Alberto Tedoldi, La notificazione ultra annum dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex art. 331 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2007, 2, 485
Cass. civ. Sez. Unite, 01 febbraio 2006, n. 2197
La notificazione ultra annum dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex art. 331 c.p.c.
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– Nel breve volgere di un anno la Suprema Corte ha ampiamente dissodato l’arido problema della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, disposta in sede di impugnazione nelle cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 c.p.c.).
In tre pronunce pubblicate tra il gennaio del 2005 e il febbraio del 2006, due delle quali a composizione collegiale allargata, le soluzioni vengon delineate con nettezza, sì da lasciar sperare che ogni futuro contrasto sia in buona misura sedato, quanto meno sui principî interpretativi, ché le incertezze applicative insite nella varietà delle fattispecie e nell’ineliminabile discrezionalità dei singoli giudicanti non potranno scomparire per semplice, seppur autorevole, tratto.
Si prese obbrivio da Cass., Sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1238 che, nel quadro di un’interpretazione costituzionalmente orientata, aveva escluso che l’omessa o tardiva notifica dell’atto di integrazione del contraddittorioex art. 331 c.p.c. desse luogo a immediata e ineluttabile declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione: una sanzione siffatta, secondo il Supremo Collegio, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sia perché condurrebbe ad equiparare situazioni processuali del tutto diverse (ponendo sullo stesso piano l’inerzia e la tempestiva esecuzione della notifica, non completata per cause indipendenti dalla volontà della parte procedente e non rientranti nella normale prevedibilità), sia perché si risolverebbe in una non ragionevole compressione del diritto di difesa, atteso che la parte si vedrebbe addebitato l’esito parzialmente intempestivo del procedimento notificatorio per un fatto in concreto sottratto ai suoi poteri d’impulso, in quanto dalla stessa non conosciuto (1).
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Le Sezioni unite ragionavano in linea con i principî definitivamente proclamati dalla Corte costituzionale in tema di effetti della notificazione per il notificante: il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario e, se è pur vero che si tratta di un effetto provvisorio o anticipato a vantaggio del notificante, che si consolida soltanto con il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario nel momento in cui l’atto è ricevuto o perviene nella sua sfera di conoscibilità, l’anticipazione degli effetti per il notificante è correlata all’esigenza di tutelare, proprio alla luce degli artt. 3 e 24 Cost., il diritto di difesa anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, nonché l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri d’impulso (2). Questa scissione tra gli effetti della notifica per il notificante e per il destinatario è stata, alfine, espressamente recepita dal novello conditor del 2005 nel testo dell’art. 149, terzo comma, c.p.c., a tenore del quale la notificazione a mezzo posta si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ne possieda la legale conoscenza (3).
Non si era, tuttavia, mancato di notare che, qualora il procedimento di notificazione non giunga a destino e il termine risulti ex post non osservato, il rispetto di quelle stesse garanzie costituzionali che sono alla base di questa giurisprudenza costituzionale e del nuovo art. 149, comma 3°, c.p.c. impone di concedere la rimessione in termini, se la notifica non si è perfezionata per una causa non imputabile al notificante (4).
Con Cass. 14 ottobre 2005, n. 20000 (5) l’impostazione garantistica delle sezioni unite venne prodotta ad consequentias, almeno sul piano delle affermazioni di principio. Si statuì infatti che, in presenza di cause inscindibili, qualora l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutti i soggetti che devono partecipare al giudizio e il giudice abbia assegnato termine per l’integrazione del contraddittorio, un’interpretazione adeguatrice dell’art. 331 c.p.c., rispettosa degli artt. 3 e 24 cost., esclude che si possa addebitare alla parte, che ha tempestivamente avviato il procedimento notificatorio, l’esito negativo del procedimento stesso, per circostanze indipendenti dalla sua volontà e non prevedibili. Il principio di massima veniva poi sensibilmente attenuato nella sua pratica portata, dovendosi tener conto, secondo la Suprema Corte, che il termine per l’integrazione del contraddittorio non viene concesso soltanto per iniziare il procedimento, ma anche per svolgere le indagini anagrafiche prevedibilmente necessarie al fine di identificare gli esatti indirizzi dei destinatarî della notifica.
Le aperture verso una più ampia applicazione, anche in sede impugnatoria, della rimessione in termini per causa non imputabile apparivano, insomma, connotate da qualche indugio e da timidezze che pur potevano e dovevano ormai superarsi, in coerenza con un generale Prozessförderungspflicht, cioè con un dovere di accurata condotta processuale, che ponga al centro di ogni pronuncia pregiudizievole per le parti l’attenta disamina della diligenza con cui hanno adempiuto agli oneri su di esse gravanti. A tanto spingono le plurime pronunce della Corte costituzionale in materia di notificazioni e un’interpretazione costituzionalmente orientata, appunto, delle sanzioni processuali di inammissibilità e decadenza (6).
Infine, la pronuncia in rassegna – sorretta dall’autorevolezza della Sezioni unite alle soglie dell’entrata in vigore di una riforma che ne rafforza, sia pur tenuemente e, per molti versi, criticabilmente, la posizione nomofilattica (7)– in certo senso chiude il cerchio e merita convinta adesione, almeno in iure quo utimur, per ambedue i principî condensati nella massima, dove si affronta il tribolato tema della notifica delle impugnazioni, e degli atti che ad esse ineriscono, in guise lontane da quel formalismo giudiziario che già Lodovico Mortara, con la vis espressiva e immaginifica che gli era propria, stigmatizzava nei conditores del c.p.c. del 1865 e, ancor più, negli esegeti di quelle norme, ormai remote nel tempo, ma nelle quali si trovano riflesse questioni vischiosamente perpetuatesi sino al nuovo millennio e che continuano a funestare i nostri dì (8). Il difetto, al più, è nella fattura delle norme e nell’intentio legis, non nell’opera esegetico-ricostruttiva che la Corte qui compie, con soluzioni che appaiono essere, de iure condito, le più ragionevoli.
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– Vi era, anzitutto, il problema di stabilire quale fosse il luogo di notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di gravame, trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza. Questa, anzi, era l’unicaquaestioche aveva cagionato la rimessione alle sezioni unite, dividendosi le sezioni semplici tra la tesi secondo cui la notifica deve essere effettuata personalmente alla parte, poiché il termine suddetto corrisponde al limite massimo di tempo oltre il quale si presume cessato ogni rapporto tra il destinatario dell’atto e il suo difensore (9), e la tesi secondo cui l’atto di integrazione del contraddittorio deve essere notificato presso il procuratore costituito, in considerazione degli effetti stabilizzanti che l’impugnazione, se tempestivamente proposta nei confronti anche di uno soltanto dei litisconsorti necessari, determina anche per gli altri, ai quali l’atto non sia stato notificato o lo sia stato invalidamente (10).
Nondimeno le Sezioni unite – rilevando il perdurante contrasto circa la sanzione da annettere all’errata notificazione dell’atto integrativo del contraddittorio (presso il procuratore costituito in prime cure anziché personalmente alla parte, o viceversa), ché alcune sentenze discorrevano di nullità sanabile (11), mentre un orientamento più radicale ne predicava l’inesistenza (12) – si sono fatte carico di risolvere una volta per tutte anche questo dilemma.
Peraltro, la pronuncia in epigrafe non intende affatto evocare quell’isolato precedente giurisprudenziale che, per qualche anno, creò agli operatori non pochi grattacapi e patemi d’animo, poiché ritenne che il termine annuale di cui al terzo comma dell’art. 330 c.p.c., a differenza del termine lungo per impugnare le sentenze ex art. 327 c.p.c., non beneficiasse della sospensione feriale, non avendo natura processuale ma ricollegandosi alla presunzione del venir meno, per effetto del decorso del tempo, di ogni rapporto fra il notificando e i luoghi di residenza e domiciliazione in precedenza indicati; con l’effetto di determinare, sulla base di tanto inesatto e infondato hiatus in terminis, la necessità per l’impugnante di notificare l’atto di impugnazione personalmente alla parte, quando fosse trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza senza computare la sospensione feriale e pur rispettando il termine lungo di cui all’art. 327, cui la sospensione suddetta, viceversa, si applicava de plano (13).
Furono sempre le sezioni unite a confutare, in meno di un lustro e con ampia motivazione, questo singolare orientamento, che confondeva la ratio sottostante alle norme con la natura comunque processuale dei termini in esse fissati (14): fu così ribadito il costante principio secondo cui l’impugnazione, non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata e successiva all’anno dalla pubblicazione di questa, ma ancora ammessa per effetto della sospensione del termine di cui all’art. 327 durante il periodo feriale, va notificata non alla parte personalmente, bensì indifferentemente, a scelta del notificante, o presso il procuratore della medesima costituito nel giudizio a quo o nel domicilio eletto ovvero nella residenza dichiarata per quel giudizio, dovendo ritenersi equiparate sia l’ipotesi della mancata notificazione della sentenza impugnata, sia quella relativa alla mancata dichiarazione di residenza o elezione di domicilio (15).
La pronuncia in epigrafe si limita a ribadire la ratio della norma contenuta nell’ultimo comma dell’art. 330 e lo fa in linea con la conditoris intentio e con la lettura pressoché unanimemente datane dalla dottrina e dalla giurisprudenza: mancando la notificazione della sentenza, l’impugnazione interposta infra annum, da calcolarsi tenendo conto della sospensione feriale dei termini, va notificata, alternativamente, al procuratore costituito, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio, come si desume dall’avverbio “altrimenti”, di cui all’art. 330, comma 1°, seconda parte; trascorso un anno (oltre sospensione feriale) dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione va notificata alla parte personalmente, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 330 c.p.c., perché ultra annum deve presumersi cessato il ministero del procuratore e la parte deve ricevere diretta contezza degli atti di impugnazione che investono una sentenza la quale, decorso il termine annuale e alla stregua dell’art. 327, comma 1°, c.p.c., la parte stessa poteva ben ritenere non più suscettibile di essere infirmata.
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– Così ricostruito il principio sottostante al luogo per la notifica ultra annum dell’impugnazione, che all’evidenza si riannoda al termine lungo per impugnare le sentenze di cui all’art. 327 c.p.c.e alla facoltà, concessa al contumace involontario, di proporre impugnazione nonostante il decorso dell’anno, sol che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa o di altri atti da notificargli ai sensi dell’art. 292 (art. 327, comma 2°, c.p.c.) (16), per la Suprema Corte è stato certamente più agevole ricondurre alla medesima presunzione di cessazione del ministero tecnico del difensore anche il criterio per identificare il luogo di notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di gravame ex art. 331 c.p.c., piuttosto che aderire al contrapposto orientamento giurisprudenziale, che scorge nell’atto introduttivo di un giudizio di impugnazione in cause inscindibili o fra loro dipendenti la condizione necessaria e sufficiente per il riattivarsi del quiescente rapporto processuale e, con questa, per il risorgere a ogni effetto della domiciliazione fatta nel precedente grado.
Argomentava questo indirizzo che la qualità di domiciliatario della parte, che permane nel procuratore ad litem dopo l’esaurimento del grado di giudizio chiuso con la pubblicazione della sentenza soggetta ad impugnazione, è bensì temporanea, poiché dura soltanto per il periodo di un anno dalla pubblicazione della sentenza; ma tale temporaneità è collegata allo stato di quiescenza del rapporto processuale, iniziato con l’esaurimento di quel grado del giudizio e perdurante fino alla riattivazione del rapporto davanti al giudice dell’impugnazione. Ridestato il rapporto processuale, la detta qualità di domiciliatario si stabilizza divenendo definitiva, sì da non avere più alcuna influenza su di essa il decorso dell’anno dalla pubblicazione della sentenza pronunciata nel precedente grado del giudizio; e ciò sia nei confronti della parte alla quale è stato notificato l’atto di impugnazione, sia nei confronti di quegli altri soggetti che, già parti nel precedente grado del giudizio, devono esserlo anche in quello di impugnazione, trattandosi di causa inscindibile o di cause tra loro dipendenti (art. 331 c.p.c.). Le quali altre parti necessarie del giudizio di impugnazione, del resto, dovevano essere chiamate in causa fin dal momento della riattivazione del rapporto processuale, mediante la notificazione anche ad esse dell’atto di impugnazione; sicché quel momento è rilevante per la determinazione del modo di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio, consistente, in definitiva, nella ritardata proposizione dell’impugnazione nei confronti di quelle parti necessarie (17).
La contrapposizione che ha determinato l’intervento delle sezioni unite nasceva, d’altronde, dalla natura ambigua delle impugnazioni che, pur innestandosi sul continuum del processo e pur apparendo null’altro che una fase ulteriore di quell’unicum iniziatosi con l’atto introduttivo della lite, hanno forma e sostanza di nuovo giudizio innanzi a diverso giudice, nei limiti proprî di ciascun mezzo, e trascorrono continuamente da un principio di continuità a un principio di autonomia relativa, da una connessione strutturale con il processo celebrato nel grado precedente a un carattere estrinseco di procedimento ulteriore in sé concluso (18).
La pur argomentata ricostruzione che poc’anzi abbiamo riportato – la quale ben si allinea ad una concezione sistematica che non conosce soluzione di continuità tra un grado e l’altro del processo, perdurando la litispendenza ed il processo “finché una parte, a servizio della propria aspirazione, può pretendere un provvedimento dell’autorità giudiziaria” (19) – trascura il dato che emerge da varie norme sparse in positivo iure, che fanno presumere cessati il mandato tecnico del difensore e la connessa domiciliazione, trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza (cfr., oltre all’art. 330, ult. comma, l’art. 288, comma 3°, sul luogo di notifica dell’istanza di correzione della sentenza decorso un anno dalla pubblicazione, e l’ante vigente art. 479, secondo comma, che consentiva di notificare al procuratore le sentenze costituenti titolo esecutivo, purché entro l’anno dalla pubblicazione (20)).
E non v’è costruzione sistematica, per quanto elegante e fondata su autorevoli basi dottrinarie, che possa resistere a questo dato positivo, che vuol cessata l’efficacia della domiciliazione trascorso un anno dal deposito della pronuncia. Segno questo, come s’è detto, della natura ambigua delle impugnazioni, bipartita tra connessione strutturale al grado precedente e autonomo giudizio, ma anche del temperamento che la regola – di matrice chiovendiana e, ancor prima, del Pisanelli (21) – della notifica delle sentenze e delle impugnazioni al procuratore costituito e nel domicilio presso di questi eletto aveva subìto nel tradursi in norma processuale, mercé la presunzione del venir meno del mandato tecnico del difensore con il decorso dell’anno dalla “prolazione” (come si diceva un tempo) della sentenza.
Il limen infrannuale all’efficacia del mandato difensivo in relazione al luogo di notifica delle impugnazioni si spiegava vieppiù, nella logica del legislatore del 1940, per la rilevante novità del termine lungo per il passaggio in giudicato della sentenza, che diveniva irrevocabile dopo un anno dalla pubblicazione, anche senza quella notifica su istanza della parte vittoriosa che era invece richiesta dal c.p.c. del 1865, in ossequio al vetusto principio onde paria sunt non esse et non significari, tenacemente criticato da Chiovenda, con dovizia di argomenti storici e comparatistici (22), e alfine superato con l’art. 327, comma 1°, c.p.c.
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– In un contesto siffatto non potevano, dunque, le sezioni unite trascurare gli indici che oggettivamente provenivano dal diritto positivo, per lasciar spazio a costruzioni sistematiche del processo e degli effetti dell’impugnazione, certo raffinate e coerenti sul piano dogmatico, ma che trovavano malfermi sostegni nelle norme di legge ed anzi, a più approfondita disamina, da queste ricevevano un’indubbia smentita. Discorrere di riattivazione del mandato difensivo sol per effetto della notifica dell’impugnazione che, nelle cause scindibili o tra loro dipendenti, impediva il formarsi del giudicato anche nei confronti di coloro che non avevano ancora ricevuto la notificazione del gravame, come faceva l’indirizzo oggidì respinto dalle sezioni unite, significava porsi in contrasto con l’idea, insita in varie norme dell’ordinamento processuale (artt. 330, comma 3°, 288, comma 3°, 479, comma 2°, nel testo antevigente), che il mandato ad litemnon duri sino alle calende greche ma, trascorso un anno dalla chiusura del grado, debba reputarsi estinto; e che, pertanto, un atto fondamentale come l’impugnazione della sentenza, che può travolgere l’equilibrio sostanziale da questa scaturito, non possa più essere notificato presso il procuratore del precedente grado, ma debba essere portato direttamente alla conoscenza della parte, che è destinata a subire gli effetti di un mutamento del dictum giudiziale in sede di gravame.
Si posson certo revocare in dubbio l’opportunità e il fondamento stesso della presunta estinzione del mandato – presunzione che parci iuris et de iure anziché iuris tantum, non ammettendosi, decorso l’anno, un luogo per la notifica diverso da quello sancito in codeste norme (23) –, ond’è imposta la notificazione personale alla parte. Ma questa è volontà del conditor, la cui ragionevolezza riesce chiara sol che si rifletta sull’applicabilità dell’art. 330 c.p.c. a tutti i mezzi di impugnazione, anche a quelli straordinarî, come la revocazione (straordinaria) e l’opposizione di terzo, che possono essere notificati a considerevole distanza di tempo rispetto alla pubblicazione della sentenza.
Non ci pare, dunque, privo di senso avvicinare, come fa la Corte nella pronuncia in commento, l’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili o tra loro dipendenti ex art. 331 c.p.c. all’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, al fine di determinare il luogo della notifica ultra annum alla stregua dell’ultimo comma dell’art. 330, cioè mediante notifica alla parte personalmente, nei luoghi indicati dagli artt. 138 ss. c.p.c., anziché al procuratore costituito o nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata nel precedente grado. L’atto di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., in fin dei conti, non è che un’impugnazione che doveva essere notificata ai litisconsorti pretermessi fin dall’inizio del processo di gravame, proprio perché l’inscindibilità o il nesso di dipendenza che connotano queste liti plurisoggettive esigono una decisione unitaria, che potrebbe infirmare i risultati complessivamente scaturiti dal grado precedente, sottoponendo a grave rischio gli interessi delle parti.
Ancor più chiara ed opportuna appare la soluzione adottata dalle Sezioni unite, se ci si pone nell’ottica del destinatario dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione, che a distanza di anni dalla pubblicazione di una sentenza che legittimamente credeva ormai trascorsa in rem iudicatam, deve pur ricevere diretta e immediata contezza della “riapertura dei giochi” e della possibilità che ha di perdere, a seguito dell’avversario gravame, ciò che aveva conseguito per effetto della pronuncia. La vita pratica del processo conosce frequenti casi nei quali l’ordine di integrazione del contraddittorio viene emesso soltanto dopo che la causa è stata trattenuta per la decisione dal giudice del gravame che, re funditus cognita, si avvede dell’inscindibilità della lite plurisoggettiva o del nesso di dipendenza tra cause, ai sensi dell’art. 331 c.p.c. Sicché, a distanza di anni dalla pubblicazione della sentenza, è ragionevole imporre che la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio venga fatta alla parte direttamente anziché al suo remoto difensore, costituito nel precedente grado del giudizio.
Questa ci sembra la recta ratio dell’ultimo comma dell’art. 330 c.p.c., che va rispettata nonostante perplessità od obiezioni di carattere sistematico sulla scelta operata dal legislatore.
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– La legittima esigenza di garantire al destinatario dell’atto integrativo del contraddittorio una pronta ed efficace conoscenza dell’impugnazione che coinvolge anche i suoi inscindibili interessi non ha fatto, d’altro canto, dimenticare alla Corte la necessità di non punire troppo severamente l’impugnante, che abbia notificato l’atto presso il procuratore anziché alla parte personalmente, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 330 nell’interpretazione costì datane. Richiamandosi a precedenti pronunce, la Corte ha giustamente ritenuto che, nei casi in cui la legge prescrive la notificazione dell’atto alla parte personalmente, con le modalità e nei luoghi di cui agli art. 138 ss. c.p.c., la notificazione presso il procuratore costituito nel giudizio cui l’atto da notificare ha attinenza, integra una mera violazione della prescrizione in tema di forma, e non già l’impossibilità di riconoscere nell’atto la rispondenza al modello legale della sua categoria, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 160 c.p.c., ed operatività dei rimedi della rinnovazione (art. 162, 291 c.p.c.) o della sanatoria (art. 156, comma 3°, 157, 164 c.p.c.) (24).
Conclusione questa che appare in linea con gli orientamenti introduttivamente ricordati, che non fanno più della mancata od erronea notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione uno strumento destinato a falcidiare i gravami, ma più semplicemente un’estrinsecazione di quel dovere di accurata condotta processuale che grava sulle parti in ogni stato e grado del procedimento, salvo rimessione in termini allorché la decadenza sia determinata da una causa non imputabile.
La Corte Suprema appare ormai consapevole della necessità, come scriveva Mortara con stile tardoromantico e gusto vagamente “ossianico”, di “distruggere falsi scrupoli alimentati da abitudine inveterata di prestare maggiore e più cieco ossequio alle forme quanto più sono vane, quasi adorando in esse una mistica virtù che si pregia perché non si comprende” e di evitare che vadano “ogni dì sepolti nel cimitero delle nullità processuali centinaia di atti di appello sostanzialmente regolari e validi, che hanno pienamente raggiunto il loro scopo, essendo pervenuti in tempo e perfettamente integri nelle mani o a notizia dei destinatari” (25).
Al formalismo giudiziario deve, insomma, sostituirsi la più attenta e completa considerazione del diritto di difesa delle parti e della diligenza da esse posta nell’adempiere ai doveri e agli oneri proprî del processo.
(1) Cass., sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1238 (ord.), in Foro it. 2005, I, 2401, con nota adesiva di R. Caponi, Un passo delle sezioni unite della Cassazione verso la rimessione nei termini di impugnazione.
(2) Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, in Corriere. giur. 2003, 23, con nota adesiva di R. Conte e in Foro it. 2003, I, 13, con nota adesiva di R. Caponi, La notificazione a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data di consegna all’ufficiale giudiziario: la parte non risponde delle negligenze di terzi; Corte cost., 23 gennaio 2004, n. 28, in Corriere giur. 2004, 1307, con nota adesiva di C. Glendi e in Foro it. 2004, I, 645, con nota parzialmente adesiva di R. Caponi, Sul perfezionamento della notificazione nel processo civile (e su qualche disattenzione della Corte costituzionale).
(3) G. Balena, in G. Balena, M. Bove, Le più recenti riforme del processo civile, Bari 2006, 38 ss.; R. Caponi, La nuova disciplina del perfezionamento della notificazione nel processo civile (art. 149, 3° comma, c.p.c.), in Foro it. 2006, V, 165 ss.
(4) Cfr. R. Caponi, Un passo delle sezioni unite cit., 2402 s.; Id., La nuova disciplina del perfezionamento cit., 167.
(5) In Corriere. giur., 2006, 1559, con nota parzialmente critica di A. Tedoldi, Mancata notifica dell’ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c.: l’ammissibilità dell’impugnazione è salva (si paret iudici).
(6) Ulteriori riferimenti, si vis, in A. Tedoldi, op.ult.cit., spec. 1564 ss. Sul Prozessförderungspflicht v. il § 282, Abs. 1, ZPO (“Jede Partei hat in der mündlichen Verhandlung ihre Angriffs- und Verteidigungsmittel, insbesondere Behauptungen, Bestreiten, Einwendungen, Einreden, Beweismittel und Beweiseinreden, so zeitig vorzubringen, wie es nach der Prozesslage einer sorgfältigen und auf Förderung des Verfahrens bedachten Prozessführung entspricht”) e Abs. 2 (“Anträge sowie Angriffs- und Verteidigungsmittel, auf die der Gegner voraussichtlich ohne vorhergehende Erkundigung keine Erklärung abgeben kann, sind vor der mündlichen Verhandlung durch vorbereitenden Schriftsatz so zeitig mitzuteilen, dass der Gegner die erforderliche Erkundigung noch einzuziehen vermag”), nonché il § 296, Abs. 2, ZPO (“Angriffs- und Verteidigungsmittel, die entgegen § 282 Abs. 1 nicht rechtzeitig vorgebracht oder entgegen § 282 Abs. 2 nicht rechtzeitig mitgeteilt werden, können zurückgewiesen werden, wenn ihre Zulassung nach der freien Überzeugung des Gerichts die Erledigung des Rechtsstreits verzögern würde und die Verspätung auf grober Nachlässigkeit beruht”). Su queste norme cfr. Rosenberg, Schwab, Gottwald, Zivilprozessrecht, München 2004, 521 ss.; Leopold, in Stein, Jonas, Zivilprozessordnung, 3ª ed., Tübingen 1997, 451 ss. e 637 ss.; Baumbach, Lauterbach, Albers, Hartmann, Zivilprozessordnung, München 2004, 1069 e 1167 ss. Alcuni cenni anche in R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996, spec. 88 s.
(7) Ci riferiamo al d.lgs. n. 40 del 2006, su cui v. B. Sassani, Il nuovo giudizio di cassazione, in questa Rivista 2006, 217 ss.; G. Monteleone, Il nuovo volto della Cassazione civile, in questa Rivista 2006, 943 ss.; nonché, si vis, A. Tedoldi, La delega sul procedimento di cassazione, in questa Rivista 2005, 925 ss.; Id., La nuova disciplina del procedimento di cassazione: esegesi e spunti, in Giur.it. 2006, 2002 ss.
(8) Cfr. L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. IV, Milano 1918, 116. Nel c.p.c. del 1865 i luoghi di notificazione dell’appello e delle altre impugnazioni ordinarie erano gli stessi previsti per la notificazione delle sentenze (v. gli artt. 486 e 367 c.p.c. 1865) ed anche Chiovenda, occupandosi nel 1901 del problema della notificazione delle sentenze, notava che poche materie come questa davano campo a tante questioni, molte delle quali di “singolar gravità” (G. Chiovenda, Sulla pubblicazione e notificazione delle sentenze civili, in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), vol. II, rist. Milano 1993, 237).
(9) Cass., sez. un., 15 novembre 1997, n. 1018 (ord.); Cass., 21 novembre 2000, n. 15023. Sulla ratio della disposizione v. E. Redenti, Diritto processuale civile, vol. II, Milano 1997, 383; Id., Sull’interpretazione dell’art. 330 ultimo comma, in Giur. it. 1949, I, 1, 653; V. Andrioli, Commento al c.p.c., vol. II, Napoli 1957, 389, dove si nota che “la elezione di domicilio e il mandato alle liti non durano sino alle calende greche e, alla scadenza dell’anno, si suppone ragionevolmente cessato il pregresso rapporto tra la parte e il procuratore”.
(10) Cass., 5 febbraio 1986, n. 966;Cass., 26 luglio 2002, n. 11076.
(11) Cass., sez. un., 15 novembre 1997, n. 1018 (ord.), cit.; Cass., 21 novembre 2000, n. 15023, cit.
(12) Cass., 23 aprile 2004, n. 7746, in Giust. civ. 2004, I, 1450.
(13) V. Cass., 24 ottobre 1989, n. 4321, in questa Rivista 1991, 867 con nota parzialmente critica di P. Pototschnig, Sul luogo di notificazione dell’impugnazione quando la sentenza non sia stata notificata, e inForo it. 1990, I, 94, con nota critica di A. Proto Pisani. Le massime ufficiali suonano (recte, dissonano) nel seguente modo: “L’anno della pubblicazione della sentenza, il cui decorso, ai sensi dell’art. 330 3° comma c.p.c., comporta che l’impugnazione, se ancora ammessa, va notificata personalmente a norma degli art. 137 seg. c.p.c., deve essere calcolato indipendentemente dalla sospensione durante il periodo feriale, della quale invece beneficia il termine annuale d’impugnazione, tenendo conto che la citata previsione dell’art. 330 c.p.c. si ricollega alla presunzione del venir meno, per effetto del decorso del tempo, di ogni rapporto fra il notificando e i luoghi di residenza e domiciliazione in precedenza indicati, senza alcuna attinenza con le attività processuali per le quali è accordata la suddetta sospensione”; “se il termine annuale di decadenza di cui al 1° comma, art. 327 c.p.c., a seguito della sospensione dei termini nel periodo feriale, viene a scadere oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione deve esser notificata alla parte personalmente e non presso il procuratore costituito”.
(14) Per ulteriori, analitiche censure alla pronuncia eterodossa di Cass. 24 ottobre 1989, n. 4321 cit., v. la nota di P. Pototschnig, loc.cit., che propende per l’applicazione, diretta o quanto meno analogica, dell’art. 170, comma 1°, c.p.c. anche alle notifiche delle impugnazioni, da effettuarsi, pertanto, presso il procuratore costituito nel grado precedente.
(15) Così recita la massima di Cass., sez. un., 20 dicembre 1993, n. 12593, in Foro it. 1994, I, 2462, in Corriere giur. 1994, 591, con nota di Frangini, in Giur. it. 1994, I, 1, 544 e in Giust. civ. 1994, I, 948.
(16) Cfr, per tutte, Cass., sez. un., 20 dicembre 1993, n. 12593 cit.
(17) Così Cass., 5 febbraio 1983, n. 966;Cass., 1 ottobre 2004, n. 19659, in Foro it. 2006, I, 565.
(18) Cfr. S. Satta, Commentario al c.p.c., 2^ ed., vol. II, Milano 1959/62, 55 s. che ravvisa la ragione delle particolari forme e luoghi di notificazione nella duplice natura delle impugnazioni, cioè da un lato nella loro autonomia, dall’altro nella loro connessione strutturale col processo, aspetto quest’ultimo prevalente nella notificazione della sentenza, mentre il primo prevale nella notifica dell’impugnazione, perché “il distacco della parte dal procuratore è un fatto compiuto e il legame che ancora può permanere è del tutto esteriore, se non occasionale”.
(19) Così G. Chiovenda, Rapporto giuridico processuale e litispendenza, in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), vol. II, rist. Milano 1993, 378 ss.; v. anche G. Tarzia, Pendenza del termine per impugnare e litispendenza, in Riv.dir.proc. 1988, 1086 ss.
(20) La norma è stata modificata con le riforme del 2005, che han fissato la necessità di notificare comunque il titolo esecutivo alla parte personalmente, poiché destinataria finale dell’obbligo posto a suo carico nel dictumgiudiziale. È curioso osservare come la norma novellata sia contraria non soltanto all’originaria previsione del codice del 1940, ma anche alle lunghe e approfondite indagini storico-comparatistiche, che avevano indotto G. Chiovenda, Sulla pubblicazione e notificazione delle sentenze civili cit., 289 ss., a patrocinare la soluzione, poi fatta propria dal c.p.c., della notifica presso il procuratore della sentenza costituente titolo esecutivo, non soltanto per far decorrere i termini di impugnazione, ma anche quale annunzio prodromico all’esecuzione forzata.
(21) V. G. Chiovenda, op. ult. cit., 284 ss., dove si richiama la Relazione Pisanelli, poi non del tutto recepita nei lavori parlamentari e nelle norme del c.p.c. del 1865, nella quale si indicava la persona del procuratore come destinataria della notifica delle sentenze e, identico essendone il regime, delle impugnazioni ordinarie: v. i nn. 152, 295 e 349 della Relazione ministeriale sul primo libro del progetto di codice di procedura civile, presentato in iniziativa al Senato dal Ministro Guardasigilli Pisanelli, nella tornata del 26 novembre 1863, riprodotta in Codice di procedura civile del Regno d’Italia 1865, a cura di N. Picardi, A. Giuliani, Milano 2004, 77, 151 e 185.Infatti, l’art. 486, comma 2°, c.p.c. 1865, per la notificazione dell’appello rinviava all’art. 367 c.p.c. 1865 sulla notificazione delle sentenze, il cui ultimo comma disponeva che, cessato il ministero del procuratore, la notifica si effettuasse alla parte personalmente: su queste norme v. L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, vol. IV, Torino 1904, 523 s. e spec. 123 ss., ove ampî cenni anche ai precedenti storici della norma e ai lavori preparatorî del c.p.c. del 1865, ivi inclusa la proposta di Pisanelli, che – scrive Mattirolo – “parve tosto, ed era veramente, non scevra di gravi pericoli, siccome quella, che riesciva ad accordare un potere sconfinato ai procuratori, costituendoli arbitri delle sorti della causa: essa sembrò inoltre meno conforme alla logica, perché, compiuto il giudizio con la sentenza, finisce il mandato del procuratore”. Argomento questo che L. Mortara, Commentario cit., vol. IV, 116, liquidava come “abbastanza frivolo, non solo perché la scelta del procuratore è assolutamente libera e la parte non potrebbe attestargli fiducia maggiore dell’avere confidato alla di lui diligenza, capacità e probità le sorti del litigio, ma anche perché l’ufficio del procuratore è considerato pubblico e offre garanzia sufficiente come tale; ed infine perché l’esperienza quotidiana dimostra che la parte quasi sempre, malgrado il sistema adottato dalla legge, vuole e preferisce che la notificazione della sentenza sia ricevuta dal procuratore, eleggendo domicilio presso di lui”, laddove “il timore lontano (non propriamente grave pericolo) di negligenza o colpa di qualche singolo procuratore, ben poteva essere tranquillizzato con sanzioni disciplinari e di responsabilità civile opportunamente misurate”; così come appariva a Mortara “non meno evidente la superficialità dell’argomento desunto dalla estinzione del mandato”, che “non trae sussidio da una determinazione giuridica dei limiti di tempo del mandato alle liti”.
(22) V. G. Chiovenda, Sulla pubblicazione e notificazione delle sentenze civili cit., 237 ss. V., infatti, il c.d. Progetto Chiovenda, che all’art. 174, ultimo comma, dichiara inammissibile l’appello “decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza emanata in contraddittorio delle parti”. Anche L. Mortara, Commentario cit., vol. IV, 112 ss. respinge l’inveterato brocardo, affermando a chiare lettere che “la sentenza è, e produce effetti giuridici, anche indipendentemente dalla notificazione”.
(23) Contra P. Potoschnig, op.cit., 896.
(24) V. Cass. (ord.), sez. un., 17 marzo 2004, n. 5459, in Giust. civ. 2004, I, 1707, con nota di Giordano; Cass., sez. un., 3 marzo 2003, n. 3075, in Foro it. 2003, I, 1430, con nota di C.M. Barone e in Gius 2003, 1545, nonché in Giur. it. 2003, 1567; e specialmente Cass. (ord.), sez. un., 15 novembre 1997, n. 1018, secondo cui, “in tema di integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c., qualora risultino violate le norme che disciplinano il procedimento di notificazione, la nullità è sanabile attraverso la rinnovazione dell’atto di integrazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., con fissazione di un nuovo termine anch’esso perentorio, purché il precedente termine assegnato sia stato rispettato sia pure attraverso una notifica nulla”; Cass., 21 novembre 2000, n. 15023.
(25) Così L. Mortara, Commentario cit., vol. IV, 377.