distinzione assunse sempre maggiore importanza tanto da coincidere, nella letteratura della pandettistica, con la distinzione tra fare e non fare (il dare, come autonomo contenuto della prestazione dedotta in obbligazione, perse sempre più terreno nelle elaborazioni teoriche). Attualmente, il carattere esaustivo della partizione tra «fare» e «non fare» è sancito dal § 241 BGB: sull’argomento, rinvio a Chianale, ult. op. cit., 7 e ss.
23() Si veda sul punto Galgano, ult. op. cit., 9; Bianca, ult. op. cit., 107 e ss.
24() Così Gorla, Il contratto, I, Lineamenti generali, Milano, 1954, 82; Bianca, ult. op. cit., 108. Analogamente anche Breccia, ult. op. cit., 148, il quale, tuttavia, ritiene il «dare», inteso come trasferimento di un diritto, ipotesi residuale.
25() Di Majo, ult. op. cit., 23.
26() Ancora, Di Majo, ult. op. cit., 23.
27() Bianca, ult. op. cit., 110, nega che tale prestazione sia ad oggetto parzialmente indeterminato. Panuccio, Obbligazioni generiche e scelta del creditore, Milano, 1972, 119, ritiene che in tali prestazioni vi sia un graduale processo di determinazione.
28() Esempi di prestazioni di consegnare individuate nel genere sono la consegna di una somma di danaro, di una data quantità di olio, di un dato numero di autoveicoli di un determinato modello; esempi di consegna di cose determinate nella specie sono la consegna di quell’appartamento, di quell’autovettura, etc.: cfr., Galgano, ult. op. cit., 10.
29() È stata considerata prestazione di genere anche la consegna di un immobile. Cfr., Cass., 4 febbraio 1991, n. 1194: «anche rispetto ai beni immobili, per loro natura infungibili e quindi insuscettibili di essere considerati senza specificazione, è configurabile la vendita di genus con riferimento al genus limitatum, come nel caso di vendita di una porzione solo quantitativamente indicata compresa nella maggiore estensione del fondo. In tale caso il venditore altro non deve fare che prestare il genus limitatum attenendosi al disposto dell’art 1178 […]».
30() Bianca, ult. op. cit., 112.
31() Di Majo, ult. op. cit., 23.
32() Anche se la distinzione era già conosciuta nella dottrina germanica (Bernhöft, Kauf, Miete und verwandte Verträge, in Beiträge zur Erläuterung und Beuthieilung des Entwurfs eins BGB, quaderni diretti da Bekker e Fischer, XII, Berlin, 1889), alla fine degli anni venti Demogue, in Traité des obligations en générel, V, Parigi, 1928, 1237, sviluppò nuovamente l’argomento incontrando un grande successo dapprima nella dottrina e nella giurisprudenza francese e, successivamente, anche nella dottrina italiana (nella nostra letteratura la distinzione è stata introdotta da Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzo, in Riv. dir. comm., 1954, I, 185). Sull’argomento, vedi De Lorenzi, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Dig. disc. Priv., XII, Torino, 1995, 398 e ss.
33() De Lorenzo, ult. op. cit., 400.
34() Cfr., Galgano, ult. op. cit., 15; De Lorenzo, ult. op. cit., 400.
35() L. Coviello jr, L’obbligazione negativa (contributo alla teoria delle obbligazioni), Napoli, 1931, 47; Greco, Le obbligazioni negative, in Le obbligazioni, L’obbligazione in generale (1173-1320), I, a cura di Franzoni, Torino, 2004, 1553 e ss.
36() Cfr., Bianca, Diritto Civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 120.
37() Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, 33, afferma che il principio indica sia una regola di comportamento, sia un precetto la cui violazione comporta una sanzione.
38() Cfr., L. Coviello jr., ult. op. cit., 70; Bianca, ult. op. cit., 120. Sacco, Alla ricerca dell’origine dell’obbligazione, in Riv. dir. civ., 1999, I, 609, afferma che: «l’obbligazione implica un dovere e un diritto, un debitore e un creditore. Peraltro, non ogni dovere è un’obbligazione. Io ho il dovere di non entrare nel terreno del mio vicino, di non fabbricare monete false. Non per questo si dice che sono debitore, che ho una obbligazione. Questi doveri, che incombono su tutti, di rispettare la persona e la proprietà degli altri, non sono obbligazioni. La loro violazione genera […] una responsabilità ex delicto».
39() Saracini Toffoletto, Il contratto di agenzia, in Il Codice Civile Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1996, 216 e ss., concordano nel ritenere che nelle norme proibitive il limite riguarda entrambi i contraenti, laddove, invece, nel caso delle norme statuenti obbligazioni negative esso riguarda un solo contraente.
40() Cfr., in tal senso, Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1946, 98 e ss. In merito ai requisiti ed alla disciplina applicabile alle prestazioni di non fare rinvio a Greco, Le obbligazioni negative, cit., 1553 e ss.
41() Galgano, ult. op. cit., 16.
42() Cfr., Cannata, ult. op. cit., 40.
43() Cannata, ult. op. cit., 40.
44() Le prestazioni accessorie vanno distinte dalle c.d. prestazioni restitutorie. Il diritto delle restituzioni trova cittadinanza in una serie di norme e di istituti disomogenei quali l’arricchimento senza causa, il pagamento di indebito, la gestione di affari altrui, il possesso, l’usufrutto, l’enfiteusi, la locazione, l’accessione, la specificazione, l’alluvione, ecc.; con esso si mira a ristabilire le condizioni di fatto e di diritto che caratterizzavano la situazione del soggetto prima che un certo mutamento fosse avvenuto: la ratio dei rimedi restitutori è dunque quella di privare gli effetti di uno spostamento patrimoniale sine causa. Sull’argomento v. Albanese, Le obbligazioni restitutorie, in Le obbligazioni, Fatti e atti fonti di obbligazioni, III, a cura di Franzoni, Torino, 2005, 99 e ss.
45() Cfr., Galgano, ult. op. cit., 16. Breccia, ult. op. cit., 248, ritiene prestazioni accessorie anche quelle espressamente poste dal codice civile a carico del debitore. In particolare, quelle relative alle spese per il pagamento e per il rilascio della quietanza (artt. 1196, 1199, 1203, n. 3, 1245, 1475 c.c.).
46() Tale norma, dettata per le società per azioni, non è più richiamata dalla disciplina della società a responsabilità limitata (il vecchio articolo 2478 c.c., secondo cui: «l’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci al compimento di prestazioni accessorie», è stato difatti completamente sostituito dall’art. 3, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), mentre continua ad applicarsi alle società cooperative ai sensi dell’art. 2519 c.c.
47() Il dare, in tale contesto, può avere ad oggetto qualsiasi entità utile all’attività sociale; può consistere anche in un dare cose generiche, in un dare cose future e, soprattutto, in prestazioni periodiche che non potrebbero formare oggetto di conferimento: cfr., Bartalena, Le prestazioni accessorie, in Trattato Colombo-Portale, Torino, 2004, 871.
48() Il facere può consistere in qualsiasi attività lavorativa del soggetto. Cfr., Cass., 7 aprile 1987, n. 3402, in Le società, 1987, 803: «Le prestazioni del socio di società per azioni di cui all’art. 2345 c.c., a carattere accessorio e non rappresentate da conferimenti in danaro, ben possono consistere in attività personali simili a quelle di un prestatore d’opera, sicché la concreta prestazione di attività da parte del socio costituisce adempimento dell’obbligo sociale, anziché svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio e la società».
49() Tipico esempio di obbligazione negativa accessoria è l’obbligo assunto da un socio di non svolgere attività in concorrenza con quella esercitata dalla società: cfr., Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1989, 342.
50() Tale ipotesi è dunque diversa rispetto a quella in cui il contraente ha il dovere di procurare soddisfacimento alla controparte.
51() Cannata, ult. op. cit., 41, ritiene sul punto che alle prestazioni sussidiarie corrispondano i cosiddetti criteri di responsabilità, citando come esempi il dovere di diligenza, il dovere di eseguire l’opera a regola d’arte, il dovere di garantire la presenza di certe qualità della cosa (art. 1178 c.c.).
52() Galgano, ult. op. cit., 17, ritiene il comportamento secondo «correttezza» del debitore e del creditore una ipotesi di obbligazione accessoria.
53() Cass., 3 febbraio 1994, n. 1091, in Foro pad., 1996, I, 7: «il dovere di correttezza e buona fede imposto dagli artt. 1175 e 1375 c.c. non crea obbligazioni autonome ma rileva soltanto per verificare il puntuale adempimento di obblighi riconducibili a determinati rapporti».
54() Bianca, ult. op. cit., 87.
55() La distinzione è di Allara, Delle obbligazioni, Lezioni del prof. Mario Allara raccolte dal dott. G. Deiana, Torino, 1939, 101.
56() Il negozio giuridico è elaborato in Germania da Zitelmann, Irrtum und Rechtsgeschäft. Eine psycologisch-juristische Untersuchlung, Leipzig, 1879, 41 e ss.; e da Manigk, Willenserklärung und Willensgeschäft, Berlino, 1907, 646 e ss.
In Italia, si sono occupati dell’argomento, tra gli altri: Pugliatti e Falzea, I fatti giuridici, Messina, 1945; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, 1960, 1943; Cariota – Ferrara, Negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; V.M. Trimarchi, Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940; Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; Panuccio, Le dichiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966; Mirabelli, L’atto non negoziale nel diritto privato, Napoli, 1955; G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1987; Irti, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano, 1991; Franzoni, Il dibattito attuale sul negozio giuridico in Italia, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1995, I, 409 e ss.; Memmo, voce Rappresentative (dichiarazione), in Enc. del dir., XXXVIII, Milano, 1987, 621 e ss.; Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ., e comm., diretto da Schlesinger, Milano, 2002.
57() Così testualmente Galgano, Diritto civile e commerciale, I, Le categorie generali, Le persone, La proprietà, Padova, 1993, 41.
58() Galgano, Teorie e ideologie del negozio giuridico, in Categorie giuridiche e rapporti sociali, a cura di Salvi, Milano, 1978, 60 e ss.
59() Galgano, Diritto civile e commerciale, I, Le categorie generali, Le persone, La proprietà, cit., 40 e ss.
60() La dottrina italiana, difatti, si interroga sull’esistenza della categoria del negozio giuridico e sulla sua ammissibilità in un sistema codificato che ha espressamente escluso l’uso normativo di questa figura. In particolare, chi rifiuta la categoria del negozio giuridico, partendo da una storicizzazione della nascita dell’istituto, ritiene finita la sua funzione: il processo di oggettivazione dello scambio è difatti legato ad un congegno che vede oggetto di tutela l’atto di scambio in sé ed il funzionamento del mercato e non, all’opposto, la volontà del soggetto. Si veda, sull’argomento Galgano, Teorie e ideologie del negozio giuridico, cit., 60 e ss.; Id., Crepuscolo del negozio giuridico, in Contr. e impr., 1987, 733 e ss.; Id., L’atto giuridico come categoria ordinante il diritto privato, in Contr. e impr., 1990, 1001.
61() Allara, ult. op. cit., 101. Galgano, Teorie e ideologie del negozio giuridico, cit., 62, nel chiarire la distinzione tra dichiarazioni negoziali e non negoziali – pur negando l’esistenza di una vera e propria categoria di atto negoziale distinta nella disciplina dall’atto non negoziale – inserisce in quest’ultima categoria le dichiarazioni di scienza e le dichiarazioni di desiderio.
62() Cosi testualmente Allara, ult. op. cit., 101 e 102.
63() Allara, ult. op. cit., 102 e ss., secondo cui, se la prestazione nasce da una manifestazione o dichiarazione di volontà, il pagamento sarà da qualificarsi quale negozio giuridico; viceversa, qualora lo stesso pagamento sia dipeso da un fatto giuridico o da un fatto illecito esso non sarà certamente da qualificarsi quale negozio giuridico.
64() Giusiana, Pagamento, Roma, 1938, 1-8, secondo cui, nella dottrina tedesca del secolo scorso, le opinioni dottrinali circa la natura giuridica del pagamento erano diverse: accanto ad una concezione che concepiva il pagamento come conseguimento dello scopo dell’obbligazione, era presente altra tesi che considerava lo stesso quale realizzazione del contenuto dell’obbligo; infine, secondo un’altra concezione dottrinale questo era un particolare negozio giuridico. Sulla natura del pagamento si veda, altresì, Di Majo, Pagamento, in Enc. del dir., XXXI, Milano, 1981, 548; Prosperetti, Pagamento, in Enc. giur., XXII, Roma, 1 e ss.
65() Le tesi tendenti a dare giustificazione alla concezione reale sono varie. Si segnalano, per brevità, le c.d. teorie contrattualistiche secondo le quali la natura contrattuale dell’adempimento deve farsi discendere dal contenuto sostanzialmente dispositivo che riveste tanto l’atto di offerta del debitore quanto quello di accettazione del creditore, e alcune teorie più moderate che valorizzano l’elemento dell’animus solvendi da parte del debitore o di chi esegue la prestazione: cfr., Di Majo, ult. op. cit., 549.
66() Sostiene testualmente Bianca, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., 266, che «l’elemento necessario e sufficiente che identifica l’adempimento è la sua corrispondenza al programma obbligatorio, ossia un dato di fatto che non può essere né creato né mutato dalla volontà delle parti».
67() Cass., 14 marzo 1962, n. 530, in Giust. civ. Mass., 1962, 2216; in Foro pad., 1962, I, 720, con nota di Giorgianni, Natura del pagamento e vizi della volontà; e in Giust. civ., 1962, I, 2216: «il pagamento è un atto giuridico unilaterale diretto all’attuazione del contenuto di un obbligo».
68() Cass., 20 settembre 1971, n. 2611, in Giust. civ. Mass., 1971, 2611 : «poiché il pagamento costituisce un negozio giuridico, la manifestazione di volontà in cui esso si sostanzia piò essere condizionata o, comunque, avere un contenuto specifico diverso dal puro e semplice adempimento. Pertanto, il debitore, all’atto del pagamento, può formulare una riserva di ripetizione, sostenendo la propria estraneità all’obbligazione».Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Le obbligazioni e i contratti, Padova, 1993, 42, ritiene che l’adempimento può presentare anche il carattere dell’atto giuridico quando l’obbligazione abbia per oggetto la conclusione di un contratto. Circa la nozione di pagamento in materia di indebito e di obbligazioni naturali, v. Albanese, Il pagamento dell’indebito, Padova, 2004, 97 e ss. e 619 e ss.; quanto al pagamento effettuato con espressa riserva di ripetizione, rinvio nuovamente ad Albanese, ult. op. cit., 200 e ss.
69() Di Majo, ult. op. cit., 550, che riporta come esempio il pactum de contrahendo.
70() Galgano, ult. op. cit., 336.
71() Scuto, ult. op. cit., 213, chiarisce che l’infungibilità può risultare dalla prestazione stessa (esecuzione di un quadro artistico), oppure da ciò che è stabilito nel titolo costitutivo dell’obbligazione: può darsi, infatti, che una prestazione che è fungibile, possa diventare infungibile per determinazione delle parti, o di chi costituisce il rapporto obbligatorio, come può darsi il caso opposto che una prestazione in sé infungibile venga considerata come fungibile.
72() Scuto, ult. op. cit., 212.
73() Scuto, ult. op. cit., 212. Allara, ult. op. cit., 105, ritiene che, in termini generali, le prestazioni negoziali sono il più delle volte fungibili, mentre, viceversa, quando manca il carattere negoziale la prestazione si presenta di norma infungibile.
74() Longo, ult. op. cit., 28; Scuto, ult. op. cit., 215; Allara, ult. op. cit., 107. La distinzione era nota anche ai romani: cfr., Albertario, ult. op. cit., 192 e 193.
In giurisprudenza, vedi Cass, 2 aprile 1966, n. 3019, secondo cui: «ai fini dell’applicabilità della regola contenuta nella seconda parte del comma 1º dell’art. 1458 c.c. – secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, per prestazioni già eseguite – sono contratti ad esecuzione continuata o periodica quelli che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti, ossia quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avvenga attraverso una serie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, mentre non possono considerarsi compresi nella previsione normativa del citato art. 1458 c.c. quei contratti in cui ad una prestazione periodica o continuativa si contrappone una prestazione istantanea dell’altra parte, debbono esservi ricompresi quei contratti in cui ad una prestazione continuativa se ne contrappone un’altra periodica, poiché in tal caso la corrispettività si riflette su tutte le prestazioni attraverso le quali il contratto riceva esecuzione (nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha affermato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, che si concreta nella corresponsione del canone integrata dal godimento del bene protrattosi nel tempo)».
75() Scuto, ult. op. cit., 215. Allara, ult. op. cit., 106, distingue le prestazioni a carattere continuativo dalle prestazioni periodiche. Secondo l’A. nelle prestazioni periodiche il debitore è tenuto ad eseguire in determinate epoche e reiteratamente una prestazione istantanea. Sul punto, nel riportare come esempio i casi del contratto vitalizio o di quello di somministrazione, si afferma che nelle citate ipotesi si ha un rapporto unico con una pluralità di prestazioni e non già tanti rapporti quante sono le prestazioni.
76() Gli esempi sono di Scuto, ult. op. cit., 215. In tema di obbligazioni restitutorie rinvio ad Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, 9 e ss. che precisa la differenza tra le azioni restitutorie reali e le azioni restitutorie a carattere personali.
77() Così Albertario, ult. op. cit., 199.
78() Scuto, ult. op. cit., 215.
79() Ancora Scuto, ult. op. cit., 215.
80() Scuto, ult. op. cit., 215, riporta come esempio di prestazione di non fare transeunte il caso in cui il debitore, anziché astenersi dal fare qualcosa durante un certo tempo, deve tollerare che il creditore faccia qualcosa che si compia in un solo atto.
81() Così testualmente Longo, ult. op. cit., 30.
82() Albertario, ult. op. cit., 199, afferma che non può senz’altro qualificarsi come semplice la prestazione che consta di un solo oggetto, e complessa quella che consta di più oggetti. Può difatti aversi una pluralità di oggetti che dia luogo, secondo la causa o secondo la volontà delle parti, ad una unità.
83() Longo, ult. op. cit., 30.
84() Albertario, ult. op. cit., 199 e 200.
85() Pret. Tolmezzo, 21 aprile 1997, in Riv. it. medicina legale, 1999, 1730; in Resp. civ., 1998, 1550, con nota di Sanna: «l’accettazione in ospedale del paziente ai fini del ricovero determina la conclusione di un contratto di natura atipica, incentrato su di una prestazione complessa, a favore dell’ammalato, definibile sinteticamente di assistenza sanitaria: nell’ambito di tale rapporto contrattuale atipico assumono infatti rilievo, oltre alle prestazioni di natura medica, le prestazioni di carattere lato sensu alberghiero e le obbligazioni accessorie cd. di sicurezza e/o protezione […]».
86() T.A.R. Campania sez. I, Napoli, 8 gennaio 1996, n. 10, in T.A.R., 1996, I, 1003: «è legittimo l’operato dell’amministrazione che, dovendo procedere all’aggiudicazione di un contratto avente ad oggetto una prestazione complessa, rappresentata dalla realizzazione di opere edilizie oltreché dalla fornitura di macchinari, decide di utilizzare la procedura concernente i pubblici appalti e non quella, invece, che disciplina le pubbliche forniture»; Corte Conti, sez. contr., 23 novembre 1989, n. 2181, in Riv. corte conti, 1990, fasc. 6, 6.