Avv. Manlio Mallia, La citazione delle opere protette dal diritto d’autore, in www.lexenia.it
Tra gli strumenti adottati per limitare in misura più o meno ampia il diritto d’autore (licenze legali, licenze obbligatorie, amministrazioni collettive obbligatorie) le esenzioni complete sono le sole a non prevedere alcun compenso economico in favore dell’autore.
Queste esenzioni traggono origine da ragioni di ordine pubblico, da valutazioni di tipo economico e, più spesso, da considerazioni d’interesse pubblico o da interventi di gruppi di pressione (ampie e altrimenti inspiegabili sono le esenzioni previste all’interno dei vari sistemi giuridici, che vanno dalle manifestazioni dei veterani e degli agricoltori negli Stati Uniti, alle cerimonie religiose in India e agli stabilimenti industriali nei Paesi comunisti) e rappresentano quasi sempre eccezioni minime al principio del diritto esclusivo, per lo scarso significato economico che esse hanno per l’autore, sacrificato anche per questo motivo sull’altare dei superiori interessi della collettività.
Tra le limitazioni imposte al diritto d’autore in nome della libertà di pensiero e di espressione o, per meglio dire, della libera circolazione delle informazioni e delle idee, figura il diritto di citazione, riconosciuto con maggiore o minore ampiezza e con diverse condizioni di applicazione dalle legislazioni di tutti i Paesi. E’ appena il caso di notare che si tratta di valori costituzionalmente riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano e che da questi stessi valori trae il suo fondamento e la sua legittimazione sul piano sociale il diritto d’autore, che deve però subire al medesimo titolo alcune limitazioni.
L’impatto del diritto d’autore sulla libertà di espressione è limitato in primo luogo dal fatto che esso, come è noto, protegge solo la forma espressiva dell’opera, mentre le idee possono essere usate liberamente.
In molti casi, però, non è sufficiente riportare solo le idee altrui, ma è necessario usare parte di un’opera protetta, sacrificando, almeno parzialmente, la tutela della sua forma espressiva. Ciò può avvenire, ad esempio, nell’ambito di una polemica o all’interno di una recensione o di uno studio critico su un autore di cui, per onestà intellettuale o per evitare l’accusa di averne deformato le opinioni, si vuole riferire correttamente il pensiero, riportando con la massima precisione anche i dettagli e le sfumature di alcune sue affermazioni esemplari.
E’ quindi evidente l’importanza del diritto di citazione per la salvaguardia della libertà d’espressione, costituzionalmente garantita in tutti i Paesi democratici: non per nulla la sola limitazione obbligatoria prevista dalla Convenzione di Berna riguarda proprio le citazioni (1° comma dell’art. 10). E’ comunque il caso di rilevare a questo proposito che l’equilibrio tra i diritti degli autori e la libertà di citazione delle loro opere è raggiunto quasi sempre – anche se in misura non omogenea, a seconda delle tradizioni giuridiche e della diversa considerazione degli interessi in gioco – all’interno delle legislazioni sul diritto d’autore dei vari Paesi, senza necessità di far ricorso a norme di rango superiore, come potrebbero essere, ad esempio, quelle della Convenzione Europea sui diritti umani.
Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere Uno sguardo all’estero Una prima risposta al quesito è fornita dalle varie convenzioni internazionali sul diritto d’autore, dalle quali emerge la costante preoccupazione che le leggi nazionali non paralizzino la libertà d’espressione o non costituiscano comunque un ostacolo allo sviluppo della cultura o alla creazione di nuove opere. Non va ignorato, infatti, a questo proposito, che i primi beneficiari delle eccezioni e delle limitazioni al diritto d’autore sono spesso gli autori stessi, come è il caso del diritto di citazione. L’art. 10 della Convenzione di Berna (atto di Parigi) prevede la liceità delle citazioni tratte da opere pubblicate, a condizione che esse siano conformi ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo e purché siano sempre indicati la fonte e il nome dell’autore, se compare nella fonte. Da ciò si desumono i seguenti punti-chiave: Ogni opera può essere citata, a condizione che sia stata già pubblicata; La citazione non deve necessariamente ubbidire a uno scopo o a una finalità precisa e può dunque avvenire anche in sede di cronaca; La fonte deve essere sempre menzionata, in modo chiaro e con ragionevole ampiezza. Ma è soprattutto il criterio della funzionalità ad ispirare la liceità della citazione, che deve rispondere a due ulteriori e decisivi requisiti soggettivi. La citazione deve essere in primo luogo conforme ai “buoni usi”, e ciò richiama chiaramente il 2° comma dell’art. 9 della Convenzione di Berna in tema di eccezioni al diritto di riproduzione, che può essere limitato in alcuni casi speciali, che non devono essere in conflitto con il normale sfruttamento dell’opera e non devono causare un pregiudizio ingiustificato ai legittimi interessi degli autori. E’ il caso di ricordare che questa formula (il c.d. three steps test) è ripetuta per tutti i diritti esclusivi pressoché alla lettera dall’art. 13 dei TRIPS e viene ripresa dall’art. 10 del Trattato OMPI sul diritto d’autore del 1996. In applicazione di questo principio non è quindi ammessa una citazione che determini come conseguenza l’illustrazione dell’opera intera, consentendo di supplire così al suo acquisto. Il secondo requisito consiste nel contenimento del numero e dell’ampiezza delle citazioni entro certi limiti, ragionevolmente condivisi nell’ambito sociale (la “misura giustificata dallo scopo”). A differenza delle leggi di molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, la Convenzione di Berna non individua dunque ex ante gli scopi che possono giustificare la citazione. Anche l’aggettivo “breve” che, mutuato dalle leggi francese e belga, tendeva a circoscrivere la portata del diritto di citazione e figurava nel testo di Bruxelles del 1948 della Convenzione, è stato successivamente eliminato nell’atto di Parigi del 1971. Molto più blanda si presenta invece la formula adottata dalla Convenzione Universale del Diritto d’Autore, il cui art. 4-bis, comma 2, si limita ad affermare che le eccezioni ai diritti non devono essere contrarie allo spirito e alle norme della Convenzione e prevede che, in questo caso, sia riconosciuto ai diritti un livello ragionevole di protezione effettiva. Le convenzioni internazionali costituiscono per forza di cose solo un punto di partenza obbligato per l’esame complessivo della materia, essendo state costruite per ottenere il consenso, e quindi l’adesione, di Stati che si collocano in misura più o meno netta all’interno dei due maggiori sistemi di difesa giuridica del diritto d’autore oggi esistenti, il sistema europeo continentale e quello anglosassone. E’ del tutto intuitivo come, nel determinare la portata dei diritti concessi e l’estensione delle limitazioni previste dalle diverse legislazioni, si debbano considerare i presupposti ideologici e gli obiettivi perseguiti dai due principali sistemi giuridici. L’approccio europeo In Europa continentale vige, com’è noto, il regime del “droit d’auteur”, diritto della personalità basato sul diritto naturale, che ha il suo fulcro nell’ideologia della creazione personale e della stretta relazione esistente tra l’autore e la sua opera. Da ciò discende l’approccio individualistico alla protezione del diritto, che si estende anche agli aspetti morali, con l’argomento principe posto a fondamento della protezione, quello della ricompensa per il lavoro creativo dell’autore, che prescinde da qualsiasi considerazione sui benefici ricevuti dalla società nel suo insieme. La conseguenza necessaria di questo approccio è che a diritti esclusivi definiti generalmente con formule ampie e flessibili corrispondono elenchi chiusi e vincolanti di limitazioni ed esenzioni, che formano oggetto di interpretazione restrittiva e mai analogica. Di conseguenza il pubblico interesse alla libera discussione intellettuale e il favore per la libertà creativa consentono in genere l’uso di citazioni per i soli scopi di critica, discussione, analisi, commento, insegnamento, studio o ricerca scientifica. In questa direzione si collocano, con lievi differenze, le leggi sul diritto d’autore di Italia, Francia, Germania, Spagna, Belgio, Polonia, Repubblica Ceca, Svizzera, Svezia e Olanda. Quasi sempre le leggi richiedono espressamente che l’opera citata sia stata già pubblicata, che sia menzionata la fonte e che le citazioni siano usate con discrezione, entro gli stretti limiti giustificati dallo scopo lecito dell’inclusione. L’unico Stato a quantificare gli usi consentiti per scopi di insegnamento o scientifici è l’Argentina, che liberalizza le citazioni fino a un massimo di 1000 parole o di 8 misure. Il concetto stesso di citazione esclude del resto che possano essere riprodotte opere intere: solo la legge olandese ammette la citazione di intere opere d’arte o di piccole opere intere. Non sono naturalmente consentite le mere raccolte di citazioni (la giurisprudenza è intervenuta in termini restrittivi, esigendo un legame intrinseco tra citazione e opera principale) e le opere citate non devono comunque essere la parte principale dell’opera nuova: a titolo di esempio la legge olandese richiede espressamente che la riproduzione delle opere citate sia parte subordinata del testo e quella polacca che la nuova opera sia autosufficiente. La legge francese Uno schema normativo altamente rappresentativo del sistema europeo è quello delineato dall’art. 122-5 della legge francese sul diritto d’autore, che fissa cinque condizioni cumulative (le prime tre delle quali di carattere oggettivo) per il riconoscimento della libertà di citazione: L’opera citata deve essere stata già pubblicata. Deve essere fornita l’indicazione del nome dell’autore e della fonte. La citazione deve essere incorporata, deve cioè integrarsi materialmente, in un’altra opera. Uno dei maggiori problemi è stato quello di stabilire se un quid in cui siano riprodotte più opere, come ad esempio una banca dati, costituisca o meno un’opera su cui misurare il volume della citazione. La risposta è stata positiva, dato che la banca dati di carattere creativo è, nei suoi elementi costitutivi, un’opera d’informazione ed è protetta dal diritto d’autore. La citazione deve essere breve e quindi l’utilizzo integrale dell’opera, anche se di piccolo formato, non può rappresentare la “breve citazione” prevista dalla legge. In sostanza, dato che la citazione è, per definizione, solo parte di un’opera, non sarà mai possibile procedere ad una sua riproduzione integrale, quali che siano il suo formato e la sua durata. L’ampiezza della citazione libera deve inoltre essere minore per le opere delle arti visive e per quelle musicali, dato che in questi due casi anche un estratto breve può riprodurre gli elementi essenziali dell’opera. I tribunali francesi hanno misurato tuttavia l’ampiezza della citazione ammessa in relazione all’opera principale e non solo in rapporto all’opera citata ed hanno quindi ammesso che, quando ha valore pedagogico, anche il 20% dell’opera principale possa essere costituito da una citazione. Dato che la destinazione della citazione è un criterio per forza di cose abbastanza vago, ma assolutamente essenziale, occorre sempre analizzare i caratteri dell’opera principale e individuare i fini perseguiti dal suo autore: questi fini andranno poi interpretati restrittivamente, come del resto anche il requisito della brevità della citazione, tenendo conto della natura delle due opere. Al di fuori dei casi previsti dall’art. 122-5 non è dunque possibile per la legge francese una citazione che serva a comporre un’altra opera. Non è pertanto consentita la citazione di un’opera protetta in uno spot pubblicitario, che non ha certamente le finalità indicate in modo tassativo dalla legge, mentre la foto di scena di un film potrà essere lecitamente usata nel corpo della recensione di quel film, ma non costituisce una citazione consentita se appoggia un’analisi che non abbia alcun rapporto con esso. L’approccio anglosassone Del tutto diverso da quello dei Paesi dell’Europa continentale è l’approccio alla tutela del diritto d’autore nei sistemi di copyright, che si basano su principi utilitaristici e non hanno l’obiettivo primario di ricompensare il lavoro degli autori, ma quello di promuovere il progresso scientifico e culturale attraverso l’incentivo dato alla creazione di nuove opere. L’argomento del premio o “incentivo” dato all’autore per conseguire un determinato risultato a beneficio dell’intera società è assai diverso dall’argomento “remunerazione” dei sistemi europei, strettamente collegato alla persona dell’autore, di cui – come si è detto – viene ricompensato lo sforzo creativo, a prescindere da qualsiasi beneficio arrecato al bene pubblico. A differenza di quanto avviene nelle leggi ispirate al regime del “droit d’auteur”, nei sistemi di copyright i diritti economici vengono quindi definiti analiticamente e sono oggetto di eccezioni ampie e flessibili, anche per consentire il raggiungimento del bene pubblico che il diritto d’autore deve promuovere. Questi sistemi tendono così a mantenere un equilibrio tra la protezione dei diritti degli autori sulle loro espressioni originali e la necessità della società di incoraggiare gli autori a costruire liberamente nuove opere sulle idee e le informazioni contenute nelle opere altrui. La legge degli Stati Uniti Esemplare in questo senso è il sistema statunitense, al cui interno la giurisprudenza ha elaborato la dottrina del “fair use”, che ha consentito ai giudici di interpretare la “correttezza” dell’utilizzo delle opere preesistenti e di escludere la responsabilità nelle azioni di violazione del copyright tutte le volte che, per creare opere nuove, fosse fatto un uso ragionevole delle opere di altri autori. La giurisprudenza è partita dalla constatazione che, nel processo di creazione di opere nuove, è spesso essenziale l’utilizzo dell’espressione formale contenuta nell’opera di un altro autore, ma – memore del fatto che obiettivo primario del copyright deve essere, in base ad un preciso dettato della Costituzione degli Stati Uniti, la promozione delle arti e delle scienze – ha preteso che coloro che invocavano la difesa del “fair use” facessero uno sforzo effettivo di ricerca e di creatività. L’esplicita previsione normativa della dottrina del “fair use”, che come si è detto, era in origine una costruzione giurisprudenziale, è avvenuta negli Stati Uniti solo attraverso l’art. 107 della legge sul diritto d’autore del 1976, che consente la riproduzione (e gli altri usi previsti dall’art. 106) di un’opera protetta, anche se non pubblicata, per scopi di critica, commento, informazione, insegnamento, studio o ricerca ed esige che siano presi in esame tutti e quattro questi fattori: Il fine e il carattere dell’uso, compreso il fatto che si tratti di un uso di natura commerciale o per scopi educativi senza fini di lucro; La natura dell’opera protetta; L’ampiezza e l’importanza della parte usata in rapporto all’intera opera protetta; L’effetto dell’uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta. Molti interpreti si soffermano solo su quest’ultimo punto e tendono ad ammettere tutti gli usi che non danneggiano la commerciabilità dell’opera protetta. Come può facilmente immaginarsi, si tratta dell’elemento più importante e controverso, oggetto più degli altri a valutazioni di fatto, che i giudici sono chiamati a effettuare caso per caso. E’ comunque ben chiaro che la dottrina del “fair use” non limita gli usi consentiti alle sole “citazioni” nell’accezione europea del termine, e che essa non può essere mai applicata agli usi con scopo di intrattenimento. Formule analoghe al “fair use” della legislazione USA si trovano nelle leggi del Regno Unito (dove le eccezioni più importanti hanno ricevuto forma legale fin dal 1911), del Canada, dell’Australia e del Giappone, dove le citazioni non costituiscono violazione di copyright, purché siano conformi a “fair dealing” o “fair practice” e rientrino nelle finalità di ricerca, studio, critica, recensione o insegnamento. La legge italiana del 1941 L’art. 70 della legge 22 aprile 1941, n. 633 in vigore fino all’aprile 2003 recitava testualmente: “1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. 2. Nelle antologie ad uso scolastico la riproduzione non può superare la misura determinata dal regolamento, il quale fisserà le modalità per la determinazione dell’equo compenso. 3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratta di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.” Come si vede, il nucleo centrale dell’art. 70 era costituito dal 1° comma, il solo che sarebbe stato poi modificato dal decreto legislativo n. 68 del 2003, mentre i successivi due commi, rimasti inalterati, forniscono solo le disposizioni particolari per le antologie scolastiche e le c.d. “menzioni obbligatorie”. A questo punto è il caso di segnalare che una parte della dottrina ha osservato che i limiti massimi d’utilizzazione delle opere protette, fissati per le antologie scolastiche dall’art. 22 del Regolamento per l’esecuzione della legge 633/1941, dovrebbero essere applicati in via generale a tutte le citazioni, dato che il libero utilizzo delle opere protette dovrebbe essere favorito in misura più ampia nel settore scolastico, in cui si concentrano le maggiori esigenze di diffusione della conoscenza e di confronto delle idee. Risponde a principi generali sanciti dal 3° comma dell’art. 10 della Convenzione di Berna l’obbligo posto a carico dell’utilizzatore di accompagnare alle citazioni la corretta menzione delle loro fonti, e cioè degli elementi (titolo dell’opera e nomi dell’autore, dell’editore e dell’eventuale traduttore) necessari per individuare l’opera citata e consentire al lettore ogni verifica e approfondimento. Si tratta di una norma chiaramente preordinata al rispetto del diritto morale dell’autore, ma anche alla soddisfazione di interessi di ordine patrimoniale, connessi alla promozione ed alla diffusione del frutto del suo lavoro creativo. Pensato sicuramente in origine soprattutto per consentire la riproduzione parziale di opere letterarie, l’art. 70 è stato oggetto nel tempo di interpretazioni volte ad assecondare la prassi corrente, tutta orientata verso criteri sempre più larghi nell’interesse della cultura: esso è stato quindi ritenuto costantemente applicabile alla diffusione radiofonica e a quella televisiva, senza alcuna distinzione riguardo al genere dell’opera principale né di quella citata. Nel rispetto delle altre condizioni previste dall’art. 70 sono state quindi pacificamente ammesse le citazioni letterarie di brani di prosa o poesia, la pubblicazione di alcuni fotogrammi di un film o di una striscia di fumetti, la riproduzione di un ridotto numero di battute di una composizione musicale. Unanime è l’opinione che l’art. 70 serva a soddisfare alcuni interessi di carattere pubblico (alla libera manifestazione del pensiero, alla diffusione della conoscenza, allo sviluppo della cultura, all’informazione, allo studio), interessi che, a certe condizioni, prevalgono su quelli meramente privati dell’autore, ma si preoccupi anche di non ledere in misura eccessiva il diritto d’autore e di non recare danni sostanziali al mercato delle opere soggette a queste particolari modalità di libero utilizzo. Le esigenze di tipo pubblicistico poste a fondamento dell’art. 70 non si spingono però oltre la lesione dei diritti patrimoniali dell’autore, e quindi la libertà di citazione non intacca minimamente i suoi diritti morali, pur non prevedendo autorizzazioni né compensi in suo favore. E’ chiaro poi che la libertà d’utilizzo consentita dall’art. 70 non deve costituire un modo surrettizio per aggirare il divieto di riproduzione: la giurisprudenza ha quindi costantemente sottolineato il fatto che le limitazioni poste dall’art. 70 hanno carattere eccezionale (nel senso che esse derogano alla regola generale sancita dal 2° comma dell’art. 12, che attribuisce all’autore il diritto di utilizzare economicamente la sua opera in ogni forma e modo) e non possono di conseguenza formare oggetto di interpretazione estensiva né di applicazione analogica. Quattro sono le circostanze concorrenti espressamente richieste dalla vecchia formulazione dell’art. 70 per il corretto esercizio della libera citazione di opere protette. 1) Le forme di utilizzo: citazione, riproduzione, riassunto Per alcuni, anche in assenza di una espressa previsione legislativa, non si potrebbe dubitare dell’esistenza di un generale diritto di citazione, che costituirebbe un principio basilare del diritto d’autore, e si sostanzierebbe nelle numerose deroghe ormai entrate nelle consuetudini letterarie, artistiche e scientifiche. Va escluso innanzi tutto, come affermato dalla giurisprudenza, che il termine “citazione” possa considerarsi sinonimo di “riproduzione parziale” o di “breve utilizzo” e che quindi, nel rivendicare l’applicazione della norma, sia possibile prescindere dalla specifica funzione svolta dalla riproduzione e dall’accertamento delle altre circostanze richieste dall’art. 70. Questa premessa è tanto più importante perché giova a risolvere possibili dubbi interpretativi e a sgombrare il terreno da indebite applicazioni evolutive della norma, soprattutto oggi che gli sviluppi della multimedialità e delle banche dati forniscono facili suggestioni ad uso dell’interprete meno avveduto o dell’utilizzatore più disinvolto. Nulla a che vedere con il principio del libero utilizzo previsto dall’art. 70 ha poi il concetto di citazione adoperato per indicare il riferimento culturale ad opere delle arti visive di altri autori prese come base di partenza per approdare ad opere del tutto autonome e personali, operazione per la quale potrà essere scomodato, se del caso, ma con qualche seria perplessità, il diritto di elaborazione. Il diritto di citazione di cui si occupa l’art. 70 era in origine una limitazione posta al diritto esclusivo di riproduzione, giustificata dalla necessità di trascrivere alla lettera parti di un’opera altrui all’interno di un’opera propria, operazione che non sarebbe stata consentita da una rigida applicazione dei diritti esclusivi riservati all’autore. Questa necessità potrebbe anche essere soddisfatta con un breve riassunto, ma più spesso l’autore dell’opera citante ha l’esigenza di riportare parti di opere altrui così come sono, per ragioni connesse alla natura o al carattere della sua opera (ad esempio per abbellire il discorso, per un dovere di lealtà scientifica o per escludere ogni dubbio sull’esattezza del richiamo). La dottrina ha individuato le possibili destinazioni delle citazioni, che possono suddividersi in tre principali categorie: a) le citazioni per esigenze di carattere scientifico, effettuate per costituire la base di un discorso, per appoggiare le proprie opinioni attraverso la garanzia offerta da un’opera altrui, per interpretare eventi, principi o fatti con l’autorità di un altro autore, per dichiarare il proprio accordo con il pensiero di un altro autore o per stabilire fin dove le proprie idee coincidono con le sue; b) le citazioni per combattere o discutere le opinioni o le teorie altrui; c) le citazioni per recensire un’opera, per esprimere un giudizio, per fini di esame estetico o per necessità di critica letteraria, filosofica, storica o politica. La giurisprudenza, da parte sua, ha ritenuto immanente al concetto di citazione la “destinazione a convalidare, condividere o smentire una tesi, a entrare nella pienezza o costituire la premessa per un discorso in cui essa sia inserita funzionalmente”. Per quanto sopra detto non si possono in nessun modo quantificare le dimensioni entro le quali la citazione è da considerare lecita. Di conseguenza non può essere condivisa l’opinione di chi ritiene sia consentito l’uso di un certo numero di battute di opere musicali o di un determinato minutaggio di un’opera audiovisiva senza accertare con precisione la presenza di tutte le condizioni che legittimano la citazione. La citazione non rappresenta, infatti, uno stato di diritto, ma una situazione di fatto, che va valutata dall’interprete di volta in volta, in funzione delle circostanze e dei fini perseguiti dall’autore dell’opera citante. La scelta dell’espressione “riproduzione” in questo contesto normativo non è stata certamente molto felice e la differenza con la citazione è solo formale: anche se citazione e riproduzione sono tenute distinte dall’art. 70, si è quindi ritenuto che riproduzione sia sinonimo di citazione e che per riproduzione possa intendersi solo una citazione di una certa lunghezza. Il riassunto è invece estraneo al concetto di riproduzione in senso tecnico e sembra piuttosto costituire una limitazione del diritto esclusivo di elaborazione creativa. In quanto oggetto dell’elaborazione di un’opera protetta, il riassunto dovrebbe in linea di principio ottenere sempre l’autorizzazione dell’autore, che non è però necessaria quando esso sia realizzato nell’ambito di un commento critico-estetico dell’opera stessa. Il riassunto consentito dall’art. 70 consiste quindi in un ridotta e sintetica esposizione, in genere con finalità illustrative, di fatti e concetti esposti in un’opera altrui, della quale si intende offrire – nella realizzazione di una nuova opera – un quadro succinto attraverso l’enunciazione dei suoi elementi fondamentali. Questo riassunto non va peraltro confuso con il compendio in senso tecnico di cui si occupa l’art. 4 della legge 633/1941, che costituisce una vera e propria elaborazione di un’opera preesistente e, in quanto tale, deve essere dotata di un minimo carattere creativo. E’ il caso di osservare che il riassunto investe l’intera opera e non avrebbe a rigore alcun rapporto con la citazione vera e propria, che interessa una parte limitata dell’opera ed esclude del tutto la sua riproduzione integrale. 2) L‘ampiezza dell’utilizzo: brani o parti di un’opera La formula adoperata dal legislatore, che limita il libero utilizzo ai brani o alle parti di un’opera, esclude del tutto la riproduzione integrale, che dunque non è mai libera: il concetto stesso di citazione esige in effetti che l’opera sia riprodotta solo in parte e nessun pubblico interesse può giustificare un più ampio sacrificio del diritto d’autore. Entro tali limiti tutte le categorie di opere, senza alcuna distinzione, possono essere citate, con l’avvertenza che il termine “brani” riguarda solo le opere letterarie e quelle musicali, mentre il termine “parti” si riferisce a tutte le altre opere. Non va poi ignorato che la citazione, per essere lecita, come si vedrà più oltre, deve avere carattere esemplificativo e mai illustrativo, divulgativo o di documentazione: anche per questa ragione la riproduzione integrale dell’opera dell’ingegno non può essere mai considerata lecita, essendo indirizzata a far conoscere l’opera dell’ingegno e ponendosi inevitabilmente in concorrenza con l’autore nell’esercizio dei suoi diritti patrimoniali. Questi principi sono condivisi da una costante giurisprudenza, che ha escluso la pubblicazione integrale dell’opera, anche in presenza degli scopi di cui all’art. 70, che non possono giustificare la violazione del diritto dell’autore, con conseguente annullamento e riduzione del relativo contenuto economico ed ha confermato che l’ambito della citazione legittima è quello limitato ad una parte dell’opera. L’unica possibilità di riproduzione per intero di un’opera senza autorizzazione dell’autore riguarda le antologie scolastiche, nelle quali, dietro pagamento di un equo compenso, possono essere inserite anche opere intere, purché siano rispettati i limiti quantitativi fissati dall’art. 22 del Regolamento di esecuzione della legge 633/1941. 3) Gli scopi dell’utilizzo: critica, discussione, insegnamento Gli scopi particolari che consentono il libero utilizzo sono tassativamente indicati dall’art. 70: si tratta di elementi fondamentali dell’eccezione, che devono essere valutati in concreto, caso per caso, con riferimento ad ogni singola utilizzazione. I fini dell’opera principale devono essere del tutto distinti da quelli dell’opera citata e l’opera principale, oltre ad avere scopi di critica, discussione o insegnamento, deve essere totalmente autonoma da quella citata: attraverso il richiamo all’opera altrui essa deve in sostanza dare un apporto creativo diverso da quello dell’opera citata. E’ anche evidente che la libertà d’utilizzo sarà riconosciuta più facilmente se le citazioni sono brevi e se le categorie delle due opere sono diverse. Il criterio della citazione libera si fonda dunque sulla natura e sul carattere dell’opera principale, e non su quelli dell’opera citata, con la conseguenza che criteri d’interpretazione più restrittivi e rigorosi devono concentrarsi sull’opera principale, dato che la ratio dell’art. 70 sta nel garantire le esigenze delle opere nuove e non nell’informare il pubblico sull’esistenza e il contenuto delle opere preesistenti. E’ quindi da scartare l’interpretazione secondo cui può esserci una citazione con finalità didattiche, di critica o di discussione anche nel contesto di un’opera che abbia una finalità diversa. I fini particolari richiesti dalla legge sono sicuramente presenti nelle opere critiche (articoli di recensione, saggi critici), in quelle storiche e filosofiche, e nelle opere con finalità didattiche, tutte opere che esigono in larga misura l’uso di citazioni, riassunti e trascrizioni per fornire esempi concreti dello stile di un autore o del contenuto del suo pensiero. Un intento di discussione è stato riscontrato dalla giurisprudenza anche in presenza di un discorso che si concretizza nell’approfondita disamina delle qualità estetiche e dei motivi ispiratori dell’opera di un autore. Il fine didattico, più in particolare, è dato dallo scopo di insegnare qualcosa di diverso dall’opera citata e non dalla capacità dell’opera principale di soddisfare generiche esigenze culturali e nemmeno dall’idoneità della riproduzione ad essere utilizzata nell’ambito di un programma didattico. E’ quindi pacifico che manchi la finalità d’insegnamento quando un libro rappresenta solo uno strumento di consultazione sugli elementi essenziali delle opere in esso riassunte. Alla nozione di citazione è poi essenziale non solo e non tanto la letteralità, o comunque la puntuale conformità, della riproduzione, ma soprattutto la sua inserzione fisica nel testo della nuova opera, e quindi la sua subordinazione alle finalità proprie di essa. Da ciò si è dedotto che una riproduzione sonora, se fissata su supporti esterni all’opera letteraria cui si accompagna, non è mai citazione, ma ha la funzione di illustrazione fuori testo. Le pronunce giurisprudenziali in questo senso sono state oggetto di qualche critica: in un’epoca di crescente diffusione delle opere multimediali – nelle quali sono assemblati tra loro testi scritti, registrazioni audio, immagini fisse e immagini in movimento – una parte della dottrina ha ritenuto, infatti, anacronistico limitare le citazioni alle sole riproduzioni fisicamente integrate nel testo. Va chiarito innanzi tutto che la presenza di uno degli scopi che permettono il libero utilizzo non dipende certamente dalla natura del soggetto che effettua la riproduzione, né dalle caratteristiche del servizio svolto: uno scopo consentito può essere presente in un servizio o in un prodotto distribuito a pagamento ed essere al contrario escluso nel caso di un volume edito da una Università, da una ONLUS o dall’esercente di un servizio pubblico. In definitiva, gli scopi devono essere specifici e verificati e, a differenza di quanto previsto dall’art. 97 della legge 633/1941 a proposito della libera riproduzione dell’immagine della persona, uno scopo lato sensu culturale non è considerato come esimente dal dovere di rispettare i diritti economici dell’autore. Non sono inoltre prese in alcun modo in considerazione dalla norma le generiche finalità divulgative dell’utilizzo: è da escludere, quindi, che la libertà di citazione possa essere correttamente invocata nel caso di programmi radiofonici o televisivi di carattere culturale o divulgativo nei quali la riproduzione di frammenti di un’opera non risponda alle finalità specifiche richieste dalla legge, e ciò anche nel caso, peraltro alquanto raro, in cui le trasmissioni non abbiano fini di lucro immediato e diretto. Per negare l’applicabilità dell’art. 70 la giurisprudenza si è spesso soffermata soprattutto sull’evanescenza dello scopo d’insegnamento e sull’assenza di un commento o apparato critico nelle opere in favore delle quali veniva rivendicata la libertà di utilizzo. Proprio sul carattere della citazione, che – come si è detto – deve essere esemplificativo e mai meramente illustrativo, divulgativo, cronachistico o di documentazione, si sono avute numerose pronunce giurisprudenziali, che hanno riguardato, tra l’altro, i cataloghi delle mostre, le opere enciclopediche e la stampa periodica. E’ stato così affermato che la pubblicazione di un catalogo non ha di per sé finalità critico-didattiche e che il catalogo di una mostra, pur non essendo del tutto privo di contenuto critico, ha di norma la prevalente e più ampia finalità culturale di illustrare ai visitatori della mostra le opere esposte: è stato inoltre evidenziato come in questo caso difetti anche il requisito dell’accessoria inserzione delle riproduzioni nel testo del catalogo, nei cui confronti esse fungono da illustrazioni fuori testo. Non è stato ritenuto che rientri tra le eccezioni previste dall’art. 70 nemmeno la riproduzione sonora di brani di opere musicali in una opera di carattere enciclopedico incentrata sugli avvenimenti annuali di un determinato periodo storico, coordinati con criterio cronologico e metodo cronachistico: nell’impostazione dell’enciclopedia i brani non erano, infatti, preordinati a scopi di critica o discussione (l’opera non aveva questa impostazione), né di insegnamento (l’opera non aveva finalità didattiche), ma costituiva solo uno strumento di informazione, con finalità meramente divulgative e illustrative. Non è stata riconosciuta l’applicazione dell’art. 70 neppure quando i ritornelli di alcune canzoni sono stati pubblicati senza una sola parola che suonasse come argomentazione o commento critico, né quando i testi di alcune scenette sono stati riprodotti in misura pressoché integrale e senza attività di critica o finalità didattiche in una pubblicazione priva di autonomia e di elementi di originalità e creatività, che difettava quindi di novità e di indipendenza rispetto ai brani riprodotti a dichiarati fini divulgativi. 4) La totale assenza di concorrenza L’art. 70 prevede anche che la citazione sia lecita solo se non costituisce concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. Il legislatore ha voluto in tal modo evitare che, attraverso la citazione, si recasse danno alla vita economica dell’opera citata, per il fatto che il pubblico potesse ritenere inutile o privo d’interesse l’accesso all’opera originale, e decidesse quindi di rinunciare al suo acquisto. E’ così confermato anche per altra via che la citazione deve solo servire a rendere possibile la critica, la discussione o l’insegnamento, ma non a far conoscere l’opera citata, dato che in questo caso finirebbe col fare concorrenza all’autore nell’esercizio dei suoi diritti patrimoniali. Per tutelare l’interesse dell’autore a conseguire tutti i benefici economici derivanti dallo sfruttamento della sua opera e per evitare che l’opera principale possa incidere, anche in modo indiretto, sui suoi compensi, il legislatore non si è dunque preoccupato delle intenzioni dell’utilizzatore (scopo di lucro o di beneficenza, finalità generiche di diffusione della cultura o altro), ma ha preso in considerazione solo le caratteristiche oggettive dell’attività e le modalità dell’uso in relazione alla sua capacità potenziale di danneggiare la vita economica dell’opera citata, a nulla rilevando il carattere imprenditoriale dell’iniziativa al cui interno è collocata la citazione (l’esistenza dello scopo di lucro non preclude di per sé l’applicazione dell’art. 70), né il fatto che l’opera principale sia venduta o distribuita gratuitamente al pubblico. Del resto, a questo proposito, un’autorevole dottrina ha avuto modo di chiarire che lo scopo di lucro assume rilevanza nel diritto d’autore solo in via eccezionale, per gli usi privi d’incidenza economica che possono assumere carattere economico soltanto nel caso in cui siano effettuati a tale scopo. Il rapporto di concorrenza con l’opera originale costituisce dunque un requisito sufficiente per considerare illecito l’uso ed è un elemento centrale che si ricollega ai criteri enunciati dal 2° comma dell’art. 9 della Convenzione di Berna (danno allo sfruttamento normale dell’opera e pregiudizio ingiustificato agli interessi degli autori). Secondo una parte della dottrina, per esserci concorrenza è necessario che l’uso danneggi in modo sostanziale uno dei mercati riservati per legge all’esclusiva dell’autore, non essendo sufficiente che questi subisca una generica perdita economica. Ma per la dottrina prevalente i limiti sono molto più stretti e si deve considerare vietata ogni utilizzazione che sia potenzialmente in grado di danneggiare lo sfruttamento esclusivo dell’opera, determinando una riduzione del suo valore economico. La libera utilizzazione viene in sostanza esclusa quando comincia ad essere economicamente rilevante, come avviene nel caso di usi affidati a mezzi di riproduzione e di diffusione capaci di raggiungere un pubblico molto vasto. Non deve esserci, in definitiva alcuna concorrenza, neanche potenziale, con i diritti di sfruttamento economico e l’utilizzazione non deve essere di proporzioni tali, o attuata con modalità tali, da entrare in conflitto con gli interessi dell’autore, sviando il pubblico naturale dell’opera originale. La giurisprudenza ha così rilevato come la diffusione di un catalogo stampato e venduto in numerose copie incida sicuramente sul diritto esclusivo dell’autore e sul mercato delle opere in esso riprodotte, poiché limita una più ampia commercializzazione delle riproduzioni da lui regolarmente autorizzate. E’ da notare che in un solo caso le citazioni sono state ammesse dalla giurisprudenza perché, oltre ad essere contenute nel numero e nella durata, non eccedevano i limiti della necessità di commento e critica, ed avevano un’estensione tale da non essere considerate sostitutive e concorrenti della pubblicazione integrale del testo delle opere musicali riprodotte. Oltre alle quattro condizioni esplicite sopra esposte esistono anche alcune condizioni implicite che possono essere desunte dall’interpretazione dell’art. 70. a) Avvenuta pubblicazione dell’opera oggetto di citazione La citazione presuppone che l’opera principale sia stata già pubblicata con il consenso dell’autore. Per un principio di carattere generale nessun tipo d’utilizzo da parte di terzi è, infatti, lecito se l’opera non è stata pubblicata dall’autore nell’esercizio del diritto esclusivo riconosciutogli dal 1° comma dell’art. 11 della legge 633/1941. b) Autonomia dell’opera principale La citazione presuppone un’opera dell’ingegno nuova e indipendente al cui interno essa sia inserita: deve trattarsi di un’opera dotata di una propria individualità e di un proprio carattere creativo, che sia quindi protetta, a sua volta, dalla legge sul diritto d’autore. La citazione deve essere in definitiva un elemento accessorio nel quadro di una elaborazione autonoma rispetto all’opera citata o riassunta: se la nuova opera non vive di vita propria, ma solo del materiale in essa raccolto, e non trova la sua ragione d’essere in un elemento diverso dalla citazione, non sussistono gli estremi per l’applicazione dell’art. 70. Una semplice raccolta di citazioni su un comune oggetto o argomento rientra nell’esclusiva dell’autore e non è neanche sufficiente che sia stata effettuata un’opera di selezione dei brani: la libertà di utilizzo è di conseguenza esclusa per le antologie non ad uso scolastico, che vivono del materiale in esse raccolto e comportano solo attività di scelta e coordinamento, priva di alcun apporto creativo. La diversità assoluta delle due opere rende evidente la ratio dell’art. 70, che è quella di promuovere il progresso della cultura, incentivando la creazione di nuove opere, e non quella di informare il pubblico sull’esistenza ed il contenuto di un’opera preesistente. c) Individuabilità della citazione I brani citati devono essere resi evidenti e chiaramente distinguibili per evitare qualsiasi possibilità di confusione delle citazioni, tra loro e con l’opera principale in cui sono inserite. d) Necessità della citazione Per evitare citazioni eccessive o pretestuose, la citazione è lecita solo se contenuta entro i limiti giustificati dalle finalità previste dalla legge: deve quindi esserci un rapporto di proporzionalità tra lunghezza e numero delle citazioni e lunghezza del commento e della critica creati ex novo. L’opera principale deve essere, in altre parole, preponderante rispetto al complesso delle citazioni e deve fornire elementi essenziali e pertinenti per fondare una discussione o svolgere un discorso di critica o di esposizione didattica. In definitiva, le citazioni vanno contenute entro limiti severi e devono rispondere ad una necessità letteraria, artistica o scientifica: le dimensioni dell’utilizzo dipendono in sostanza dalla finalità della citazione e dalle modalità concrete con cui essa viene effettuata. La legge italiana e la Convenzione di Berna Come si è visto, la Convenzione di Berna contempla una libertà di citazione più ampia di quella consentita dall’art. 70 della legge 633/1941. Il suo art. 10 non esclude, infatti, che la citazione possa essere fatta per scopi diversi da quelli di critica, discussione e insegnamento e che essa possa costituire, se informata ai buoni usi, concorrenza all’opera principale. Seri dubbi sono stati espressi sull’applicabilità diretta in Italia delle norme della Convenzione, applicabilità che sarebbe limitata al caso in cui le sue norme proteggano i diritti degli stranieri in modo più efficace della legge italiana. Ma ciò non avviene nel nostro caso, dato che un diritto è certamente protetto in modo più efficace quando una legge, come quella italiana, consente un minor numero di eccezioni ai diritti esclusivi dell’autore. La direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001 e la modifica della legge italiana A seguito dell’adozione della direttiva comunitaria 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, le eccezioni e le limitazioni ai diritti d’autore esistenti nei vari Stati membri dell’Unione sono state ridefinite alla luce del nuovo ambiente digitale, allo scopo di garantire il corretto funzionamento del mercato interno. L’art. 5 della direttiva ha quindi fornito un elenco esaustivo delle eccezioni e limitazioni al diritto di riproduzione e al diritto di comunicazione al pubblico consentite agli Stati membri. In base alla lettera d) dell’art. 5.3 questi ultimi hanno così la facoltà di disporre limitazioni o eccezioni ai diritti in questione quando si tratti di citazioni, per esempio a fini di critica o di rassegna, purché si tratti di opere messe legalmente a disposizione del pubblico, si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte (incluso il nome dell’autore) e a condizione che le citazioni siano conformi ai buoni usi e si limitino a quanto giustificato dallo scopo specifico. Il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, con il quale è stata recepita nell’ordinamento giuridico italiano la direttiva 2001/29/CE, ha quindi modificato il 1° comma dell’art. 70 della legge 633/1941, estendendo o meglio precisando i limiti e le condizioni per un corretto esercizio del diritto di citazione delle opere protette. Il primo comma dell’art. 70, che recepisce la lettera d) dell’art. 5.3 della direttiva, recita ora testualmente: “ Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuato a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve anche avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” La prima innovazione apportata dalla nuova stesura del 1° comma dell’art. 70 riguarda l’inclusione della comunicazione al pubblico tra le forme di utilizzo che godono dell’eccezione. Viene espressamente sancito in tal modo quanto pacificamente ammesso in sede di applicazione della normativa previgente, e cioè che l’ambito dell’eccezione si estende alle citazioni utilizzate in radiofonia, in televisione e sulle reti telematiche. Tra le finalità che legittimano la citazione è stata poi aggiunta la ricerca scientifica, ma il libero utilizzo per scopi di insegnamento e di ricerca scientifica è stato parallelamente limitato al caso in cui esso abbia esclusivamente finalità illustrativa e sia diretto a fini non commerciali. Non sarà quindi sufficiente che l’utilizzazione sia oggettivamente un’attività di ricerca scientifica, ma l’attività non dovrà avere uno scopo commerciale, neanche indiretto, che può, ad esempio, ritenersi esistente nel caso in cui compaiano in un sito web annunci o inserzioni pubblicitarie (banner). La formula adottata dalla legge consente d’altro canto agli enti la cui struttura organizzativa e i mezzi di finanziamento abbiano natura commerciale di godere dell’esenzione per la ricerca scientifica, purché l’opera realizzata non formi l’oggetto di una utilizzazione commerciale. In questo senso si esprime chiaramente il considerando 42 della direttiva 2001/29/CE, in base al quale, nell’applicare l’eccezione o la limitazione per finalità didattiche non commerciali e di ricerca scientifica, compreso l’apprendimento a distanza, la natura non commerciale dell’attività dovrebbe essere determinata dall’attività in quanto tale, mentre non costituiscono fattori decisivi a tal fine la struttura organizzativa e i mezzi di finanziamento degli enti di istruzione e di ricerca. In base alla nuova stesura dell’art. 70 anche la legittimità dell’uso per fini di insegnamento è da ritenersi esclusa se la citazione ha un fine commerciale, come nel caso in cui essa sia inserita in un’opera oggetto di sfruttamento commerciale. Da una attenta lettura del nuovo art. 70 si ha la conferma che la citazione per finalità di critica e di discussione non può avvenire per finalità illustrative (e deve quindi essere effettuata soltanto per finalità esemplificative e mai divulgative o di documentazione, che sono funzionali alla diffusione dell’opera), ma si deduce anche che essa può aver luogo in un contesto di carattere commerciale. Anche dopo la modifica normativa del 2003 – che ha mantenuto la necessità di un uso nei limiti tassativamente giustificati dalle finalità previste dalla norma e la non concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera – è comunque chiaro che la citazione può riguardare qualsiasi categoria di opere (film, opere letterarie e musicali), e mai un’opera intera, come – ad esempio – un’intera opera delle arti visive. Il diritto di cronaca Fino all’aprile del 2003, per riprodurre su giornali o riviste opere protette fuori dei limiti tassativamente fissati dall’art. 70 non si poteva fare appello al diritto di cronaca, che costituiva un’esimente in altri contesti, come concreta estrinsecazione della libertà di stampa. La legge sul diritto d’autore non prevedeva, infatti, norme specifiche sul diritto di cronaca, se non per le fotografie di persone o fatti di attualità e per la riproduzione del ritratto, disciplinati dall’art. 97 della legge 633/1941. Su questa linea la Corte di Cassazione aveva costantemente confermato che, se l’esercizio dell’attività giornalistica rendeva necessaria e legittima la pubblicazione di tutti i fatti che interessavano l’opinione pubblica, la legittima curiosità del pubblico, da soddisfare col libero esercizio del diritto di cronaca, riguardava i fatti e le notizie e non la libera riproduzione di opere o di parti di opere. A seguito dell’adozione della direttiva 2001/29/CE è stata concessa agli Stati membri, in base alla lettera c) dell’art. 5.3, la facoltà di disporre limitazioni o eccezioni ai diritti di comunicazione al pubblico e di riproduzione nel caso di utilizzo delle opere “in occasione del resoconto di un avvenimento di attualità”, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e purché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte (incluso il nome dell’autore). Con il 2° comma dell’art. 65, introdotto dal decreto legislativo n. 68 del 2003, è stata data applicazione a questa norma della direttiva comunitaria, prevedendo che la riproduzione o la comunicazione al pubblico di intere opere protette (e non solo di parti di esse), genericamente utilizzate “in occasione di avvenimenti di attualità” (e quindi non solo in occasione del loro resoconto), sia consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, condizioni che devono essere entrambe soddisfatte. E’ anche previsto che, salvo in caso di impossibilità, debba essere indicata la fonte (incluso il nome dell’autore, se riportato). La norma ha una latitudine assai ampia e può essere teoricamente applicata in tutti i casi in cui un’opera intera, e quindi non solo una sua parte, sia utilizzata, in qualsiasi occasione pubblica, anche per presentare e per illustrare, un avvenimento di attualità. La norma italiana, quindi, non consente solo di utilizzare un’opera intera in sede di cronaca di eventi già avvenuti, ma anche nella fase di presentazione o illustrazione di eventi che devono ancora avvenire, ampliando a dismisura la portata dell’esenzione definita dalla direttiva comunitaria e prestandosi a ingiustificate interpretazioni di carattere estensivo, che sono abbastanza prevedibili in caso di utilizzo delle opere sulle reti telematiche, la cui pericolosità per il diritto d’autore è evidente a causa della funzione di archiviazione svolta da molti siti web. L’eccezione riguarda tutte le categorie di servizi giornalistici (radiofonici, televisivi o su rete telematica) all’interno dei quali siano inserite opere che costituiscono parte integrante dell’avvenimento di attualità oggetto di copertura, ed esclude il loro utilizzo come semplice commento o sfondo del servizio. E’ comunque importante tener presente che la riproduzione e la comunicazione al pubblico non sono giustificate se esorbitino rispetto alle finalità di informazione da esse perseguite, caso abbastanza frequente nell’ipotesi della presentazione di un avvenimento di attualità, come è il caso della promozione di una mostra o di una vendita di opere d’arte, fattispecie per le quali, non a caso, è prevista una specifica eccezione dalla lettera j) dell’art. 5.3 della direttiva 2001/29/CE, non recepita dalla legislazione italiana. La norma relativa alla citazione di opere protette nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca discende dal 2° comma dell’art. 10-bis della Convenzione di Berna, secondo cui i Paesi dell’Unione possono stabilire le condizioni alle quali, nei resoconti di avvenimenti di attualità, le opere letterarie ed artistiche viste o udite durante l’avvenimento possono, nella misura giustificata dalla finalità informativa, essere riprodotte e rese accessibili al pubblico. La norma copre, senza alcun limite quantitativo per quel che riguarda l’ampiezza dell’utilizzo, la riproduzione incidentale di opere dell’ingegno nell’ambito dei reportage fotografici o cinematografici o dei notiziari radiofonici o televisivi su argomenti di attualità. Anche se la Convenzione non pone alcuna limitazione in ordine alle opere dell’ingegno che possono essere oggetto di questa speciale forma di citazione, si tratta normalmente di opere delle arti visive e di opere musicali. E’ il caso di rilevare che la ratio giustificativa del 2° comma dell’art. 10-bis della Convenzione non risiede, a differenza dell’art. 10, nella generica finalità di promuovere la diffusione e lo sviluppo della cultura, ma nella specifica finalità di pubblica informazione che è alla base della disciplina dell’intero art. 10-bis. Il nuovo comma 1-bis dell’art. 70 della legge italiana sul diritto d’autore Nell’ambito della legge 9 gennaio 2008, n. 2, approvata successivamente al decreto legislativo n. 68 del 2003 di attuazione della direttiva 2001/29/CE, è stata introdotta, all’art. 2, una disposizione specifica per gli usi didattici e scientifici delle opere protette. La norma è stata inserita nel corpo dell’art. 70 della legge 633/1941, il cui nuovo comma 1-bis recita testualmente: “E’ consentita la libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, sentiti il Ministro della Pubblica Istruzione e il Ministro dell’Università e della Ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma”. La norma è stata introdotta nell’esercizio della facoltà concessa dalla lettera a) dell’art. 5.3 della citata direttiva comunitaria, in base alla quale gli Stati membri possono disporre eccezioni o limitazioni ai diritti di riproduzione e di comunicazione di opere al pubblico, “allorché l’utilizzo ha esclusivamente finalità illustrativa per uso didattico o di ricerca scientifica, sempreché, salvo in caso di impossibilità, si indichi la fonte, compreso il nome dell’autore, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito”. Va preliminarmente notato che la concreta applicazione della norma è di fatto sospesa fino all’emanazione del decreto di attuazione, con il quale devono essere definiti i limiti posti al libero utilizzo delle opere e deve quindi essere ancora determinata in concreto la reale portata della compressione operata sui diritti degli autori. Serie critiche sono state tuttavia già rivolte al contenuto della norma, cui alcuni commentatori rimproverano di non essere in grado di superare il c. d. “three steps test” previsto da varie Convenzioni internazionali e di violare i limiti posti dalla direttiva 2001/29/CE. Un primo rilievo riguarda i termini adoperati dalla norma che, nel riferirsi alla “pubblicazione” (in luogo dei più appropriati termini di “riproduzione” e “messa a disposizione”) attraverso la “rete Internet” (anziché all’intera categoria delle “reti telematiche”) di “immagini e musiche” (e non alle più corrette nozioni di “opere e materiali protetti”), utilizza una serie di espressioni ambigue e del tutto estranee alla terminologia usata dalla legge sul diritto d’autore. Queste espressioni atecniche risentono evidentemente delle forti pressioni lobbistiche che hanno accompagnato l’iter di approvazione della norma e tradiscono chiaramente l’intenzione dei suoi promotori di far esercitare al legislatore la facoltà concessagli dalla direttiva 2001/29/CE in modo da introdurre una eccezione assai ampia, tale da coprire teoricamente una serie indeterminata e illimitata di utilizzi sulla rete Internet, che – va ricordato – è oggi il mezzo potenzialmente più pericoloso e pregiudizievole per il diritto d’autore. A questo riguardo è stato osservato che la norma non rispetta il principio di proporzionalità, in base al quale l’intervento del legislatore deve essere proporzionato alla finalità perseguita. Il metro per interpretare correttamente la facoltà concessa dalla direttiva è fornito in questo caso dal considerando 44, che invita gli Stati membri a tenere debito conto dell’accresciuto impatto economico che le eccezioni e le limitazioni possono avere nel contesto del nuovo ambiente elettronico, ritenendo perfino possibile restringere la loro portata nel caso di alcuni nuovi utilizzi delle opere. E’ stato possibile di conseguenza rilevare che il legislatore italiano non ha rispettato il principio di proporzionalità, e non ha esercitato la facoltà concessagli dalla direttiva con la cautela imposta dalla normativa comunitaria. Anche se la nuova norma non riporta espressamente l’obbligo di indicare la fonte – e non è quindi perfettamente in linea con quanto disposto, salvo in caso di impossibilità, dalla lettera a) dell’art. 5.3 della direttiva – si può ritenere applicabile anche alla fattispecie in esame, in via analogica, al di là del suo tenore letterale, il 3° comma dell’art. 70, relativo alle menzioni obbligatorie. E’ invece il caso di sottolineare che la possibilità di pubblicare immagini e musiche “a bassa risoluzione o degradate” potrebbe a rigore costituire una violazione del diritto morale, trattandosi di attività suscettibili di recare danno all’onore o alla reputazione dell’autore. Dato che la norma non limita la sua portata a brani o parti di opere, forti perplessità suscita poi l’improprio ed ambiguo concetto di “immagine”, che potrebbe essere interpretato in modo tale da estendersi fino al punto da consentire perfino il libero utilizzo di un’intera opera cinematografica. Ma le critiche principali si appuntano sulla mancata precisazione delle caratteristiche dell’uso didattico o scientifico (formula peraltro più ampia dell’ “uso di ricerca scientifica” prescritto dalla direttiva) e dei limiti soggettivi e oggettivi dell’eccezione, la cui definizione non è data dalla legge, ma viene rinviata ad un decreto ministeriale. Particolarmente grave si è rivelata la mancata definizione delle caratteristiche soggettive di chi svolge l’attività didattica o scientifica (ad esempio, se debba trattarsi di un istituto scolastico, di un’università o di un ente di ricerca) e dei requisiti oggettivi dell’attività svolta: in assenza di tali indicazioni, dovuta alla mancata emanazione del decreto di attuazione, si è giunti a sostenere che tutti i cittadini possono svolgere un’attività didattica o scientifica e, per ciò solo, avrebbero diritto ad immettere liberamente in rete riproduzioni di opere protette. Altro punto critico è rappresentato dal fatto che la norma non individua neanche un pubblico determinato e selezionato quale destinatario dell’attività didattica o di ricerca, ma sembra voler consentire un utilizzo potenzialmente rivolto a tutti i navigatori della rete Internet, escludendo però dal suo campo applicativo, senza alcuna plausibile ragione, le utilizzazioni effettuate sulle reti intranet. Quanto all’esenzione per uso di ricerca occorre tenere presente che il riferimento alla “finalità illustrativa” dovrebbe circoscrivere il contenuto dell’esenzione entro un limite preciso, quello della comunicazione o della riproduzione dei risultati dell’attività di ricerca scientifica, in quanto implichino l’uso, con finalità illustrativa, di opere protette. Al contrario di altre legislazioni europee, nessuna eccezione è poi prevista per le opere didattiche, e ciò rischia di danneggiare in modo irreparabile la possibilità di normale utilizzazione economica di questa categoria di opere, che sono la maggior parte di quelle utilizzabili a scopo didattico o scientifico, e di provocare una inaccettabile compressione dei legittimi interessi dei loro titolari. Per le ragioni succintamente esposte, l’ampia eccezione introdotta dal comma 1-bis dell’art. 70 necessita di una profonda rivisitazione, al fine di renderla compatibile con la direttiva 2001/29/CE, superando le facili suggestioni demagogiche ed espropriative che ne hanno ispirato l’adozione. Per evitare di incorrere nella violazione della normativa comunitaria, il legislatore potrà tener conto del fatto che, quando un ristretto numero di Stati membri ha esteso l’eccezione al diritto di comunicazione al pubblico, lo ha fatto – nel rispetto del principio di proporzionalità – entro limiti ben precisi, prevedendo, ad esempio, che l’uso sia circoscritto a reti chiuse e ad accesso condizionato o avvenga solo all’interno degli istituti scolastici o sia limitato a gruppi ristretti di studenti o scienziati direttamente interessati e coinvolti nell’attività didattica o di ricerca. Si dovrà anche tenere presente che alcune legislazioni si caratterizzano per una migliore e più puntuale definizione degli scopi didattici e di ricerca ed escludono espressamente l’operatività dell’eccezione per le opere create esclusivamente per finalità didattiche ed, in alcuni casi, per quelle cinematografiche o drammatiche, prevedendo per queste ultime anche il rispetto di specifiche finestre temporali per la loro utilizzazione. Si potrà inoltre considerare che l’eccezione è di norma circoscritta anche dal punto di vista oggettivo, limitando il libero utilizzo a parti di opere od, in alcuni casi, a piccole opere o singoli contributi in giornali o riviste. E’ appena il caso di rilevare che in nessuno Stato membro sono stati adottati gli opinabili e discutibili criteri della bassa risoluzione e della degradazione delle opere – che, paradossalmente, potrebbero compromettere il buon esito della funzione didattica – né viene consentito il loro utilizzo integrale. E’ infine necessario ricordare che, per consentire allo stesso tempo il perseguimento degli scopi di ricerca scientifica e lo svolgimento delle attività didattiche e un rispetto minimale dei diritti degli autori, sarebbe sempre possibile far ricorso a tecniche diverse dalla libera utilizzazione, come la previsione del pagamento di un equo compenso o il ricorso a sistemi di licenza collettiva estesa o di amministrazione collettiva obbligatoria. Si tratta di misure che tendono a garantire un giusto equilibrio tra i diritti degli autori e quelli degli utenti, adottate per scongiurare possibili effetti negativi sul funzionamento del mercato interno, che potrebbero facilmente accentuarsi con l’ulteriore sviluppo dell’utilizzazione economica transfrontaliera delle opere. E’ tuttavia abbastanza evidente che, per garantire il corretto funzionamento del mercato comunitario, le eccezioni e le limitazioni avrebbero dovuto essere definite in modo più uniforme e che la direttiva 2001/29/CE ha parzialmente fallito il suo obiettivo, come è dimostrato dalle difformi – e spesso in insanabile contrasto tra loro – applicazioni da parte degli Stati membri della facoltà di prevedere eccezioni per l’uso delle opere a scopo didattico e di ricerca scientifica.Contenuto Riservato!