La “minore gravità” nei reati sessuali

Alfredo Montagna, La “minore gravità” nei reati sessuali, in Cassazione penale, n. 4, 2011, p. 152 ss.

LA “MINORE GRAVITA’” NEI REATI SESSUALI

di

Alfredo Montagna

(Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione)

[Commento a SEZ. III – UD. 15 GIUGNO 2010 (DEP. 14 LUGLIO 2010), N. 27272 – PRES. LUPO – REL. SQUASSONI – P.M. MAZZOTTA (CONCL. PARZ DIFF.)]

Sommario 1. La questione — 2. La valorizzazione dell’elemento soggettivo — 3. L’orientamento oggettivo — 4. Conclusioni

  1. LA QUESTIONE

Non vi è processo per violenza sessuale ove non venga posta la questione della possibilità o meno di inquadrare il fatto in quello di minore gravità ai sensi del terzo comma dell’art. 609-bis c.p.

Infatti la “ristrutturazione” dei reati in materia sessuale del 1996, con la abolizione degli atti di libidine, ha reso necessaria una previsione attenuata per i casi che risultano di minore gravità (1), di qui la necessità della individuazione in linea generale dei parametri attraverso i quali accertare i “casi di minore gravità”.

La disposizione di riferimento diviene così l’art. 133 c.p., il quale al comma primo indica una serie di elementi oggettivi dai quali desumere la “gravità del fatto”: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Lo stesso articolo, al comma secondo, prevede che la capacità a delinquere dell’autore del reato sia desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Evidente che una dizione letterale della attenuante speciale in materia sessuale formulata con l’espressione “fatto di minore gravità”, non avrebbe lasciato spazio a differenti opzioni giurisprudenziali, con un obbligatorio riferimento al solo primo comma dell’art. 133 c.p.; ma il riferimento a “casi” e non a “fatti”, ha determinato approcci differenti alla soluzione interpretativa, anche nella giurisprudenza di legittimità, dalla quale il mondo del diritto, ed i giudici di merito, si attendono interpretazioni certe, che ne indirizzino il lavoro quotidiano.

Infatti nella giurisprudenza si rinvengono due orientamenti, l’uno che sostiene una lettura più ampia della norma, con la valorizzazione anche degli elementi soggettivi, l’altro che configura l’attenuante con esclusivo riferimento alle componenti oggettive.

  1. LA VALORIZZAZIONE DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO

Entrambe le tesi interpretative condividono la necessità che per la individuazione di questa diminuente, stante il suo carattere indefinito e discrezionale, occorra ancorarsi a criteri normativi certi quali quelli contemplati dall’art. 133 c.p. ed all’oggettiva minore lesività del caso in concreto. La differenza si sostanzia nella utilizzazione dei parametri, in quanto l’orientamento maggioritario nella giurisprudenza della terza sezione ha operato una lettura complessiva degli elementi contenuti nel citato art. 133 c.p., ovvero sia di quelli oggetti che di quelli soggettivi.

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Una scelta dettata dalla formulazione lessicale del disposto del comma 3, dell’art. 609-bis. c.p., che prevedendo la diminuente per i “fatti” di minore gravità (2), consentirebbe, secondo questa impostazione, un riferimento all’intero contenuto dell’art. 133, con la valorizzazione di tutti quegli elementi fattuali e personali, oggettivi e soggettivi, “idonei ad assegnare al fatto una minore carica di disvalore” (3).

Una interpretazione che si fa strada fra la fine degli anni 90 ed i primi del 2000, allorché (4) si è osservato come ragionare diversamente, ovvero disancorando l’applicazione della diminuente in questione da una complessiva valutazione della fattispecie concreta, significherebbe parcellizzare gli elementi a disposizione.

Più specificamente, in queste prime decisioni, come in altre che si susseguono, si sostiene che la diminuente di cui al comma 3, dell’art. 609-bis c.p. si deve considerare applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, “con riguardo ai mezzi, alle modalità, esecutive ed alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, anche in relazione all’età della stessa”, affermandosi però anche la necessità di una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato, ma estesa a quelle soggettive, ivi compreso il rapporto interpersonale, ed a tutti gli elementi menzionati dal- l’art. 133 c.p. (5). Vengono così valorizzati da un lato la materialità dei fatti, ritenuti intrusivi in maniera rilevante nella sfera sessuale della persona offesa, dall’altro la particolare intensità dell’elemento soggettivo del responsabile, così come la incidenza del fatto sul profilo psichico della persona offesa e sul corretto sviluppo della personalità della stessa (6).

Questo orientamento ricollega l’espressione “casi di minore gravità” con formule analoghe come quella più frequente di “lieve entità”, o ancora di “particolare tenuità”. Sul punto può farsi riferimento alle vicende normative in tema di ricettazione, in quanto anche per tale ipotesi di reato, analogamente a quanto successo in tema di reati sessuali, successivamente all’entrata in vigore della l. 22 maggio 1975 n. 152, che, rimodulando numerose disposizioni in tema di ordine pubblico ed aggravando le sanzioni, aveva creato la necessità di una ipotesi attenuata di ricettazione per gli episodi di lieve entità, si sono verificate delle oscillazioni giurisprudenziali sulla individuazione dei criteri da utilizzare per la valutazione della lieve entità. In merito le Sezioni unite erano intervenute con la decisione Beggio (7), che faceva riferimento al contenuto complessivo dell’attenuante speciale. La giurisprudenza successiva ha ritenuto che allorché il valore economico fosse lieve l’indagine andasse estesa anche a tutte le altre circostanze di cui all’art. 133 c.p. e l’ipotesi cosiddetta “affievolita” del reato di ricettazione andasse esclusa se uno degli elementi materiali della ricettazione poteva essere considerato di non scarsa importanza sia sotto il profilo della capacità a delinquere del soggetto sia per il vantaggio tratto dalla ricettazione stessa (8), richiamandosi così ogni altro elemento idoneo a valutare la gravità del reato ex art. 133 c.p. (9). In definitiva la giurisprudenza era da tempo concorde nel ritenere che la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 648, comma secondo, c.p., dovesse essere valutata con riguardo a tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto, e cioè non solo con riguardo alla qualità della “res” ricettata, ma anche alla sua entità, alle modalità dell’azione, ai motivi della stessa, alla personalità del colpevole. Ma da ultimo, anche se nell’affrontare la specifica questione del rapporto tra attenuante speciale e attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., le Sezioni Unite Ruggiero (10) nell’affermare che, ai fini della sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, non rileva soltanto il valore economico della cosa ricettata, appaiono comunque essersi ancorate ad elementi di carattere oggettivo, nel momento in cui fanno riferimento al complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa dal reato come conseguenza diretta del fatto illecito.

Inoltre un semplice esame delle fattispecie nelle quali è stato escluso che si trattasse di casi di minore gravità permette però di evidenziare come il “dato oggettivo” appaia spesso predominante, come in occasione dell’esclusione della analoga attenuante prevista dall’art. 609-quater c.p. (11), o ancora in procedimento relativo ad abuso su minori (12), a dimostrazione che l’opzione giuridica di fondo, riferibilità o meno all’intero contenuto dell’art. 133 c.p., sfumi e non sostenga compiutamente la motivazione del caso specifico (13).

  1. L’ORIENTAMENTO OGGETTIVO

Un orientamento allo stato minoritario all’interno della giurisprudenza della sezione, e che viene di nuovo sostenuto dalla decisione in commento, evidenzia la ratio della previsione attenuatrice, ovvero la necessità che una volta unificate le precedenti fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine, la sanzione non si presenti sproporzionata rispetto ai fatti più lievi; una distinzione fra fatti lievi e “ordinari” che diviene il principale criterio di riferimento per l’applicazione della circostanza di cui al comma 3 dell’art. 609-bis c.p. Un attenuante che va riconosciuta allorché si può fondatamente ritenere che la libertà sessuale della vittima, che costituisce l’interesse tutelato dalla fattispecie, sia stata compressa in maniera lieve

In questa giurisprudenza si sostiene che per l’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità si deve ovviamente fare riferimento alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, come il grado di coartazione esercitato sulla vittima (che costituiscono gli elementi di cui al n. 1 del comma 1 dell’art. 133 c.p.), nonché al danno arrecato alla parte lesa, in considerazione a volte dell’età della stessa (14), in altre delle condizioni psichiche della persona offesa (15) (gravità del danno o del pericolo previsto dal numero 2 del citato primo comma); o ancora alle caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età (16).

Il riferimento è comunque sempre soltanto agli elementi indicati dal comma primo dell’art. 133 c.p., senza che possano venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma secondo dello stesso articolo 133, la cui utilizzazione viene riferita alla sola commisurazione complessiva della pena (17).

Nella citata decisione della quarta sezione (18) si ribadisce infatti come la lettura della norma che appare come la più corretta ed in linea con la ratio dell’attenuazione del trattamento sanzionatorio, imponga al giudice di valutare gli elementi previsti dal solo primo comma dell’art. 133 c.p., mentre quelli previsti dal comma secondo andrebbero valutati solo per la commisurazione complessiva della pena, in quanto relativi alla «capacità a delinquere del colpevole». La riduzione di pena scatta così «per il suo riferimento al danno derivatone alla persona offesa e, quindi, con precipua attenzione alle modalità oggettive del fatto incriminato; mentre la personalità del reo e, più ingenerale, i profili soggettivi della vicenda possono essere semmai valutati ai fini della concessione delle attenuanti generiche e della dosimetria della pena».

  1. CONCLUSIONI

La premessa culturale necessaria per dare una risposta completa al problema richiama il fatto che la legge n. 66/1996 è stata ispirata da una pluralità di ragioni, e tra queste da un lato quella di evitare alla vittima le inevitabili invasive indagini processuali necessarie per accertare la sussistenza del reato di cui all’art. 519 o del reato di cui all’art. 521, dall’altro nella convinzione che la lesione della libertà sessuale abbia una gravità intrinseca che prescinde dal grado di intrusione corporale subito dalla vittima, e così abolendo la distinzione tra atti di libidine e violenza carnale, unificando le due nozioni in quella più generale di atti sessuali (e così consentendo, tra l’altro, di punire con pena adeguata ipotesi di atti di libidine non dissimili dalla vera e propria violenza carnale per l’impatto psicologico sulla vittima).

Inoltre il mutamento dell’oggetto giuridico dei reati di violenza sessuale, li ha sottratti dalla sfera dei reati contro la moralità pubblica ed il buon costume (titolo IX del codice) e li ha inclusi nella categoria dei delitti contro la persona (titolo XII) e più specificamente dei delitti contro la libertà individuale (capo III).

L’antigiuridicità della condotta propria del reato di cui all’art. 609-bis c.p. resta connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione al desiderio sessuale dell’agente) e da un requisito oggettivo (la concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale).

Su queste premesse va ricordato come l’attenuante in esame non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato, ed in questa ottica, anche se nei lavori preparatori della modifica del 1996 si fa riferimento più alla quantità che alla qualità dell’atto sessuale, la evoluzione della sensibilità sociale su questi temi ha fatto sì che oggi assuma identica importanza la “qualità” dell’atto, in uno con il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni, fisiche e mentali, di quest’ultima, le caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici.

Considerazioni rafforzate dal rilievo che la giurisprudenza ha in più occasioni ribadito che non vi è contraddizione nel caso di concessione delle circostanze attenuanti generiche, stante la incensuratezza del reo, con il contestuale diniego dell’attenuante speciale della minore gravità del fatto, evidenziando che mentre le prime possono essere motivate con la mancanza di precedenti penali, diversamente la gravità del fatto attiene alla condotta concretamente posta in essere e prescinde dalla circostanza di essere o meno il reo immune da precedenti penali (19).

Come viceversa alla applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dal terzo comma dell’art. 609-bis non consegue automaticamente l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche; ma ciò proprio in quanto per la concedibilità delle attenuanti generiche vengono in considerazione tutti i parametri indicati nell’art. 133 c.p., mentre per la configurabilità dell’attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma 1 e non quelli indicati nel comma secondo del citato articolo 133 c.p.

Si tratta a questo punto di valutare se la oggettivizzazione del riferimento vada portata alle sue estreme conseguenze, in quanto specialmente in dottrina (20) si è ipotizzata la utilizzazione dei soli primi due parametri del comma 1 dell’art. 133, ovvero quanto rappresentato dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione (n. 1); o ancora dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato (n. 2), così escludendosi, oltre alle pre- visioni del comma 2, quanto indicato dal n. 3 del comma 1, intensità del dolo o grado della colpa. Ma a questa ulteriore domanda può darsi una risposta negativa, in quanto non va dimenticato che la norma parla di “casi” e non di “fatti”, per cui anche se ciò non può consentire una valorizzazione della capacità a delinquere del colpevole, estranea alla gravità del reato, pur tuttavia non può non tenersi conto, oltre alle caratteristiche più tipicamente oggettive della condotta, anche del più generale contesto, ove la intensità del dolo non può essere esclusa.

È pertanto auspicabile che la Corte recuperi quanto prima quella funzione di nomofilachia cui è deputata, specialmente con riferimento ad una questione quale quella di una circostanza attenuante caratterizzata da una considerevole indeterminatezza, ed una conseguente notevole discrezionalità già paventata nei lavori preparatori alla legge n. 66 del 1996.

(1) L’art. 609-bis, 3 comma, prevede che nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Una previsione analoga è con- tenuta per gli atti sessuali con minorenne, ove al comma quarto dell’art. 609-quater, si prevede che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi».

(2) La distinzione fra fatto e caso è valorizzata da MANTOVANI, Diritto penale – Delitti contro la persona, Cedam, 2008.

(3) Come anche sostenuto in dottrina da MARINI, Delitti contro la persona, Giappichelli, 1996.

(4) Ed argomentata in modo completo da Sez. III, 24 marzo 2000, n. 5646, Improta, in C.E.D. Cass., n. 216569.

(5) Si esprimeranno in modo identico Sez. III, 12 febbraio 2004, n. 15464, Marotta, in C.E.D. Cass., n. 228498 e Sez. III, 3 ottobre 2006, n. 38112, Magni, ivi, n. 235031.

(6) In questo senso Sez. III, 5 luglio 2006, n. 33479, Greggio, in C.E.D. Cass., n. 234788.

(7) In questa rivista, 1990, p. 214.

(8) In tal senso Sez. II 18 maggio 1993, dep. 9 luglio 1993, n. 6898, Crobu, in questa rivista, 1995, p. 70.

(9) Riflessioni presenti anche in Sez. II, 8 gennaio 1992, n. 1999, Fontana, in C.E.D. Cass., n. 189159.

(10) Sez. un., 12 luglio 2007, n. 35535; Ruggiero, in Riv. polizia, 2007, n. XI, p. 798, con nota di MONTAGNA.

(11) Sez. III, 8 giugno 2000, n. 9528 ha negato la attenuante evidenziando come nel caso de qua l’imputato avesse «afferrato con forza le mani di una sua vittima e la costringesse a toccargli i genitali, mentre con l’altra la violenza consisteva nel trattenerla con forza presso di sé, ovvero nell’afferrarle il collo e la mascella»; con ciò ancorandosi a dati esclusivamente oggettivi.

(12) Sez. III, 3 ottobre 2006, n. 38112, cit., ha ritenuto corretta la esclusione dell’attenuante nei confronti di un imputato che aveva costretto, in diverse occasioni, dei minori a compiere ed a subire atti sessuali, sottolineando che questi, dopo averli invitati, sia nella propria abitazione, sia all’interno del proprio box, aveva costretto le parti offese ad una serie di atti sessuali, minacciando di non farli uscire se non avessero prima sottostato agli stessi.

(13) In dottrina sostengono l’interpretazione più lata FIANDACA, voce Violenza sessuale, in Enc. dir., agg. IV, Giuffrè, 2000, p. 1161, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 2008, p. 188.

(14) All’età ha fatto riferimento Sez. III, 13 novembre 2007, n. 45604, Mammina, in C.E.D. Cass., n. 238282

(15) Fa riferimento al le ricadute sull’equilibrio affettivo della persona offesa Sez. III 19 dicembre 2006, n. 1057/2007, in C.E.D. Cass., n. 236024

(16) Ulteriore contributo a questa posizione è espresso da Sez. III 27 settembre 2006, n. 40174, in C.E.D. Cass., n. 235576

(17) Appartengono a questo filone interpretativo Sez. III 25 novembre 2003, n. 2597/2004, in C.E.D. Cass., n. 227397; nonché una delle poche decisioni non riferibili alla terza sezione: Sez. IV, 4 maggio 2007, n. 22520, Lasco, ivi, n. 236730

(18) Sez. IV, 4 maggio 2007, n. 22520, Lasco, cit.

(19) In proposito Sez. III, 9 aprile 2008, n. 19966, Manicni, in C.E.D. Cass., n. 240047

(20) CADOPPI, sub art. 609-bis, in Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, a cura di Cadoppi, Cedam, 2007.

Magistrato ordinario dal 1977, con esperienze lavorative a Milano, Brescia, Grosseto, Corte di Cassazione e Procura Generale presso la Corte di Cassazione, anche quale componente dell’Ufficio Affari Internazionali della Procura Generale e dell’Ufficio Disciplinare della magistratura ordinaria Si è occupato di decine processi di criminalità organizzata (camorra, mafia, n’drangheta, sacra corona unita), di terrorismo internazionale (PKK, DHKP-C e Al Quaeda), di associazioni a delinquere (P3 e P4), di reati contro la persona (tra cui l’omicidio di Nicola Calipari, di Marco Biagi, di Francesco Fortugno) Magistrato tributario dal 1982, Presidente della Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia, Componente del Consiglio della Giustizia Tributaria, ove presiede la Commissione disciplinare e decadenza. Già professore a contratto presso l’università di Siena dal 2004 al 2009, ha svolto docenze nelle scuole di specializzazione ed in Master presso le Università di Roma, Firenze, Bari, Perugia, Viterbo, Siena. E’ stato componente del Comitato Scientifico del CSM per la formazione professionale dei magistrati, responsabile della formazione dei magistrati della corte di cassazione, della attuazione del diritto dell’unione europea presso la corte di cassazione e la procura generale della cassazione. Membro del Comitato di redazione della rivista Ambiente e Sviluppo; Autore di più di una voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, ha pubblicato, tra l’altro, “la responsabilità degli enti locali” in AA VV , Cedam, 2007; “il diritto tra la vita e la morte”, FrancoAngeli, Bologna, 2011; “la salute ed il principio di autodeterminazione nel sistema giudiziaria italiano”, FrancoAngeli, Bologna, 2010: Autore di centinaia di articoli sulle riviste: Rivista di Polizia,Aracne, Roma; Diritto penale e processo, Ipsoa, Milano; Cassazione penale, Giuffrè, Milano; Villaggio globale, Bari; Minori giustizia, Giuffrè, Milano; Rivista penale, La Tribuna, Piacenza; Rivista giuridica dell’Ambiente, Giuffrè, Milano; Gazzetta Giuridica; RivistAmbiente, La Tribuna, Piacenza; Alimenta, MIlano; TuttoAmbiente; Ambiente e Sviluppo, Ambiente e Impresa; Archivio delle locazioni, La Tribuna, Piacenza; Quotidiano giuridico, Ipsoa. Responsabile dal 1997 dell’Osservatorio sulle Sezioni Unite penali in diritto penale e processo, Ipsoa, ed ora anche dell’Osservatorio sui contrasti nella giurisprudenza di legittimità.

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