Antonio Albanese, La circolazione del contratto tra autonomia privata e simmetria informativa, in Riv. Dir. Civ., 2011, 1, 10015
La circolazione del contratto tra autonomia privata e simmetria informativa
Sommario: 1. La circolazione “ del contratto ”. — 2. Cessione del contratto e successione nel rapporto. — 3. La c.d. approvazione del ceduto. — 4. La c.d. autorizzazione del ceduto. — 5. La trilateralità necessaria. Cedibilità di contratti intuitu personae e di contratti invalidi. — 6. Inconfigurabilità di un tertium genustra cessione del contratto e cessione del credito. — 7. Inadempimento del cessionario e rendita informativa del ceduto nei confronti del cedente.
1. — Lo schema delineato dall’art. 1406 c.c. appare, ancor prima che una nuova figura giuridica, introdotta dall’ultimo codificatore, un nuovo modello di operazione economica. Le norme sulla cessione del contratto sono funzionali ad uno dei fini di maggiore rilevanza sociale: l’allocazione delle risorse. Se si conviene che queste norme innovano la stessa funzione del contratto, che da strumento per la trasmissione della ricchezza diviene esso stesso ricchezza trasferibile, può sostenersi che il fine ultimo sia l’allocazione di un bene peculiare: la posizione contrattuale. La piena sostituzione dei soggetti del rapporto contrattuale attua un vero e proprio fenomeno di circolazione: per la prima volta, nel nostro ordinamento, non sono i singoli elementi del rapporto contrattuale che si staccano da esso per essere trasferiti ad un terzo, non trasmigrano singoli rapporti giuridici. La circolazione riguarda il contratto stesso come bene, composto da tutti i rapporti giuridici che lo costituiscono: nel loro complesso e nel loro stato di interdipendenza, che già li caratterizzava quando erano sorti in capo agli originari contraenti.
La circolazione della posizione contrattuale è circolazione della ricchezza sotto diverse forme, secondo il contenuto del rapporto contrattuale sul quale incide la modificazione soggettiva. Emerge una capacità creativa dell’istituto che lo rende adattabile alle mutate esigenze dei traffici, consentendogli di muoversi attraverso schemi tipici e atipici (c.d. cessioni atipiche), pattizi e legali, al fine di influire sulla composizione soggettiva di singoli contratti tipici o atipici. In tal senso, l’istituto giuridico della cessione del contratto rappresenta un significativo trait d’union tra normativa sul contratto in generale e disciplina dei singoli tipi contrattuali: la combinazione contenutistica causale formale tra negozio di cessione e contratto ceduto, la loro interdipendenza funzionale, non impediscono di cogliere la reciproca autonomia, molto più di quanto accada con altri schemi giuridici quali il contratto preliminare, il contratto per persona da nominare o la procura.
Ma la vera peculiarità, sotto il profilo giuridico-economico, è il valore autonomo raggiunto dalla qualità di parte intesa essa stessa come risorsa: essere (nella specie: divenire) parte di un rapporto contrattuale, significa, al di là del dominio sulle “ cose ” la cui dazione sia stata eventualmente dedotta come prestazione, innanzitutto appropriarsi della utilità futura che sarà procurata dalla partecipazione a tale rapporto. Nei contesti industriali avanzati, la ricchezza non consiste più, tanto, nelle cose tradizionalmente intese, quanto nei rapporti; le risorse produttive coincidono con le aspettative collegate alle promesse e con le pretese collegate agli obblighi: promesse, obblighi, aspettative e pretese, che nascono da contratti(1).
Questo dato, che spiega la tensione dell’autonomia privata verso la conquista di maggiori spazi di manovra, riflette una concezione più elastica che vede nella proprietà un mezzo piuttosto che un fine; un mezzo, dunque, che può essere senza remore sostituito dagli strumenti giuridici che di volta in volta si presentino come più idonei a realizzare interessi economici e a sorreggere un potere economico-sociale: il massimo esempio è dato da quella particolare figura di cessione del contratto che è il trasferimento delle azioni societarie, ove alla incorporazione della partecipazione sociale in un titolo di credito, collocabile tra il pubblico, conseguono la materializzazione e mobilizzazione della qualità di parte del contratto di società, che se, da un lato, agevolano la circolazione, dall’altro, accentuano la scissione tra soci e amministratori, rendendo “ evidente il contrasto tra la proprietà economica (cui corrisponde la proprietà del titolo) e il controllo della ricchezza ”(2). Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere Ammettendo la disponibilità della qualità di parte, lo schema giuridico sancisce un nesso di continuità tra diritto ed economia; la posizione contrattuale assume un valore economico, diviene essa stessa un bene economico(3), idoneo alla circolazione e utilizzabile non solo, direttamente, nel suo valore d’uso, ma anche, indirettamente, nel suo valore di scambio. Essa acquisisce, quindi, un ulteriore valore, perché la circolazione giuridica è affidata al mercato. La posizione di parte contrattuale, quale potenziale fonte di ricchezza futura, ha un valore economico attuale, ed è quindi considerata dall’ordinamento alla stregua di un bene capace di circolare. Si tratta di una concezione della circolazione giuridica che, sebbene rifugga dagli schemi tradizionali, era già presente nel codificatore del ’42: a proposito della successione legale nei contratti, conseguente alla cessione dell’azienda ex art. 2558 c.c., la Relazione ministeriale (§ 1039) osservava come una realistica visione delle esigenze dei traffici rendesse indispensabile assecondare la circolazione di quei valori economici che sono rappresentati dai contratti già stipulati dall’imprenditore e che costituiscono l’elemento prevalente per diverse categorie di aziende. La nozione codicistica del bene quale “ cosa ” che può formare oggetto di diritti (art. 810 c.c.) non è di ostacolo alla configurazione, quale bene, della posizione di parte del rapporto contrattuale, perché la nostra letteratura giuridica, consapevole di maneggiare un concetto della realtà giuridica (e non della realtà visibile), ha ormai assimilato un criterio di qualificazione che non fa più esclusivo riferimento al diritto di proprietà, ma richiama il diritto soggettivo, inteso come potere che l’ordinamento attribuisce ad un dato soggetto al fine di realizzare un interesse individuale. È bene in senso giuridico “ ogni entità suscettibile di divenire oggetto di diritto soggettivo, in ragione dell’interesse suscitato ”(4). Lo specifico bene in parola, d’altronde, non è dissimile, sotto questo profilo, da altre entità che non possono definirsi cose, perché prive di corporalità, e che tuttavia sono considerate beni dall’ordinamento, come accade per i c.d. beni immateriali; non desta scalpore, allora, il ritardo che un simile inquadramento della circolazione del contratto sconta (così come quello della circolazione del credito) in un impianto normativo codicistico che “ è intrinsecamente focalizzato sulla centralità della proprietà dei beni materiali e denota una minore sensibilità per i cc.dd. beni immateriali ”(5). La disciplina ex artt. 1406-1410 c.c. muove un ulteriore passo sulla strada della mobilizzazione della ricchezza: tocca alla posizione contrattuale, adesso, giovarsi di quello stesso processo di oggettivazione un tempo toccato al credito come bene suscettibile di circolazione(6). Si tratta di un’evoluzione che, partita dalla centralità della cosa come unica entità che può circolare, è passata prima dalla concezione del diritto di credito come bene trasferibile, per pervenire infine alla possibilità di incorporazione del credito nel documento. Le stesse esigenze di rapidità nella circolazione degli scambi, che furono alla base di quella evoluzione, reclamano adesso, per la posizione contrattuale, oggettivazione analoga a quella di cui ha beneficiato il diritto di credito(7). Non è azzardato affermare che l’ordinamento giuridico non solo ha qualificato la posizione contrattuale, nel considerarla oggetto di determinati diritti, come bene(8), ma ha anche rimesso al mercato la qualificazione della posizione contrattuale in termini di ricchezza, fermi i limiti dati dal criterio di patrimonialità fissato dal combinato disposto degli artt. 1174 e 1321 c.c. Per converso, la disciplina di cui agli artt. 1406 ss. c.c. non affida al mercato la tutela delle posizioni soggettive, come vorrebbe un principio liberista puro: essa si preoccupa che il sinallagma, sebbene articolato secondo le scelte delle parti, sia quanto più possibile fondato su condizioni di parità informativa. Ecco allora che il fenomeno giuridico della circolazione del contratto, se correttamente letto alla luce del principio di autonomia privata, dà ragione alle recenti dottrine dell’informazione che riconoscono in mercato, informazione e regolamentazione giuridica “ tre aspetti interdipendenti di una stessa realtà socio-economica e, quindi, giuridica ”(9), e che vedono pertanto nella simmetria informativa un fattore di equilibrio tra l’allocazione ecomicamente ottimale e l’allocazione giuridicamente equa, delle risorse. Sebbene si parli comunemente di circolazione del contratto, l’interesse di una parte contrattuale (cedente) ad essere sostituita da un terzo (cessionario) è interesse ad uscire dal rapporto, non dal contratto; così come interesse del terzo è di subentrare nel medesimo rapporto acquistando tutti i diritti che il contratto gli conferisce in quel determinato momento di svolgimento del rapporto. Il promittente o il promissario, il datore di lavoro, la società sportiva, il titolare del diritto di multiproprietà, il locatore e il conduttore, il concedente e l’utilizzatore nel leasing, il committente e l’appaltatore, il venditore e il compratore, l’assicurato, il turista, cessano di essere parte, o divengono parte, dei rapporti originati dai rispettivi contratti: oggetto del trasferimento sarà la posizione di parte da essi assunta nel rapporto contrattuale al momento della cessione, anche se comunemente si parlerà di cessione del preliminare, di cessione del contratto di lavoro subordinato, di cessione del contratto di prestazione sportiva, di cessione della multiproprietà, di cessione della locazione, di cessione del leasing, di cessione dell’appalto, di cessione del contratto di vendita, di cessione dell’assicurazione, di cessione del contratto di viaggio. Ciò detto, il rapporto non può essere disgiunto dal contratto originario, che ne costituisce la fonte: solo in tal senso, può concepirsi l’operazione in esame come un subingresso di un terzo nel ruolo di parte (oltre che del rapporto) del contratto stesso; l’ingresso nel rapporto conferisce al cessionario tutto il complesso di diritti e doveri che il rapporto deriva dal contratto, inteso non più come fatto, ma come programma. Si comprende allora il ruolo decisivo dell’informazione: il cessionario diviene parte del rapporto contrattuale, e tuttavia non ha partecipato al contratto-fatto, pur essendo vincolato, per effetto della cessione, al programma: egli, sebbene abbia preso lettura del contratto ceduto, non conosce la sua storia, è costretto a fidarsi delle informazioni che riceve dal cedente e (secondariamente) dal ceduto. Per comprendere quanto sia rilevante il suo grado di conoscenza, basti riflettere sulla circostanza che, da questo, dipende, da un lato, la validità o invalidità della cessione qualora il contratto ceduto si riveli nullo, dall’altro, la stessa interpretazione del contratto-base una volta che questo sia stato ceduto (v. par. 5). Nella prospettiva, poi, del ceduto, la costitutività del suo consenso alla cessione, sancita dall’art. 1406 c.c., dimostra come la legge voglia impedire che il ceduto, il quale di norma subisce l’iniziativa di cedente e cessionario, sia portatore di un deficit informativo che lo porrebbe in una situazione di debolezza rispetto alle altre parti: strumentale alla sua tutela è la partecipazione al negozio di cessione e, quindi, la sua conoscenza, perché in assenza di adeguata informazione il ceduto non può esprimere un consenso consapevole e non è in grado, quindi, di esercitare validamente la propria autonomia contrattuale. Si tratta di un angolo visuale che consente di ragionare, in maniera più meditata, sulle autorevoli costruzioni dottrinarie che escludono la trilateralità della cessione nei casi in cui la dichiarazione del ceduto è espressa in via successiva (v. par. 3) o preventiva (v. par. 4) rispetto all’accordo tra cedente e cessionario. Ancora, in chiave di esternalità, sub specie di asimmetria informativa, può essere letta persino la situazione del cedente, in alcuni particolari casi: si pensi all’ipotesi in cui il ceduto abbia espresso al solo cessionario il suo consenso, del quale è invece rimasto ignaro il cedente. Sembra logico concedere al cedente, il quale, a causa della omessa informazione sulla conclusione della cessione, abbia prestato in favore del ceduto, il diritto a ripetere ai sensi dell’art. 2036 c.c.(10). Il legislatore del 1942, con l’art. 1406 c.c., ha fissato una regola ancora oggi all’avanguardia nel panorama giuridico europeo(11), quella della trilateralità necessaria della cessione, che si ispira all’allocazione ottimale delle risorse nel senso paretiano e può oggi essere letta come fattore giuridico di simmetria informativa a tutela dell’interesse debole; così reclamano le recenti intuizioni che cercano in tale fattore il possibile punto di equilibrio tra scienza economica e scienza giuridica, con il fine di garantire che nessuna parte approfitti di una rendita informativa rispetto all’altra parte(12). 2. — La legge stessa, parlando di cessione “ del contratto ” (rubrica art. 1406 c.c.), adotta un’espressione che, singolarmente, richiama alla mente la metafora del “ contract as thing ” diffusa tra i giuristi americani. La nozione di “ contratto ” non è qui adoperata in senso tecnico di fatto giuridico. Nel suo valore di sintesi verbale, sostitutiva di “ cessione della globale posizione di parte del rapporto derivante da un contratto ”, l’espressione “ cessione del contratto ” mantiene una utilità certa, sicché ad essa potrà farsi riferimento una volta che sia chiaro il suo valore metaforico. La definizione in parola è adoperata dalla legge a proposito dell’atto(13), mentre l’effetto è dalla medesima norma qualificato, correttamente, in relazione al rapporto(14), così come la Relazione del Guardasigilli (§ 640) aveva parlato della possibilità, col nuovo istituto, di “ far circolare un rapporto nel suo complesso ”. Assodato che oggetto della cessione è la posizione contrattuale, e dunque la sostituzione soggettiva nel rapporto contrattuale, perde significato ogni disputa sulla congruità delle nozioni utilizzate: cessione del contratto, vendita del contratto, trasferimento del contratto, cessione della qualità di parte, cessione del rapporto contrattuale. Sono tutte espressioni che vanno accolte nella loro portata espressiva di un fenomeno successorio a titolo particolare, che si svolge secondo le regole dettate dagli artt. 1406 ss. c.c.(15). Decisamente appropriato è, invece, il recepimento della nozione di “ cessione ”, che riesce ad esprimere nitidamente sia il profilo dell’atto sia quello dell’effetto, molto più di quanto avrebbe reso il termine “ trasferimento ”. Una nozione, inoltre, idonea ad indicare un fenomeno soggettivamente neutro, che prescinde sia dal trasmittente sia dall’acquirente, e nella quale può identificarsi il fenomeno della successione(16). È tuttavia nota la tradizionale convinzione secondo cui, per rendere aderente l’istituto in esame al concetto di “ successione ”, occorrerebbe un’assoluta immodificabilità della posizione di parte. Ad esser puntuali, il tema si divarica verso due direzioni. Un primo problema è costituito dalla coerenza, con l’idea di successione, di una cessione nella quale il terzo subentra in una posizione che non è più la stessa rispetto a quella originariamente occupata dal cedente, perché il rapporto tra le parti originarie, tra il momento della stipula del contratto e quello della stipula del negozio di cessione, si è sviluppato ed evoluto secondo il contenuto della sua fonte regolatrice: il futuro cedente, ad esempio, ha eseguito una parte o la totalità della propria prestazione, oppure ha ricevuto dall’altro contraente una parte o la totalità della controprestazione. Un secondo, diverso, problema riguarda la possibilità delle parti del negozio di cessione di modificare, con la cessione, il contenuto del contratto ceduto: in tal caso, il cessionario non subentrerà nella stessa posizione del cedente, ma in una posizione modificata; ciò non vuol dire, però, che tra le due posizioni, fermo il venir meno di una identità materiale, non sussista una identità giuridica sufficiente a ravvisare il nesso di derivatività caratterizzante la successione nel rapporto. La questione coinvolge lo stesso cuore dell’istituto in esame, la sua stessa natura di fenomeno successorio in senso tecnico: ancora risuonano gli echi dell’antica disputa sulla coerenza di una “ successione ” (che non sia quella mortis causa) nella quale mutano i soggetti: dall’equazione “ successione=immodificabilità ”, si faceva discendere l’equazione “ mutamento del soggetto = mutamento del rapporto giuridico ”. Ma è chiaro che il nostro ordinamento giuridico ha accolto proprio un concetto opposto, decidendo, coraggiosamente, di sacrificare le esigenze della logica astratta a quelle più pressanti della pratica, ed è in forza di tale diverso concetto che ha realizzato il fenomeno della successione sul piano normativo. L’art. 1321 c.c., riconoscendo il diritto di costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici di carattere patrimoniale, e l’art. 1322 c.c., attribuendo il potere di determinare liberamente il contenuto del contratto, sanciscono il principio secondo cui i privati possono attuare la circolazione dei beni attraverso il contratto. La normativa di cui agli artt. 1406 ss. c.c. non è che la specificazione di questo principio, perché nel momento in cui fa assurgere il contratto stesso a “ bene ”, ne disciplina la circolazione secondo le particolari norme della cessione del contratto. La cessione è un contratto che attua la circolazione di un altro contratto. Essa specifica e corrobora il valore dell’autonomia privata intrinseco al contratto originario, attribuendogli la caratteristica voluta dalle parti: la cedibilità(17). Il potere di attribuire il carattere di cedibilità, emanazione del potere di autonomia contrattuale, non può che rispondere ad un solo limite generale: quello della liceità. Se questo limite è rispettato, se non v’è alcuna ragione di ordine pubblico ad opporsi, e purché vi sia l’accordo di tutte le parti, l’ordinamento devesoddisfare l’interesse del mandante, del preponente, ecc. (o del mandatario, dell’agente, ecc.) a farsi sostituire da un terzo nel rapporto di mandato o di agenzia, nonostante l’intuitu personae. O l’interesse alla sostituzione del mutuante o del mutuatario nel mutuo ad interessi, nonostante la struttura unilaterale del contratto (e lo stesso valga per il mandato oneroso). O l’interesse del compratore a cedere la propria posizione contrattuale per far subentrare il cessionario non, semplicemente, nell’obbligo di pagare il prezzo al ceduto-venditore, ma anche nel diritto a pretendere, da quest’ultimo, tutte le garanzie di legge derivanti dalla stipulazione del contratto di vendita. O l’interesse, comune a tutti i contraenti, ad apportare in sede di cessione modifiche o integrazioni al contenuto del contratto-base, almeno quando si tratti di modificazioni marginali che non riguardano gli elementi essenziali del contratto: si pensi ad una cessione del contratto di leasing mediante la quale i privati cambiano la modalità di pagamento delle rate non ancora scadute. O l’interesse del conduttore che vuol sì cedere la locazione dell’appartamento, perché sono mutate le circostanze della sua vita, ma vuol mantenere la possibilità di abitare una parte dell’immobile, rimanendo conduttore limitatamente ad essa (c.d. cessione parziale)(18). Questi precisi obiettivi non possono essere attuati con la novazione, che attua un mutamento oggettivo del rapporto(19), ma neanche con gli istituti che modificano il rapporto sotto il profilo soggettivo, accollo dei debiti e cessione dei crediti, perché essi non riescono ad attuare il subingresso del cessionario nella complessa globale posizione giuridica che i privati intendono realizzare con le operazioni appena esemplificate. Interpretare l’istituto della cessione del contratto affidandosi ad altri istituti messi a disposizione dal nostro ordinamento porta a soluzioni affatto diverse da quelle volute dalle parti (il riferimento è, qui, alla concezione atomistica, la quale scompone la cessione del contratto, appunto, in cessione di crediti ed accollo). Nel momento in cui si aderisce alla raffigurazione della posizione contrattuale quale bene, assume un nuovo vigore anche la tutela costituzionale indiretta del contratto, perché cambia prospettiva il richiamo, altrimenti inflazionato e sbiadito (in specie rispetto alle fruttuose indagini degli anni ’70), all’iniziativa economica (art. 41 Cost.) e alla proprietà privata (art. 42 Cost.) quali fonti del diritto contrattuale. Nella nuova prospettiva, infatti, il soggetto esercita sulla propria posizione contrattuale lo stesso dominio, costituzionalmente garantito, che il proprietario esercita sul suo bene. In tal senso, i principi costituzionali non solo espandono l’istituto della cessione e la sua regola circolatoria, ma conferiscono energia, per questo tramite, alla stessa libertà contrattuale. La cessione raggiunge, così, un mirabile punto di equilibrio all’interno dell’instabile rapporto tra diritto ed economia. Tanto più, quando si ritenga corretta una lettura del disegno costituzionale dell’iniziativa economica, che valorizzi l’esercizio delle libertà quale affermazione dei diritti fondamentali. Come anticipato, contro il verificarsi di un fenomeno successorio nella cessione del contratto, si è affermato che al cambiamento di uno dei soggetti del rapporto non potrebbe che conseguire l’estinzione dell’originario rapporto ed il subentrarvi di uno nuovo(20). È l’antica idea secondo cui il mutamento soggettivo può avvenire soltanto per successione ereditaria, in ossequio al principio della continuità nell’erede della personalità del defunto, oppure per mezzo di una novazione, la quale, però, appunto, comporta la cessazione del vecchio rapporto. In tal modo, si confonde con l’identità giuridica del rapporto quella materiale, finendo con identificare la successione con la novazione; ma che la prima sia cosa ben distinta dalla seconda è la stessa legge ad ammetterlo, perché da essa si evince che la successione nel rapporto di un soggetto ad un altro lascia inalterato il rapporto medesimo, nonostante il mutamento dei soggetti(21). Peraltro, sebbene sia innegabile la sufficienza di “ un qualunque elemento, del soggetto attivo come del soggetto passivo, dell’oggetto come del contenuto, per escludere l’identità del rapporto modificato col rapporto preesistente alla modificazione ”, va comunque considerato che “ l’affermazione dell’identità ha un valore non speculativo, ma pratico: essa vuole indicare la compatibilità della modificazione con la continuazione del rapporto esistente, e cioè, in definitiva, con la conservazione della situazione giuridica, salva la modificazione ”(22). Si tratta di argomentazioni che caratterizzano un’epoca in cui il pensiero giuridico era solito muoversi prevalentemente sul piano dei concetti e delle loro connessioni logiche, ma che si pongono in conflitto con il compito di mediazione tra categorie logiche e concretezza dell’esperienza giuridica(23) assunto dall’interprete negli ultimi decenni(24). La disputa in questione, enorme, infinita, sotto il profilo dogmatico, si ridimensiona attraverso l’unica spiegazione possibile, che è quella in chiave storica. La costruzione unitaria del fenomeno della cessione dei diritti, e ancor più della cessione di situazioni giuridiche complessive, è estranea al pensiero della nostra tradizione storico giuridica. Una tradizione nella quale, sin dalla giurisprudenza romana, beni, diritti e azioni si trasmettono sulla scorta di una disciplina differenziata che si correla all’antitesi tra actiones in rem e in personam, e con la distinzione tra modi di acquisto derivativo a titolo particolare e successione a titolo universale: con conseguente mancata espansione del concetto genuino di successio anche alla successione particolare(25). Il rapporto obbligatorio, nella sua accezione più antica, era caratterizzato dalla prevalenza dell’aspetto personale, che faceva apparire inconciliabile la sostituzione dei soggetti con il mantenimento del vincolo originario, salvo che, in ragione della sua universalità, nella successione mortis causa; le stesse difficoltà sussistevano, infatti, nella mera modificazione soggettiva dal lato attivo, tant’è che solo con l’avvento del codice francese, grazie alla raggiunta “ dépersonnalisation de l’obligation ”(26), fu possibile pervenire ad una disciplina della cessione del credito. L’idea secondo cui il subingresso di un terzo, in un rapporto preesistente tra due individui, debba provocare necessariamente il mutamento del rapporto stesso, risente di una concezione dell’obbligazione come legame personale di individui, che è stata superata dall’ordinamento moderno in forza di valutazioni economiche che, in quanto adottate dal legislatore sulla scorta di un criterio di prevalenza tra esigenze dogmatiche ed esigenze pratiche, sono state ormai trasfuse in un diritto positivo non più contestabile col richiamo al dogma(27). È quest’ultimo, semmai, che si mostra oggi contraddittorio rispetto al sistema, e va quindi superato. Inoltre, quell’antica idea, concentrandosi sull’assenza di identità soggettiva che caratterizza il fenomeno empirico, non valorizza l’identità formale che emerge dalla qualificazione giuridica: è la norma a configurare, per esigenze pratiche, il nesso di derivatività tra le due posizioni in coerenza, peraltro, con il favor dell’ordinamento per la continuità dei rapporti e delle situazioni soggettive. La qualità di parte del rapporto contrattuale è un valore nel patrimonio della persona, ed è dunque trasmissibile alla stessa stregua degli altri diritti patrimoniali: in questo senso, il sistema normativo ha innovato il sistema dei concetti, e, così facendo, ha aperto la strada a nuove ipotesi di soluzioni. La cessione del contratto va inquadrata, alla pari della cessione dell’azienda o della cessione dei beni ai creditori, tra le cessioni di “ situazioni giuridiche complessive o globali ”(28); cessioni, dunque, che si collocano su di un piano distinto non solo rispetto alla successione mortis causa, ma anche rispetto alle cessioni inter vivos di situazioni giuridiche singole, attive (come la cessione del diritto assoluto, del diritto relativo o del diritto potestativo) o passive (come la cessione del debito). La cessione del contratto, in definitiva, attua un fenomeno di successione tra vivi in senso tecnico che non trova uguali nel sistema: in particolare, la successione di un terzo nella posizione giuridica nel rapporto contrattuale di una delle parti dell’originario contratto. Tecnicamente, vera e propria successione a titolo particolare, nella quale la posizione giuridica del successore rimane identica a quella del predecessore, cui è legata da un nesso di derivatività. 3. — La formazione dell’accordo può essere simultanea, quando una parte indirizza la proposta alle altre due che accettano contestualmente, o progressiva, quando la parte che assume l’iniziativa prima si accorda con un’altra parte, e poi invita la terza parte ad aderire all’accordo. In entrambi i casi, finché le volontà di tutte le parti non si incontrano, il negozio di cessione è in itinere e dunque inesistente o invalido: “ il consenso del contraente ceduto costituisce requisito di validità della cessione, che altrimenti sarebbe nulla ”(29). La cessione si compone quindi di tre distinte dichiarazioni di volontà, tutte poste dalla legge su di un piano di parità, ossia considerate quali presupposti di validità, se non addirittura di esistenza del negozio. Poiché la cessione comporta il mutamento soggettivo anche nel lato passivo del rapporto, per il ceduto non è indifferente la persona da cui potrà pretendere l’adempimento; da qui, la ragione principale (anche se non l’unica) dell’imprescindibilità di un incontro, simultaneo o successivo, dei tre consensi, del cedente, del cessionario e del ceduto, tanto se il cedente sia liberato dal contraente ceduto quanto se non lo sia. Una autorevole corrente di pensiero attribuisce valore anche al mero accordo intervenuto tra cedente e cessionario. In tal caso, non può configurarsi l’istituto della cessione del contratto, tant’è che il cedente rimane sempre obbligato nei confronti del ceduto; tuttavia, si concretizzerebbero comunque gli estremi per ravvisare l’esistenza di una cessione dei crediti e di un accollo interno dei debiti(30). Con la conseguenza che, in applicazione della disciplina della cessione del credito, il cessionario potrà escutere il credito nei confronti del mancato ceduto (se la cessione gli è stata notificata); il mancato ceduto, invece, non potrà escutere il credito verso il cessionario del credito perché il cessionario è legato al cedente da un accollo interno. Questa soluzione non può essere, a priori, né respinta né accolta. Decisiva è l’interpretazione della volontà del cedente e del cessionario: infatti, la qualificazione della fattispecie in termini di cessione del credito ed accollo interno del debito sottintende che le parti non avessero voluto solo e comunque una cessione del contratto; perché, se così fosse, non si potrebbero imporre loro, neanche in ossequio al principio di conservazione del negozio, le conseguenze prodotte da due diversi strumenti giuridici: al più, il loro accordo potrebbe valere come proposta di cessione al ceduto. Rimangono inoltre fermi i diversi e più limitati effetti che la combinazione di cessione e accollo interno producono rispetto alla circolazione dell’intero rapporto contrattuale. L’accordo tra cedente e cessionario può precedere la dichiarazione del contraente ceduto: può accadere, e si tratta dell’ipotesi più frequente, che il cedente, avendo interesse ad uscire dal contratto, reperisca un terzo che abbia invece interesse a subentrargli; ma non è escluso che sia il terzo stesso, venuto a conoscenza dell’esistenza del contratto-base, a rivolgersi ad una delle parti offrendosi di “ comprare ” la sua posizione contrattuale. In questi casi, perché l’accordo tra cedente e cessionario possa davvero divenire una cessione del contratto e produrne gli effetti, i due paciscenti dovranno proporre al ceduto di aderire al negozio: la successiva partecipazione del ceduto, il cui consenso costituisce anche in questa ipotesi elemento costitutivo, perfezionerà il contratto di cessione “ purché nel momento di tale adesione non sia venuto meno l’accordo originario al quale essa vuole aggiungersi…, e permangano, inoltre, tutte le condizioni della cessione ”(31). Il consenso successivo del ceduto, qualificato sovente in dottrina quale approvazione, secondo una recente ricostruzione assumerebbe la struttura di negozio giuridico unilaterale autonomo rispetto all’accordo (bilaterale) già intervenuto tra cedente e cessionario(32). Così strutturata l’approvazione successiva del ceduto, il negozio di cessione perde il proprio carattere trilaterale, per divenire un negozio bilaterale tra cedente e cessionario soggetto alla condicio iuris del consenso del ceduto. A tale condizione legale, peraltro, sarebbe applicabile la regola della retroattività espressamente sancita dall’art. 1360 c.c. per la condizione volontaria. Questa tesi, pur abbracciando convintamente la concezione unitaria, costituisce, limitatamente alla fattispecie a formazione non contestuale (con consenso preventivo o successivo del ceduto), un ritorno alla teorica atomistica, la quale, come noto, sostiene che il contratto di cessione sia sempre un negozio bilaterale concluso tra cedente e cessionario, mentre il consenso del ceduto costituirebbe mera condicio iuris. Con la nota conseguenza che, poiché il contratto risulterebbe dalla combinazione di cessione di crediti e accollo di debiti, la mancata adesione del ceduto non inficerebbe il mantenimento del rapporto tra cedente e cessionario come cessione di crediti e accollo interno di debiti. Può obiettarsi, tuttavia, che l’art. 1406 c.c., nell’affermare il carattere costitutivo del consenso del ceduto, costruisce il negozio di cessione come contratto necessariamente trilaterale, senza distinguere tra le diverse ipotesi secondo che esso sia prestato contestualmente, successivamente o (secondo lo schema exart. 1407, comma 1°, c.c.) preventivamente. Inoltre, anche se non contestuale, la dichiarazione del ceduto viene comunque a combinarsi con quelle delle altre parti contrattuali, costituendo un complessivo negozio che ha carattere unitario, nella struttura oltre che negli effetti. In presenza di una disposizione che, con estrema perentorietà, stabilisce che si ha cessione “ purché ” anche il ceduto vi consenta, deve ritenersi che finché manca la partecipazione del ceduto il negozio non si è perfezionato, con conseguente impossibilità di ravvisare la sua mera soggezione ad una condicio iuris. Nella fattispecie a formazione progressiva, il ceduto, pur intervenendo in una fase successiva all’accordo instauratosi dalle altre parti, mantiene la stessa posizione giuridica che egli assume nella fattispecie a formazione contestuale: in particolare, egli mantiene intatta l’autonomia conferitagli dagli artt. 1406 ss. c.c., e il suo potere di scelta non può essere ridotto alla semplice volontà di attribuire o meno efficacia ad un negozio già perfetto. Il ceduto può, infatti,scegliere di non liberare il cedente (art. 1408, comma 2°, c.c.), così come può scegliere di riservarsi di opporre al cessionario eccezioni fondate su altri rapporti con il cedente (art. 1409, ult. parte, c.c.). Dalla sua volontà non dipende solo la produzione dell’effetto, ma lo stesso contenuto del negozio destinato a produrre l’effetto. Anche in questo caso, leggere il fenomeno nell’ottica dell’informazione può rafforzare il metodo giuridico dell’analisi. La degradazione del consenso successivo a condizione sospensiva si basa sull’attribuzione alla dichiarazione del contraente ceduto di un carattere, quello della estrinsecità al negozio, che è pacificamente negato dalla configurazione in termini unitari dell’istituto, prescelta dal legislatore. Il ceduto ha diritto ad essere precisamente informato dell’accordo intervenuto tra cedente e cessionario, anche al di là di quanto possa ex actis emergere, e, sulla scorta di tale conoscenza, può deliberare non solo se accettare o rifiutare la conclusione della cessione, ma proporre, a sua volta, le stesse modalità della stessa: da questa prospettiva, il discorso può essere persino rovesciato, giacché l’autonomia del ceduto risulta rafforzata anziché indebolita, se è vero che egli avrà modo e tempo per valutare attentamente, sulla scorta delle informazioni ricevute, tutte le modalità dell’operazione e la stessa condizione soggettiva dell’eventuale persona, il cessionario, che gli viene proposta come futura controparte contrattuale. E, sulla base di questa conoscenza, della riflessione e dell’elaborazione dei dati ricevuti, effettuerà una scelta, talvolta, ancor più consapevole e informata di quanto avrebbe potuto fare se avesse direttamente e simultaneamente preso parte all’accordo. Potrà, inoltre, acquisire per propria iniziativa ulteriori informazioni (ad esempio sulla situazione patrimoniale del cessionario, ma anche sui mutamenti eventualmente sopravvenuti nella situazione patrimoniale del cedente) e quindi decidere, in maniera ancor più meditata, se avvalersi della facoltà di non liberare il cedente e/o della facoltà di opporre al cessionario le eccezioni non riguardanti il contratto ma fondate su altri rapporti con il cedente. Anche riguardo a quest’ultima possibilità, d’altra parte, trova conferma l’incidenza del principio di simmetria informativa: la facoltà, attribuita dall’art. 1409 c.c.al ceduto, di opporre al cessionario anche le eccezioni fondate su altri rapporti col cedente, non è solo un omaggio al riconoscimento dell’autonomia contrattuale delle parti, ma accentua e rafforza, insieme con la stessa portata del fenomeno successorio, il rispetto dei privati per le regole dell’economia dell’informazione(33). Il principio di autonomia privata, in alcune situazioni, impone soluzioni diverse rispetto alla più naturale e coerente struttura del fenomeno sostitutorio (v., ad esempio, riguardo alla possibilità di non liberare il cedente). Qui vale esattamente l’opposto: la scelta dei privati comporta che il ceduto, ossia il soggetto che rimane immutato (non esce dal rapporto né vi subentra), mantenga inalterata la propria posizione contrattuale. La portata e la ragione di questa regola si comprendono pienamente se si confronta la situazione del ceduto con quella del cessionario, a cui proposito la norma, significativamente, tace: le eccezioni personali o soggettive “ fondate su altri rapporti col cedente ” possono essere opposte dal ceduto per una ragione che attiene alla particolare posizione del ceduto medesimo, il quale può avere interesse a mantenere l’identica situazione che esisteva prima della cessione. La legge tutela, quindi, il suo diritto a non vedere modificata questa situazione, ed il suo affidamento nella prosecuzione del rapporto contrattuale come se la cessione non fosse intervenuta e come se egli continuasse ad avere, come controparte, ancora il cedente. Quando concluse il contratto originario, l’attuale ceduto aveva in considerazione determinate previsioni contrattuali, che è suo interesse vedere salvaguardate; diversamente, assisteremmo ad una lesione di quella autonomia che poggiava sulla conoscenza di informazioni acquisite ed apprezzate dal ceduto nel contesto negoziale. Non altrettanto può dirsi per il cessionario, che non aveva preso parte al contratto base, e che quindi, a seguito della cessione, non subisce alcun cambiamento di prospettiva, ma si limita a considerare, per la prima volta, la propria situazione di parte del contratto ceduto: la sua autonomia sorge all’interno di un contesto informativo che si focalizza sul contratto, ma che esula dai rapporti esterni alla fattispecie contrattuale. 4. — Recenti studi hanno sostenuto il venir meno della trilateralità della cessione nell’ipotesi di sua conclusione, ex art. 1407, comma 1°, c.c., mediante lo schema del consenso preventivo. La modalità di formazione dell’accordo inciderebbe sulla struttura della cessione, che assumerebbe carattere trilaterale o bilaterale in dipendenza dello schema adottato: nel caso specifico previsto dal comma 1° dell’art. 1407 c.c., il ceduto non sarebbe parte del contratto e il suo assenso preventivo costituirebbe una manifestazione unilaterale di volontà, un “ negozio giuridico, unilaterale, recettizio, autonomo rispetto all’accordo di cessione ”(34). Questa costruzione parte dall’assunto che il consenso preventivo del ceduto non possa essere posto sullo stesso piano delle altre dichiarazioni di volontà che seguiranno, quella del cedente e quella del cessionario. A differenza di quanto accade nel negozio trilaterale di cessione, infatti, qui il ceduto non contribuisce attivamente alla conclusione, con facoltà di proporre patti e condizioni, e quindi non può essere considerato effettivamente come autonomo e concorrente centro di interessi(35). Nel caso di consenso preventivo, si dice, il ceduto acconsente ad una futura cessione di cui non conosce il contenuto. Come visto supra, analogo ragionamento è fatto valere da questa dottrina per il caso di consenso successivo, dacché il ceduto avrebbe margini molto ristretti per modificare quanto già stabilito da cedente e cessionario. Questa differenza di ruolo del ceduto e di funzione del suo assenso spinge a qualificare il consenso preventivo come un’autorizzazione privata: il ceduto autorizza il futuro (ed eventuale) cedente a sostituire a se stesso un terzo attraverso un futuro negozio bilaterale, il contratto di cessione, di cui saranno parti, solamente, cedente e cessionario. L’esigenza di notificare al ceduto la conclusione di tale accordo bilaterale (o di attendere la sua accettazione) soddisfa l’interesse alla certezza della titolarità del rapporto contrattuale: poiché egli ha preventivamente accettato l’eventualità di avere una nuova controparte, ha diritto a conoscere se il rapporto continua con il contraente originario o se questi è stato sostituito. È appunto questo interesse che la norma tutela, facendo decorrere l’efficacia della cessione nei confronti del ceduto, solo a partire dal momento in cui la cessione gli è stata notificata o dal momento in cui è intervenuta la sua accettazione(36). L’autorizzazione privata, per l’orientamento in parola, potrà essere generica o specifica, a seconda che il cedente sia autorizzato a farsi sostituire da chiunque nel rapporto, ovvero possa trasferire la propria posizione giuridica solamente a uno o più soggetti predeterminati. Queste considerazioni della dottrina hanno il pregio di evidenziare l’elasticità dell’istituto in esame, il quale può concretarsi attraverso schemi distinti nei quali il valore delle tre dichiarazioni di volontà non è del tutto coincidente. Occorre però vedere se la flessibilità dello schema di formazione dell’accordo sia sufficiente a modificare la struttura del negozio, da trilaterale in bilaterale. Il tema può essere esaminato da due angolazioni: quella dell’autonomia privata, ossia della scelta del ceduto; quella della informazione, ossia del grado di conoscenza con cui il ceduto opera la scelta, che può consentirgli di ridurre il rischio di uno squilibrio contrattuale. Dalla prima angolazione, anche il consenso preventivo (non diversamente da quanto visto per il consenso successivo) non è mera adesione (com’è, invece, il consenso del creditore all’accollo, ex art. 1273, comma 1°, c.c.), ma è destinato a combinarsi con le dichiarazioni di cedente e cessionario in un unico negozio, che rimane pur sempre, quindi, trilaterale. Ciò è dimostrato dalla disciplina dell’istituto in esame, la quale, sebbene molto scarna, si preoccupa di assicurare in ogni caso, al ceduto, la soddisfazione di quello stesso interesse alla posizione contrattuale che egli aveva nel contratto originario. Infatti, la posizione del ceduto è regolata dalla legge in maniera uniforme, indipendentemente dal modo di formazione, contestuale o progressivo, della cessione: in tutti i casi egli ha il diritto, concessogli dal comma 2° dell’art. 1408 c.c., di riservarsi di non liberare il cedente; parimenti, non importa che il suo consenso sia preventivo, simultaneo o successivo, egli ha il diritto, conferitogli dall’ultima parte dell’art. 1409 c.c., di riservarsi di opporre al cessionario, oltre che le eccezioni fondate sul contratto, anche quelle basate su altri rapporti col cedente. Si tratta, a tutti gli effetti, di esercizio di poteri di autonomia privata. L’estensione di tali poteri emerge poi dalle stesse modalità del consenso preventivo: è vero che il ceduto può consentire al cedente, già nel contratto-base, di cedere il contratto medesimo a chiunque, rilasciando una sorta di delega in bianco; ma egli può anche limitare la futura cessione solo a determinate categorie di terzi (futuri cessionari) e può persino stabilire a quale soggetto il contratto potrà essere ceduto e a quali condizioni. Inoltre, egli modulerà le proprie pretese e concessioni anche sulla scorta dell’eventuale compenso offertogli dalla controparte (futuro cedente). È dalla seconda angolazione, tuttavia, che la soluzione non può dirsi coincidente con quella del consenso successivo; se lì, come visto, compete al ceduto il diritto di ratificare o di porre nel nulla le previsioni delle controparti; qui, al contrario, il ceduto si è già pronunciato in senso positivo, il suo diritto si riduce alla soddisfazione di un suo interesse informativo. Ma è un interesse la cui tutela non è strumentale alla conclusione del negozio di cessione, cui egli non può più opporsi. È sotto questo profilo, dunque, che l’art. 1407 c.c. può essere sospettato di non mantenere intatti i poteri del ceduto e di dar luogo ad una asimmetria informativa che si risolve in una restrizione dell’autonomia contrattuale. Sebbene, infatti, egli sia “ informato ” della cessione e vi abbia preventivamente acconsentito, l’informazione che egli riceve con la notifica concerne una cessione già conclusa; al consenso preventivo, in altre parole, potrebbe non corrispondere una informazione preventiva: come accade in caso di consenso preventivo del tutto, o in buona parte, generico. Per queste ipotesi, non è allora azzardato domandarsi se possa configurarsi nel ceduto una nuova categoria di “ soggetto debole ”, seppur tra privati non qualificati, ossia al di fuori delle ormai consuete fattispecie legislative incidenti sui rapporti tra professionisti e consumatori. Può allora parlarsi, seguendo le più recenti linee di indagine, di “ asimmetria informativa ” pure tra cedente e cessionario da un lato e ceduto dall’altro? Così facendo, il rapporto finirebbe per essere configurato alla stessa stregua di quello intercorrente fra banche e clienti, fra subfornitori e committenti, fra conduttori e locatori, fra intermediari finanziari e investitori, fra agenti e preponenti. Tuttavia, rispetto alle suddette ipotesi, v’è da considerare, oltre al menzionato “ potere contrattuale ” conferito al ceduto dal comma 2° dell’art. 1408 c.c. e dall’art. 1409 c.c., che la legge ha configurato, in particolari casi nei quali il ceduto occupa una posizione di debolezza nel rapporto, specifici strumenti di tutela: nelle c.d. cessioni legali, infatti, la mancata partecipazione del ceduto, al negozio che comporta il mutamento della sua controparte contrattuale, è bilanciata da contrappesi specificamente calibrati dal legislatore: si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 6 della l. 27 luglio 1978, n. 392, ai cui sensi il coniuge, nei casi di separazione giudiziale, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, subentra nel rapporto locativo ex lege, con automatica estinzione del rapporto in capo al coniuge originario conduttore. Qui, non occorre il consenso del ceduto; così come tale consenso non è richiesto dall’art. 36 della stessa legge quando dà facoltà al conduttore di cedere a terzi il contratto di locazione (di immobili adibiti all’esercizio di attività commerciali, industriali o artigiane), se viene insieme ceduta o locata l’azienda; così, ancora, effetto naturale della cessione di azienda è la cessione dei contratti di natura non personale stipulati per l’esercizio della stessa, senza che occorra l’adesione dei singoli terzi contraenti (art. 2558 c.c.). Ma si tratta di ipotesi nelle quali, sull’interesse del ceduto, la legge fa prevalere interessi di ordine diverso, siano essi generali, o particolari del cedente o del cessionario. In altre parole, è solo la legge a poter stabilire in nome di quali interessi il diritto del ceduto ad essere parte del contratto di cessione, possa essere pregiudicato. Ma anche nelle ipotesi, di trasferimento contrattuale, riconducibili all’autonomia privata, quando si prescinde dal consenso del ceduto, ciò avviene perché esistono esigenze strutturali o ultraindividuali: nella s.p.a., è vero, occorre, perché la cessione sia efficace nei confronti della società ceduta, l’iscrizione nel libro dei soci, ma tale atto non è equiparabile in toto al consenso del ceduto ex art. 1406 c.c., perché la società non può rifiutarlo; essa, se il cessionario dimostra la propria legittimazione conseguente alla serie continua di girate, può solo prenderne atto. Ma è evidente che qui la legge tutela un’esigenza di ordine generale, perché mira ad agevolare la più rapida circolazione della posizione di socio(37). La legge di circolazione è, poi, legata alla stessa struttura del soggetto ceduto; ed infatti il consenso del ceduto torna ad essere indispensabile quando si tratta di trasferire la posizione di socio nelle società personali, ove occorre, all’uopo, una modifica del contratto sociale da deliberare (salvo diversa pattuizione ex art. 2252 c.c.) con il consenso di tutti i soci. Si pensi, poi, sempre a titolo esemplificativo, alla superfluità del consenso del venditore o organizzatore ceduto nella cessione del contratto di viaggio (art. 89 del Codice del consumo), riconducibile a particolari esigenze di tutela del consumatore-cedente(38). Spetta alla legge, allora, e soltanto ad essa, vagliare gli interessi, in ossequio ai quali sia possibile derogare alla necessaria partecipazione, in qualità di parte della cessione, del soggetto che subisce la modificazione soggettiva del rapporto, con conseguente approntamento di adeguate tutele. Inoltre, la legge, quando ha ritenuto che la tutela informativa non fosse sufficiente a tutelare in maniera effettiva l’interesse della parte debole, vi ha espressamente posto rimedio: l’art. 33, lett. s), del Codice del consumo (già n. 17 del comma 3°, art. 1469 bis c.c., vecchio testo) enuncia, tra le clausole che “ si presumono vessatorie sino a prova contraria ”, quella che ha lo scopo di “ consentire al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo ”. La norma configura una fattispecie nella quale il cedente è un professionista e il ceduto è il consumatore, mentre è ininfluente la situazione soggettiva del cessionario: solo in presenza di tali requisiti soggettivi essa trova applicazione. Inoltre, il professionista potrà dimostrare che la clausola non era in realtà vessatoria(39). Pertanto, la clausola di consenso preventivo alla cessione sarà nulla solo se da essa deriverà una diminuzione dei diritti del consumatore-ceduto. Diversamente, essa sarà pienamente valida ed efficace, come potrebbe avvenire, ad esempio, quando insieme con il preventivo consenso alla cessione si siano precisati determinati criteri che il cedente dovrà osservare nella scelta del cessionario, in modo da assicurare il mantenimento dello stesso standard qualitativo della prestazione che assicurava il contraente originario; oppure, quando sia garantita al consumatore la possibilità di una successiva approvazione dopo aver conosciuto il professionista che dovrebbe subentrare nel rapporto al posto del cedente(40). Pertanto, solo entro questi limiti è possibile parlare del ceduto come un soggetto debole, anche perché va escluso che, in tutti gli altri casi, possa operare la disciplina codicistica sulle clausole vessatorie, prevista dal comma 2° dell’art. 1341 c.c., la quale non accenna minimamente alla possibilità, riservatasi in contratto da una delle parti, di cedere a terzi la propria posizione contrattuale(41). Il ceduto, dunque, occupa, nel negozio di cessione, una posizione paritaria rispetto alle sue controparti; non è considerato dal nostro ordinamento quale “ soggetto debole ”, se non nei limiti e nei casi in cui riceve una specifica tutela dal Codice del consumo. Ad ogni modo, la Cassazione non ha dubbi, né sulla trilateralità né sul carattere costitutivo del consenso (anche preventivo) del ceduto, ed afferma anzi senza mezze misure che, pur quando la cessione sia stata autorizzata preventivamente da una parte, essa non si perfeziona nei suoi confronti fino a quando non le sia stata notificata oppure non l’abbia accettata (in modo espresso od anche con comportamento tacito concludente), atteso che, seppur attuata secondo lo schemaex art. 1407, comma 1°, c.c., “ la cessione suddetta costituisce un negozio trilatero che richiede il consenso di tutte le parti interessate, e quindi anche del contraente ceduto per il quale, in particolare, è essenziale conoscere il momento di efficacia della sostituzione ai fini della liberazione del contraente cedente (exart. 1408 c.c.) ”(42). Detto consenso, a differenza che nella cessione di credito, in cui l’assenso del debitore ceduto è estrinseco alla convenzione, nella cessione del contratto “ è elemento costitutivo del negozio al pari del consenso degli altri due soggetti ”, non potendosi distinguere tra consenso successivo e consenso preventivo(43). Non, dunque, una manifestazione unilaterale di volontà, ma una vera e propria partecipazione al contratto, in veste di parte avente uguale dignità giuridica delle altre, sebbene in un contesto formativo non simultaneo ma progressivo. Il ceduto, dunque, al pari del cedente e del cessionario, è sempre parte del contratto di cessione. La cessione del contratto, anche quando il ceduto aderisce in via preventiva o successiva, non è un contratto bilaterale tra cedente e cessionario, cui il consenso del ceduto accede come mero requisito di efficacia; si tratta, in tutti i casi, di contratto trilaterale. La possibilità, data al ceduto dalla legge, di esprimere preventivamente il consenso, non è un residuo omaggio allaZerlegungskonstruktion, ma, al contrario, un’ulteriore conferma della concezione unitaria fondata sulle esigenze della pratica: questa possibilità, infatti, agevola la trasferibilità della complessiva posizione contrattuale, soprattutto per mezzo delle clausole all’ordine o dello stabilito, come d’altronde esplicitava la Relazione ministeriale al codice, n. 641 (già Relazione al re, n. 108). Ma se il ceduto non dà il proprio consenso, o comunque, nel caso di accordo già raggiunto tra cedente e cessionario, finché egli non esprima tale consenso, non può tecnicamente parlarsi di cessione del contratto, e, secondo la Cassazione, il negozio stipulato non produce effetti neanche inter partes, ossia neanche tra cedente e cessionario(44). Su questo punto occorre però intendersi: l’accordo tra cedente e cessionario non dà certamente luogo, di per sé, ad una cessione di contratto. Ciò non significa tuttavia che esso necessariamente debba essere improduttivo di effetti: quel che deve escludersi, è che detto accordo si tramuti, in via automatica, in una cessione dei crediti e un accollo dei debiti. A tal fine, infatti, occorrerà vedere se sussistano i relativi requisiti di sostanza e di forma: soprattutto, dovrà accertarsi che cedente e cessionario volevano gli effetti della cessione dei crediti e dell’accollo e/o si sarebbero comunque accontentati di tali più limitati effetti. 5. — In considerazione dell’acclarata essenzialità della partecipazione del ceduto ai fini della perfezione del contratto, si è consolidata l’idea che l’istituto vada annoverato tra i contratti plurilaterali. Parlare della cessione come di un negozio plurilaterale non può avere più che una valenza descrittiva atta a riconoscere che si è al cospetto di un contratto con più di due parti. Tuttavia la cessione, una volta incontratesi le volontà di cedente, ceduto e cessionario, non è aperta all’adesione di ulteriori soggetti come avviene nei contratti plurilaterali tecnicamente intesi. Il richiamo alla plurilateralità può essere inoltre persino fuorviante se ci si riferisce alla categoria contrattuale contemplata dal codice civile agli artt. 1420 (nullità), 1446 (annullabilità), 1459 (risoluzione) e 1466 (impossibilità). Queste norme, che come noto risolvono il problema della sorte del contratto, quando venga meno il vincolo di una delle parti, attraverso il criterio dell’essenzialità o meno della partecipazione esclusa, sono state dettate avendo a mente, sostanzialmente, i contratti associativi, nei quali la pluralità delle parti ha carattere non essenziale ma accidentale (tant’è che ben possono essere bilaterali) e le singole partecipazioni sono tendenzialmente fungibili. Nella cessione del contratto, per converso, non solo non v’è alcuna comunione di scopo, ma la presenza di tre parti contrattuali non è accidentale, ma essenziale: l’istituto non si concretizza se le parti non sono tre, così come non è immaginabile che esso si attui con più di tre parti. Le dichiarazioni del cedente, del cessionario e del ceduto, dunque, sono tutte essenziali, sicché non può valere, per nessuna di esse, il principio secondo cui andrebbe in concreto accertato, caso per caso, se la prestazione sia essenziale: se una delle tre dichiarazioni manca, o viene a mancare in un secondo momento, il problema della persistenza del negozio neanche si pone. Non solo: i soggetti partecipanti sono tutti interessati alla cessione, quali veri e propri centri autonomi, portatori di contrapposti interessi che trovano composizione nel raggiungimento dell’accordo(45). Accertata la natura costitutiva del prescritto consenso del ceduto, rimane dubbio se in sua assenza si debba parlare di cessione invalida (in particolare: nulla) o inesistente. Questa seconda soluzione è da preferire, perché qui non si è soltanto in presenza di un requisito essenziale del negozio richiesto dalla legge a pena di nullità (l’accordo delle parti), ma la fattispecie della cessione del contratto non è neanche astrattamente ravvisabile, in ragione della mancata partecipazione, ad essa, di uno degli elementi di imputazione soggettiva del rapporto. Tanto è vero che si ritiene ricostruibile la fattispecie medesima qualificandola attraverso altri distinti istituti (cessione del credito, accollo): a riprova del fatto che il problema è di stretta qualificazione; non sussistendo gli estremi per configurare l’istituto di cui agli artt. 1406 ss. c.c., è possibile rivolgersi ad altri strumenti giuridici per attuare la volontà delle due parti — mancato cedente e mancato cessionario — che hanno preso parte all’accordo. Diverso il caso in cui il ceduto sia, astrattamente, parte del negozio di cessione, ma concretamente manchi l’accordo delle parti perché il suo consenso, seppur formalmente prestato, è stato frutto, ad esempio, di violenza fisica. Qui, a differenza del caso precedente, si ha una cessione del contratto nulla: la componente soggettiva è rispettata, perché si tratta di un negozio trilaterale riconducibile allo schema di cui all’art. 1406 c.c., e tuttavia privo di uno dei requisiti essenziali del contratto ex art. 1325 c.c. Dalla lettura dell’istituto alla luce del principio di autonomia privata possono trarsi ulteriori considerazioni, foriere di importanti implicazioni pratiche. L’idea, piuttosto diffusa, che non possano essere oggetto di cessione i contratti intuitu personae, va senza meno respinta: è vero che in questi contratti la controparte è scelta in virtù delle sue particolari qualità soggettive, sicché la prestazione concordata è astrattamente riconducibile nell’orbita dell’infungibilità(46). Ma è altrettanto vero che, nel caso di cessione, spetta solo al ceduto scegliere se accettare o meno una nuova persona come propria controparte contrattuale al posto del cedente, e quindi valutare la possibilità che il proposto cessionario gli dia le medesime garanzie qualitative in ordine all’esecuzione della prestazione oggetto del contratto-base. E poiché l’ordinamento costruisce la cessione del contratto come negozio necessariamente trilaterale nel quale è indispensabile il consenso del ceduto, non pare abbia senso discutere di intuitu personae qualora detto consenso sussista: “ non è l’intuitus personae bensì la mancanza del consenso del mandante, del preponente, ecc. (o del mandatario, dell’agente, ecc.) ad impedire il funzionamento del meccanismo successorio ”(47). Si è poi sostenuto che il contratto potrebbe essere reso incedibile per volontà delle parti(48). Ma nessun accordo di tal tipo, eventualmente contenuto nel contratto-base, potrebbe impedire alle parti di mutare volontà. Ciò che conta, invero, è che sussista anche il consenso del contraente ceduto: se il ceduto è d’accordo, non v’è ragione di ritenere che l’originaria pattuizione conservi valore. E poiché il consenso del ceduto è comunque un elemento costitutivo imprescindibile del negozio di cessione, deve risolversi che nessun valore deve attribuirsi alla clausola di non cedibilità: se vi sono le tre dichiarazioni richieste dalla legge, il contratto è cedibile; se manca una di esse, nessun contratto può essere trasferito. Altro problema è se il contratto-base, per essere cedibile, debba essere valido. In merito alla nullità del contratto trasferito, occorre distinguere due ipotesi: 1) è possibile che il cessionario sia subentrato in un contratto del quale non conosceva la nullità: in questo caso, egli potrà chiedere al cedente il risarcimento del danno ex art. 1410 c.c. per non avergli garantito “ la validità del contratto ceduto ”. L’art. 1410 c.c. tutela, così, il cessionario dallo svantaggio informativo che rischia di subire in contrapposizione alla rendita informativa del cedente. Quanto alla sorte del negozio di cessione, vi è chi sostiene che anch’esso, quale negozio di secondo grado, debba considerarsi affetto da nullità(49), ma è preferibile ritenere che la cessione rimanga valida, ma il cessionario possa agire (oltre che per il risarcimento) per ottenerne la risoluzione per inadempimento(50): ciò significa che il nostro sistema ammette la cedibilità di contratti inesistenti o nulli. Questa soluzione, nonostante l’astratta ammissibilità anche della soluzione opposta, è in linea con la ratio di protezione del cessionario desumibile dall’art. 1410 c.c., ed assicura a quest’ultimo maggiore tutela. Sulla base della perpetuatio obligationis, va spiegata la sostituzione dell’obbligo risarcitorio all’impegno traslativo (non realizzabile a causa della inesistenza o nullità del contratto-base)(51). 2) È anche possibile, però, che il cessionario fosse a conoscenza della nullità del contratto-base: in tal caso, egli non può avanzare pretese risarcitorie ex art. 1410 c.c.; e la stessa soluzione, a maggior ragione, vale quando cedente e cessionario abbiano concordemente e consapevolmente convenuto di trasferire un contratto invalido. Può anche accadere che siano cedente e ceduto ad accordarsi per tenere nascosta al cessionario l’inesistenza o la nullità del contratto; in tal caso si tratta di una simulazione, la quale, ex art. 1415 c.c., non può essere opposta al cessionario: non v’è ragione, quindi, perché entri in gioco la garanzia di cui all’art. 1410 c.c. In definitiva, la questione va sempre risolta sulla scorta del principio di autonomia privata: se è stato tradito il legittimo affidamento del cessionario sulla validità del contratto ceduto, questi potrà ottenere dal cedente il risarcimento del danno ex art. 1410 c.c., nonché la risoluzione del negozio di cessione per inadempimento. Se, invece, il cessionario era consapevole della nullità, e ciò nonostante ha deciso di subentrare nel rapporto col ceduto, allora è possibile desumere che le parti abbiano inteso deliberare una cessione delle azioni restitutorie sorgenti dal contratto nullo: il cessionario acquisterà tutte le azioni che gli derivano dall’assunzione della qualità di parte di un contratto nullo. La consapevolezza del cessionario inerente la nullità del contratto da lui acquistato è, però, elemento determinante che, a mio avviso, deve risultare dal negozio di cessione, pena la responsabilità del cedente: il legislatore dell’art. 1410 c.c., infatti, non si muove all’interno dei canoni dell’analisi economica del diritto, basati sul presupposto che il mercato realizzi l’allocazione ottimale della risorsa (nella specie: della posizione contrattuale), ma assume l’idea, propria dell’economia dell’informazione, del fallimento del mercato per asimmetria informativa, cui opporre il diritto come fattore di informazione obbligatoria(52). La garanzia dovuta dal cedente, dunque, presuppone una scelta di campo precisa tra il mercato, come sistema di informazione spontanea, e il diritto, che interviene sopperendo ai fallimenti del mercato attraverso l’imposizione di un sistema di informazione obbligatoria. La garanzia ex art. 1410 c.c. costituisce una concretizzazione della clausola generale di trasparenza informativa che si articola nei precetti della verità, della chiarezza e della correttezza. Il contratto nullo, dunque, non è un contratto incedibile ed il suo trasferimento non comporta nullità del negozio di cessione. Il cessionario ha diritto ad essere risarcito se non era a conoscenza della nullità, ma ha anche diritto ad acquistare, con l’accordo del cedente e del ceduto, una posizione contrattuale afferente il contratto invalido. In tal modo, assume un ruolo essenziale il principio di responsabilità informativa: a minor trasparenza e simmetria informativa deve corrispondere maggiore responsabilità, in ossequio ai più recenti insegnamenti secondo i quali, in una filosofia di trasparenza, la responsabilità deve costituire il surrogato della mancanza di informazione. Così, la previsione normativa della garanzia, che si traduce di fatto in un obbligo di segnalazione a carico del cedente(53), salvaguarda lo stesso sinallagma contrattuale. Sotto questo aspetto, la garanzia dovuta per la cessione della posizione di parte non è diversa da quella dovuta per la vendita di qualsiasi altro “ prodotto ”, richiamando alla mente la celebre intuizione di Akerlof sul ruolo condizionante, nel funzionamento di un mercato concorrenziale, dell’asimmetria informativa tra acquirenti e venditori(54). A conferma, per altri versi, della qualificazione della posizione contrattuale quale bene, evidenziata supra. Sotto lo specifico profilo della responsabilità, l’art. 1410 c.c. dimostra che, nel regolare i rapporti tra cedente e cessionario, il legislatore si è preoccupato di tutelare la posizione del secondo perché subentra in un contratto che non può conoscere, nelle sue vicende preparatorie, formative ed evolutive, con lo stesso grado di cognizione delle parti originarie che quel contratto hanno perfezionato. Il cessionario ha diritto ad acquisire una posizione contrattuale conforme a quella che gli è stata promessa e che ha pattuito. Questo diritto è meritevole della particolare tutela fornita dall’art. 1410 c.c., tutela che si giustifica con la natura peculiare del bene acquistato e che “ tiene conto delle scarse possibilità di difesa del contraente cessionario, costretto a fare affidamento sulle parole del cedente e sul comportamento, non sempre attivo, del ceduto ”(55). Si tratta, dunque, di proteggere il legittimo affidamento del cessionario nel subingresso in una posizione contrattuale valida. Ma se questa è la ratio della garanzia del cedente, va dedotto che la responsabilità di quest’ultimo viene meno qualora non sussista l’esigenza di proteggere l’affidamento del cessionario, vale a dire quando si accerti che il cessionario medesimo era al corrente delle cause di invalidità o di inesistenza del contratto cedutogli. Con la conseguenza che il cessionario in mala fede non potrà agire contro il cedente per essere garantito ai sensi dell’art. 1410 c.c. Ma è possibile fare un ulteriore passo avanti nel discorso: accettando la cessione, il cessionario accoglie tutta la storia del contratto e del rapporto contrattuale, compresi i comportamenti tenuti dal cedente, i quali assumono rilievo ai sensi dell’art. 1362, comma 2°, c.c. Egli, infatti, diviene titolare di diritti ed è tenuto per obbligazioni il cui contenuto è stato determinato dall’accordo delle parti originarie del contratto-base. Quell’accordo ha ormai una sua storia, che è data dalle trattative svolte e dal loro esito, nel senso che esse saranno d’ausilio nella costruzione della comune intenzione delle parti, e che è data dallo scambio delle dichiarazioni conclusive e dal periodo di tempo dell’eventuale esecuzione parziale(56). Il cessionario, in effetti, sebbene non abbia tenuto quei comportamenti, “ eredita ” i comportamenti del cedente nel momento in cui subentra al suo posto nel rapporto contrattuale. Può allora accadere che il cessionario abbia interesse a leggere il testo del contratto dandogli un significato diverso da quello che al momento della stipulazione vi dava, e continua a darvi, il ceduto, e che quindi sorga controversia tra i due. D’altronde, il cessionario, proprio per essere terzo rispetto al contratto-base, nel momento in cui diviene parte del rapporto, conosce il documento contrattuale, ma non è tenuto a conoscere il significato che le parti gli assegnavano. Si tratta quindi di risolvere il conflitto tra l’interesse del ceduto alla continuità dell’interpretazione e l’interesse, eventuale, del cessionario alla discontinuità, intesa quale interesse “ a modificare l’interpretazione data al contratto dalle parti originarie, e a seguirne una nuova che risponda anche alle proprie convenienze ”(57). Gli artt. 1406 ss. c.c. risolvono il conflitto in favore della continuità: il cessionario assume nel rapporto contrattuale l’identica posizione che vi aveva il suo dante causa, anzi, egli acquista quella posizione nel suo complesso, comprensiva anche dei comportamenti tenuti dal cedente e rilevanti ex art. 1362, comma 2°, c.c.; sicché i rapporti tra lui ed il ceduto sono ormai interamente regolati dal contratto ceduto. Nei suoi confronti, tale contratto “ vale come fu realmente voluto dalle sue parti o dalle sue parti originarie ” ed egli “ non potrà imporre all’altro contraente un’interpretazione del contratto diversa da quella alla quale era legato il cedente ”(58). Si capisce, allora, come l’art. 1410 c.c. intervenga a sanare una condizione di asimmetria che, se affidata al mercato, provocherebbe una superiorità quantitativa e qualitativa delle conoscenze di cui dispone l’alienante-cedente rispetto a quelle dell’acquirente-cessionario, col connesso rischio di un abuso, da parte del primo, di quel vantaggio informativo. Garantendo il soggetto inconsapevole, invece, la legge contrasta in via preventiva, per mezzo dell’eguale disponibilità di informazioni rilevanti, l’uso opportunistico dell’informazione da parte del soggetto consapevole, e sposta il baricentro della tutela dalla sanzione alla prevenzione. In tal modo, essa incentiva gli scambi e, limitando le remore dei potenziali contraenti, rafforza lo stesso funzionamento del mercato. Quanto detto vale, ovviamente, per l’interpretazione della storia del contratto antecedente il negozio di cessione. A cessione avvenuta, a quella storia passata se ne aggiungerà una nuova, fatta dai rapporti intercorsi dalle nuove parti del rapporto contrattuale, cessionario e ceduto. Da allora, dunque, la “ comune intenzione delle parti ” cui si riferisce l’art. 1362 c.c., ed il “ comportamento complessivo ”, non saranno più soltanto quelli del cedente, ma anche quelli del cessionario, la cui condotta dovrà essere valutata insieme con quella del cedente. 6. — Il diritto di credito costituisce un bene idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente(59). Il consenso del ceduto, peraltro, si impone come elemento costitutivo della cessione del contratto anche quando venga trasferita la posizione contrattuale di una parte che ha già interamente eseguito la propria prestazione: in tal caso, si ha successione nella posizione attiva così come avviene con la cessione del credito, con la differenza che la posizione trasferita non è un mero credito, ma rimane comunque una posizione contrattuale. Questa posizione contrattuale non dà solo diritto, al cessionario cui si trasmette, di esigere il credito ed i suoi accessori, ma implica la titolarità di tutta una serie di diritti, azioni ed aspettative che costituiscono una fascia più ampia di situazioni che rimangono vincolate al contratto, quanto agli aspetti genetici, ed al rapporto, quanto agli aspetti funzionali. Ciò comporta, anche, che la posizione, pur essendo al momento del trasferimento una posizione soggettiva attiva, proprio perché segue le vicende dell’atto cui è collegata, può essere destinata a comprendere situazioni passive, con la conseguenza che per il ceduto non sarà indifferente trovarsi come controparte un soggetto, diverso dal cedente, cui opporre eventuali eccezioni. È poi possibile, ad esempio, che il ceduto abbia fondato timore, in presenza di clausole ambigue, che il cessionario del contratto le interpreti in maniera differente da come le intendeva il cedente, e, sulla scorta di questa nuova interpretazione, pretenda di ottenere una prestazione superiore o con modalità differenti: in tal caso, il ceduto si troverebbe a fronteggiare una situazione nuova, a seguito di un’operazione giuridica dalla quale è stato emarginato. Per questa ragione, non può condividersi la diffusa opinione secondo cui, quando si cede la posizione contrattuale attiva, si possa fare a meno, parallelamente a quanto accade quando si cede un credito, del consenso del ceduto. Se per il debitore, nella cessione del credito, è indifferente il soggetto cui deve pagare, non lo è invece per il ceduto ex art. 1406 c.c., al quale va assicurato il diritto, pertanto, di mantenere il controllo sulla machinery contrattuale. Una cosa è cedere l’intera posizione attiva (o passiva) lasciando inalterato in capo alle parti originarie il residuo rapporto contrattuale; altra è cedere la complessiva posizione contrattuale che tuttavia, a causa dell’avvenuta esecuzione della controparte, si compone, ormai, del solo profilo attivo (o del solo profilo passivo). Nel primo caso, non può parlarsi di cessione unilaterale del contratto per la cessione dei soli diritti spettanti ad uno dei contraenti (né, correlativamente, dei soli elementi passivi), per la ragione che rimangono in capo al cedente gli altri elementi del rapporto (rispettivamente: passivi o attivi); non si raggiunge, quindi, il risultato voluto dalle parti che intendano cedere “ il contratto ” ex art. 1406 c.c., ossia il definitivo distacco del cedente dal rapporto oggetto di trasferimento, ed il correlativo subentro del cessionario nell’intera vicenda contrattuale(60). Diversa è la seconda ipotesi, perché quando si cede l’intero rapporto contrattuale, non costituisce un ostacolo la circostanza che il lato attivo (o quello passivo) si sia già esaurito: è realizzata, infatti, la piena sostituzione cui mira l’istituto, nel senso che il cedente esce definitivamente dal rapporto ed il cessionario lo sostituisce in maniera piena e totale; in altre parole, il trasferimento riguarda tutto ciò che del rapporto contrattuale è rimasto (senza che abbia luogo la frammentazione, tra elementi trasferiti al terzo ed elementi rimasti in capo al cedente, che caratterizza la prima ipotesi). La titolarità dei diritti e delle azioni che costituiscono oggetto della cessione ex artt. 1406 ss. c.c. (di risoluzione, di annullamento, di disdetta, ecc.) non può essere separata dalla titolarità del rapporto contrattuale di riferimento. Se oggetto della cessione è l’intero rapporto contrattuale, al loro trasferimento non osta la già avvenuta estinzione del lato passivo di detto rapporto. Il trasferimento di tutti i crediti inerenti un determinato contratto, certamente ammissibile, comporta che detti crediti si trasferiscano al cessionario insieme con gli accessori, e con le eventuali loro limitazioni. In considerazione del loro stretto collegamento col diritto di credito, ad esempio, vanno considerati accessori, e quindi trasferiti al cessionario del credito, il diritto di scelta in caso di obbligazione alternativa, la facultas alternativa in caso di obbligazione semplice con facoltà alternativa, il diritto di costituzione in mora. Diversa è la sorte, però, di tutta una serie di altri diritti, che sono destinati a rimanere in capo al cedente in quanto non possono essere disgiunti dalla titolarità del rapporto contrattuale: diritto di denuncia o di disdetta nei contratti ad esecuzione continuata, diritto di risoluzione per inadempimento, diritto di annullamento per vizi del consenso. Per operare il trasferimento al cessionario di questi ultimi diritti, pertanto, non è sufficiente convenire una cessione del credito, ma occorre stipulare una cessione del contratto. Ciò significa che solo tramite l’istituto di cui all’art. 1406 c.c. è possibile, pur limitando il trasferimento al solo lato attivo, trasferire tutta una serie di diritti non trasferibili altrimenti, a cominciare dai diritti potestativi, i quali “ per la funzione che è ad essi propria debbono essere considerati come elementi indistaccabili del rapporto contrattuale, e la cui titolarità non può andare disgiunta dalla titolarità di quel rapporto ”(61). Quanto detto dimostra che persino volendo prescindere dalla potenzialità, che è propria della sola cessione del contratto, di attuare una sostituzione anche nel lato passivo, la differenza strutturale e funzionale con la cessione dei crediti derivanti da contratto emerge già dalla sola analisi delle conseguenze dei due istituti in ordine al lato attivo. Fondamentale, dunque, è la distinzione tra cessione di un contratto unilaterale, o bilaterale con prestazioni di una parte già eseguita, che è vera e propria cessione del contratto, e cessione delle sole ragioni creditorie dipendenti da un contratto, o, con altre parole, dei soli elementi attivi ex contractu. Solo se la fattispecie concreta di cessione degli elementi attivi non possa essere inquadrata, sulla scorta della sua struttura e della sua funzione, e dell’interpretazione della volontà delle parti, nello schema della cessione del contratto, allora si dovrà qualificare come cessione di crediti (sebbene di crediti di origine contrattuale), con applicazione della relativa disciplina, a cominciare dall’art. 1260 c.c., che considera valida l’operazione anche in assenza del consenso del debitore ceduto. Sennonché, va segnalata una originale posizione di dottrina(62), secondo cui sarebbe enucleabile una figura intermedia tra la cessione del contratto e la cessione del credito: la cessione della posizione contrattuale attiva. Questa figura dovrebbe riconoscersi nelle discusse ipotesi in cui viene ceduto un contratto unilaterale o un contratto bilaterale già eseguito da una delle parti: in questi casi, posto che trattasi di cessione della posizione contrattuale attiva, la quale “ comporta solo un diverso destinatario degli obblighi scaturenti dal contratto ”, non sarebbe necessario il consenso del ceduto. All’idea, per quanto suggestiva, va obiettato che il nostro ordinamento giuridico conosce istituti ben definiti che attuano la circolazione, rispettivamente: del credito (cessione di credito), del debito (accollo), della posizione contrattuale (cessione del contratto). Il richiamo di un ulteriore, non previsto, strumento giuridico, quello della cessione di posizione contrattuale attiva, per essere fondato e utile, dovrebbe partire dalla assoluta e comprovata impossibilità di trasferire i contratti unilaterali e quelli in cui è già stata eseguita la prestazione di una parte, attraverso l’istituto di cui agli artt. 1406 ss. c.c. Il problema, semmai, si sposta sul piano interpretativo di tali norme, al fine di dimostrare che esse, nonostante la formulazione, per certi versi troppo generica, per altri troppo angusta, si prestano a regolare la circolazione della posizione contrattuale nel rapporto giuridico allo stato in cui detto rapporto viene a trovarsi al momento della cessione: il subingresso avviene in un “ rapporto ”, non in un contratto (che del rapporto costituisce solo la fonte), e riguarda la complessiva posizione unitaria che ciascuna parte riveste, nel rapporto, in quel determinato momento. Il cessionario subentra ex nunc e non ex tunc nel rapporto; l’unica cosa che conta è la persistente esistenza di un rapporto, che questo non si sia ancora del tutto estinto. Finché un rapporto contrattuale esiste, allora esiste la possibilità dei privati, in ossequio al loro potere di scelta, di attuare la sostituzione soggettiva, che è sostituzione, o, se si preferisce, successione a titolo particolare, nella posizione occupata nel rapporto, che fino alla totale estinzione è sempre in itinere e contraddistinto da dinamicità e parziale aleatorietà. Ciò è altro dalla posizione occupata nel contratto quale fatto giuridico immobile e, se esente da vizi genetici, definito, nonché per natura statico. Per escludere la cedibilità ex artt. 1406 ss. c.c. dei contratti unilaterali o dei contratti bilaterali con prestazioni di una parte già eseguite, vi è allora solo una possibilità: dimostrare che la circolazione della qualità di parte del rapporto è, in quei casi, giuridicamente inutile. Una tale dimostrazione potrebbe seguire due percorsi logici: quello della inutilità in sé del risultato, ovvero quello della inutilità di ricorrere alla cessione del contratto per conseguirlo; in questo secondo caso, occorre però fornire una spiegazione convincente della possibilità di ottenere il medesimo risultato attraverso l’accollo e la cessione del credito. Questi due istituti, seppur combinati tra loro, non sono idonei a provocare il mutamento di titolarità di tutti i diritti potestativi e le azioni(63), né delle aspettative, né di altri elementi che compongono la complessiva posizione contrattuale ed alla cui acquisizione il cessionario è invece interessato, come i diritti di recesso, di denunzia, di disdetta, ecc. In definitiva, tornando adesso al quesito se sia opportuno ricorrere ad un tertium genus per ammettere il trasferimento della posizione contrattuale attiva (o passiva), la risposta è inequivoca. Il nostro ordinamento conosce: la cessione del credito, attraverso cui è possibile cedere la posizione attiva; l’accollo, mediante il quale si subentra nella posizione passiva; la cessione del contratto, che realizza la cessione della posizione contrattuale. La posizione contrattuale, che tecnicamente è posizione nel rapporto nato dal contratto, può in concreto inerire a diversi stadi del rapporto medesimo, e quindi il subingresso potrà avvenire, a seconda dei casi, in un rapporto nel quale: nessuna delle prestazioni ha avuto un inizio di esecuzione; entrambe le prestazioni hanno avuto parziale esecuzione; una delle prestazioni è stata interamente eseguita. In quest’ultimo caso, si avrà cessione della posizione contrattuale attiva o passiva (secondo che il cessionario subentri nella posizione di chi ha eseguito o in quella dell’altra parte); ma, in virtù della complessità del rapporto giuridico ed in conseguenza della concezione unitaria accolta dal nostro ordinamento, il subingresso nella posizione contrattuale attiva è cosa diversa dal trasferimento della mera posizione attiva, per il quale esiste la cessione dei crediti (così come il subingresso nella posizione contrattuale passiva è cosa diversa dal trasferimento della posizione passiva, per il quale esiste l’accollo dei debiti). Anche quando il cessionario subentrerebbe in una posizione contrattuale che presenta esclusivamente elementi attivi, rimane la necessità che la cessione si perfezioni col consenso del ceduto. Questa soluzione è, a volte, messa in dubbio, giacché si sostiene che al ceduto, quando non ha diritti ma solo obbligazioni, non interessi chi sia il soggetto attivo del rapporto, e dunque gli sia indifferente la sopravvenuta presenza di una controparte, diversa da quella originaria. Anche in tal caso, però, si sovrappone la cessione del credito alla cessione della posizione contrattuale: la superfluità del consenso del debitore, elemento caratterizzante il primo istituto, non può essere invocata con riguardo al secondo; seppure il ceduto occupi una posizione passiva nel rapporto, perché il cedente aveva già eseguito completamente la propria prestazione prima del trasferimento del contratto, egli non è mai un mero debitore. Egli è anche titolare delle eventuali garanzie spettantegli per contratto, e, soprattutto, dei diritti potestativi strumentali e delle eccezioni contrattuali. Il ceduto, ad esempio, può opporre l’eccezione di inadempimento o di inesatto adempimento; è pur vero che tali eccezioni possono essere opposte nei confronti del cessionario, quale nuova controparte contrattuale, ma il punto è proprio questo: non è possibile escludere il diritto del ceduto a scegliere la propria parte contrattuale, e, quindi, anche a valutare, in ossequio ad un principio di simmetria formativa, contro chi sia a lui conveniente rivolgere in futuro le proprie eccezioni. Anche perché, insieme con la posizione contrattuale, si trasferiscono obblighi di protezione e lealtà che non accedono, invece, al trasferimento del credito. La modificazione soggettiva del rapporto contrattuale comporta sempre, se pure solo allo stato potenziale, il rischio di un pregiudizio per chi sia parte di un contratto. Ecco perché il consenso del ceduto è sempre elemento imprescindibile del negozio di cessione; ecco anche perché, di norma, quando esso viene dalla legge escluso (c.d. cessioni legali) il sistema realizza precise tutele alternative della posizione del soggetto che subisce la modificazione (recesso per giusta causa, opposizione per gravi motivi, ecc.)(64). 7. — Il comma 3° dell’art. 1408 c.c. sancisce che, in caso di mancata liberazione del cedente, il ceduto deve dare notizia al cedente dell’inadempimento del cessionario. Se non ottempera entro quindici giorni da quello in cui l’inadempimento si è verificato, il ceduto è tenuto al risarcimento del danno. L’omessa comunicazione non comporta, quindi, la liberazione del cedente, che costituirebbe un grave pregiudizio per il ceduto, ma solo l’obbligo risarcitorio. Si incroceranno, in tal modo, due azioni di responsabilità: la responsabilità in via sussidiaria e subordinata del cedente (non liberato)(65); la responsabilità per asimmetria informativa del ceduto. Infatti, mentre sotto il profilo formale si tratta di un atto partecipativo non soggetto a vincoli particolari(66), sotto il profilo sostanziale, la comunicazione è oggetto di un vero e proprio obbligo da parte del ceduto(67), che corrisponde all’interesse del cedente di essere informato sull’andamento del rapporto tra cedente e cessionario, in modo da attivarsi affinché il cessionario adempia oppure di procurarsi in tempo utile la possibilità di adempiere in sua vece, dopo aver preso gli opportuni provvedimenti contro il cessionario medesimo. Il ceduto, in tale specifica situazione, da potenziale soggetto debole diviene il soggetto forte del rapporto: la sua forza si basa sul potere che gli deriva dalla rendita informativa. Ma poiché ad un maggior potere deve corrispondere una maggiore responsabilità, egli è tenuto a trasmettere l’informazione alla controparte (cedente), che ha nell’informazione medesima l’ineludibile presupposto per azionare una difesa nei confronti del terzo (cessionario). In definitiva, dall’esame condotto risulta un paradosso: le scelte alla base dell’introduzione codicistica dell’istituto della cessione del contratto, talvolta contrastate dalla dottrina più recente, risultano particolarmente attuali proprio alla luce di una più moderna lettura, tesa a rafforzare il legame tra autonomia contrattuale e simmetria informativa, nonché a ridurre la sperequazione economico-sostanziale correlata ai principi liberisti puri, grazie all’allargamento dell’orizzonte “ fino a fare del processo informativo il “ cuore del contratto ” e, quindi, della sua patologia, quando la stipula avviene in condizioni di asimmetria informativa ”(68). (1) Così Roppo, voce Contratto, in Dig. disc. priv. – sez. civ., IV, Torino 1989, p. 90, il quale rileva che i moderni complessi aziendali sono soprattutto, più chestock di beni, fasci di rapporti contrattuali intercorrenti con dipendenti, consulenti, fornitori, clienti. (2) Ascarelli, Proprietà e controllo della ricchezza, in R. trim. d. proc. civ., 1950, p. 754. (3) V. ampliusAlbanese, Della cessione del contratto, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 2008, p. 11 ss. Se la posizione contrattuale è bene economico, essa è idonea a comporre la posta attiva del patrimonio. Ciò potrebbe aprire interessanti prospettive in tema di responsabilità patrimoniale, soprattutto se si accede alle recenti impostazioni, secondo cui l’ambito della garanzia patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.) andrebbe esteso alla c.d. appartenenza indiziaria di cui all’art. 2910 c.c. Sul nesso tra art. 2740 e 2910 c.c., v. ad esempio Costantino, Note sulle tecniche di attuazione dei diritti di credito nei processi di espropriazione forzata, in R. trim., 1988, p. 126: “ Sul piano strettamente positivo, l’oggetto immediato della tutela del creditore, nei processi di espropriazione (il petitum, il risultato cui tende l’esercizio dell’azione esecutiva), non consiste nella soddisfazione del credito, bensì, ai sensi dell’art. 2910 c.c., nella trasformazione in denaro dei beni del debitore ”. (4) Scozzafava, I beni, in Tratt. Perlingieri, Napoli 2007, p. 2. Sul criterio di qualificazione dei beni, cfr. D’Amelio, Dei beni, in Comm. D’Amelio Finzi, Firenze 1942, p. 9; Pino, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in R. trim. d. proc. civ., 1948, p. 825, p. 833 ss.; Biondi, I beni, in Tratt. Vassalli, Torino 1956, p. 6; R. Franceschelli, L’oggetto dei rapporti giuridici, in R. trim. d. proc. civ., 1957, p. 59; Pugliatti, voce Beni (teoria generale), in Enc. dir., V, Milano 1959, p. 164;Costantino, I beni in generale, in Tratt. Rescigno, vol. 1, tomo I, Torino 1982, p. 8; De Martino, Beni in generale, Proprietà, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1976, p. 1; Messinetti, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano 1970, p. 312 s.; Allara, Dei beni, Milano 1984, p. 23 ss.; Scozzafava, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano 1982, p. 85. In particolare sul rapporto tra cosa e bene: Pugliatti, voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano 1962, p. 27; Zeno Zencovich, voce Cosa, in Dig. disc. priv. – sez. civ., IV, Torino 1990, p. 438. (5) Valentino, La circolazione del credito, in Briganti-Valentino, Le vicende delle obbligazioni. La circolazione del credito e del debito, in Tratt. Perlingieri, Napoli 2007, p. 4. (6) Nel diritto romano classico, l’obbligazione non poteva essere in alcun modo disgiunta dalla persona del debitore e del creditore: si poteva trasferire la proprietà ad un terzo, ma non era concepibile l’idea di trasferirgli un credito. Questo risultato veniva raggiunto attraverso la novazione, oppure avvalendosi delmandatum in rem suam: la novazione permetteva di sostituire al credito originario un nuovo credito con medesimo oggetto: a tal fine, il debitore stipulava, col consenso dell’originario creditore, un contratto con il nuovo creditore. Il mandato nell’interesse del mandatario consentiva, invece, al creditore di conferire ad un terzo il potere di recuperare il credito e trattenerne l’importo. L’idea romanistica dell’obbligazione come vincolo personale perdurò sino all’avvento del codice francese (art. 1689), che fu il primo a concepire il credito come bene suscettibile di circolazione autonoma. (7) La concezione del credito come bene è ormai acquisita, dopo gli studi di Giorgianni, voce Credito e creditore, in Nov. Dig., IV, Torino 1959, p. 1111; ePugliatti, Il trasferimento delle situazioni soggettive, I, Milano 1964, p. 28. (8) Pugliatti, voce Cosa (teoria generale), cit., p. 19: “ tra tutte le cose che possono divenire beni in senso giuridico, saranno tali soltanto quelle che in atto la norma considera oggetto di determinati diritti ”. (9) E. Bocchini, In principio erano le informazioni, in G. comm., 2008, I, p. 35. Per un’applicazione pratica di quest’idea al problema della sostituzione giuridica dell’imprenditore, v., dello stesso a., Sostituzione giuridica nell’attività d’impresa e asimmetria informativa, in questa Rivista, 2007, I, p. 341. (10) Di norma, il ceduto comunicherà il proprio consenso alla cessione sia al cedente sia al cessionario. Può però accadere che egli renda manifesta l’accettazione soltanto al cessionario, e si rivolga poi al cedente, ciò nonostante, per ottenere la prestazione che ormai, per effetto dell’avvenuta cessione, è a carico del cessionario. Il consenso successivo, infatti, sia che lo si configuri come dichiarazione con natura costitutiva, sia che lo si qualifichi come “ approvazione ”, è comunque idoneo ad attuare il trasferimento della posizione contrattuale, sebbene venga comunicato al solo cessionario. Ebbene, il cedente che, inconsapevole dell’avvenuto perfezionamento del negozio di cessione, effettua la prestazione nei confronti del ceduto che gliela richiede, esegue una prestazione indebita. Precisamente, la sua prestazione costituisce un indebito soggettivo ex latere solventis, perché l’accipiens, ossia il ceduto, è il vero creditore di quella prestazione, ma colui che la esegue non è il reale debitore: tale è, per effetto della cessione, il cessionario. Nella specie, poiché la conclusione della cessione, da cui discendono il trasferimento dell’obbligazione in capo al terzo e l’uscita dal rapporto del cedente, dipende proprio dalla manifestazione di volontà del ceduto, deve concludersi che il ceduto che riceve la prestazione dal cedente non possa essere in buona fede. Vale a dire che vi saranno, di norma, circostanze univoche tali che egli possa rendersi conto che il cedente è convinto, erroneamente, di adempiere un debito proprio, tutte le volte in cui il cedente stesso non dichiari di voler pagare per il cessionario. (11) Il codificatore del ’42 si è emancipato dalla tradizione romano-francese, che non riconosce espressamente la cessione convenzionale del contratto, ed ha nel contempo conformato il fenomeno della circolazione del rapporto obbligatorio alle mutate esigenze della prassi, apportando all’intero ordinamento un elemento di modernità che continua a mancare, salvo poche eccezioni (cfr. il codice civile olandese e quello portoghese del 1966, che all’art. 424 ss. regola, in termini unitari, la “ cessione della posizione contrattuale ”), negli altri due grandi modelli giuridici occidentali: quello romano-germanico e quello di common law. (12) E. Bocchini, In principio erano le informazioni, cit., p. 45, nonché, a p. 48. (13) Cfr. rubrica art. 1406 c.c. Si noti, inoltre, che già l’art. 1573 c.c. 1865 parlava di “ cessione di affitto ”. (14) Art. 1406 c.c.: “ Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto ”. (15) Il cedente, a rigore, non esce dal contratto, ma dal rapporto, così come il cessionario non subentra, né potrebbe farlo, nel fatto compiuto dal cedente e dal ceduto, bensì nel rapporto intercorrente tra questi due soggetti. È in tal senso che egli diventa controparte del ceduto: il fatto si compie, il rapporto si svolge; mentre il contratto si è già compiuto, il rapporto è in corso di svolgimento, e si tratterà, piuttosto, di capire in concreto fino a che punto il rapporto sia ancora vivo o si sia esaurito; è questa linea che segna il discrimine tra cedibilità ed incedibilità della posizione di parte. Che è, dunque, una posizione di parte del rapporto. (16) Osserva Panuccio, voce Cessione di diritti. b) Cedibilità e cessione di diritti e di situazioni giuridiche, in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 830, che il trasferimento denota un effetto, una particolare modificazione giuridica soggettiva, considerata dal punto di vista del dante causa; nella cessione, invece, non viene in considerazione né il soggetto trasmittente né l’accipiens. (17) Si è già chiarito l’atecnicismo della nozione di “ cessione del contratto ” con riguardo alla cessione-atto. Ciò vale, parimenti, per la cessione-effetto. Riferire l’espressione all’effetto può condurre, come infatti è avvenuto, sulla strada dell’equivoco: si è affermato che il subingresso, la sostituzione del terzo all’originario contraente, non avrebbe luogo soltanto nei “ rapporti derivanti da un contratto ” (art. 1406 c.c.), ma “ nella stessa fonte regolatrice dello svolgimento e della esecuzione dei rapporti anzidetti, assoggettandosi ad essa, così come, prima della cessione, vi era assoggettato il cedente ” (M. Andreoli, La cessione del contratto, Padova 1951, p. 9). È vero, al contrario, che il cessionario è terzo rispetto al contratto, ma parte del rapporto; è in quest’ultimo che subentra, mentre non v’è, né potrebbe esservi, alcuna successione nella fonte regolatrice del rapporto. Il cessionario non è parte del contratto ceduto, ma dei rapporti che derivano da quel contratto: quando si dice che la cessione inerisce “ alla posizione contrattuale ”, deve intendersi “ alla posizione occupata nel rapporto contrattuale, al momento della cessione, dal cedente ”; quando si afferma che si trasferisce la qualità di parte, si è nel giusto solo se si allude alla qualità di parte del rapporto contrattuale, non del contratto (Per Allara, Pagine di teoria delle vicende del negozio giuridico, a cura di C. Sarasso, Milano 1983, p. 116, “ oggetto della cessione non è il contratto ma la situazione giuridica che è derivata dalla stipulazione del contratto ”). (18) Per i singoli punti rinvio ad Albanese, Della cessione del contratto, cit., pp. 180-215. (19) L’impostazione tradizionale muove proprio dalle caratteristiche della novazione per concludere che attraverso la cessione non è possibile apportare modifiche, qualitative o quantitative, al contratto ceduto: se il rapporto ceduto non rimane immutato, si dice, non si avrà cessione del contratto, ma novazione. È possibile obiettare che la modifica del rapporto non equivale alla estinzione del rapporto, giacché l’identità fondamentale può rimanere nonostante la modifica. Si tratta piuttosto, di distinguere tra modifiche che non incidono su tale identità e modifiche che la pregiudicano, tenendo presente che, affinché la modifica dell’oggetto del contratto integri una novazione, occorre che la nuova obbligazione sia incompatibile con il persistere della obbligazione originaria. Ad esempio, poiché non è sufficiente ad integrare novazione del contratto di locazione la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, non v’è ragione per impedire ai privati di concordare tali modificazioni accessorie al momento della cessione del contratto. Parimenti, poiché non sussiste novazione nel caso in cui in un contratto di vendita vi sia la semplice modificazione del prezzo, fermi restando gli altri elementi, può continuare a riconoscersi una cessione del contratto di vendita nel negozio con cui le parti, nell’attuare la modificazione soggettiva della parte venditrice o della parte compratrice, apportano, sotto il profilo oggettivo, una correzione del prezzo. Per sconfinare dalla cessione del contratto alla novazione, occorre che alla modificazione soggettiva del rapporto (ossia al subingresso del cessionario al cedente) si accompagni un mutamento sostanziale dell’obbligazione e, cioè, che con la seconda obbligazione siano apportati, alla prima, cambiamenti riguardanti l’oggetto della prestazione o la natura giuridica dell’obbligazione che trasformino questa in una nuova obbligazione incompatibile con la prima, così spezzando il nesso di derivatività tra i soggetti. Diversamente, si ha continuità nonostante il mutamento. (20) Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma 1951, 3a ed., p. 188 ss.; Id., Recensione a Cicala, Il negozio di cessione del contratto, in R. d. proc., 1960, p. 87; Pacchioni, Trattato delle obbligazioni secondo il diritto civile italiano, Torino 1927, p. 259; Gorla, L’assegnazione giudiziale dei crediti, Padova 1935, 2a ed., p. 190 ss.; Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano 1935, p. 138 ss.; Ravà, Il titolo di credito nella teoria dell’acquisto dei diritti, Milano 1936, p. 36 ss. La discussione sul tema era stata avviata dalla dottrina tedesca: Kuntze, Die Obligation in die Singularsuccession des römischen un heutigen Rechts, Seipzig 1856, §§ 15-20. (21) Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli 1977, p. 31 ss. (22) Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1966, 9a ed., p. 89. (23) Mengoni, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Jus, 1976, p. 5. (24) Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft, Berlin 1975, 3a ed., p. 14. (25) Astuti, voce Cessione (storia), in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 805. (26) Starck, Droit civil, Obligations, III, Paris 1998, p. 3. (27) Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano 1967, p. 92: “ il concetto di successione soddisfa il bisogno di continuità della vita giuridica; la continuità implica un susseguirsi nel tempo di situazioni, che per certi lati mutano e per altri restano identiche; il fattore di identità, che salvaguarda la continuità del mutamento e collega il prima e il dopo, deve essere rinvenuto sul terreno giuridico ”. (28) Panuccio, op. cit., p. 823. (29) Cass. 9 dicembre 1997, n. 12454, in Rep. F. it., 1998, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 13. (30) Rescigno, Studi sull’accollo, Milano 1958, p. 71; Zaccaria,Cessione del contratto e garanzia della sua validità, in questa Rivista, 1985, I, 266; A.M. Benedetti,La cessione del contratto, Milano 1998, p. 55; Alpa-Fusaro, voce Cessione del contratto, in Dig. disc. priv. – sez. civ., II, Torino 1988, p. 345. (31) Cass., sez. lav., 7 maggio 2001, n. 6349, in Rep. F. it., 2001, voce Contratto in genere, n. 359; Cass. 29 novembre 1993, n. 11847, in Rep. F. it., 1993, voce Contratto in genere, n. 399; Cass. 20 novembre 1993, n. 11847, in Mass. Giust. civ., 1993, p. 1695. (32) Zaccaria, Cessione del contratto e garanzia della sua validità, in questa Rivista, 1985, I, p. 258. (33) Intesa quale scienza che “ si occupa dell’economia delle relazioni contrattuali che hanno luogo in condizioni di conflitto caratterizzate da informazione asimmetrica ” (Ziliotti, L’economia dell’informazione, Bologna 2001, p. 8). (34) Zaccaria, op. cit., p. 264. Conf. R. Clarizia, La cessione del contratto, in Comm. Schlesinger, Milano 2005, 2a ed., p. 61, secondo cui sia nell’ipotesi di consenso preventivo, sia in quella di consenso successivo, “ la configurazione di una struttura trilaterale della cessione del contratto… non appare più adeguata ”. Anche per Roppo, Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2001, p. 593 s., quando “ la cessione non innova la posizione del ceduto nei suoi elementi obiettivi, ma la tocca nella sola dimensione soggettiva di un mutamento della controparte contrattuale, il consenso del ceduto è pur sempre necessario, ma può esseremeno “pesante” di un vero e proprio consenso contrattuale: si configura allora come semplice autorizzazione (se dato prima della cessione) o approvazione (se dato dopo). In tal caso la cessione è contratto a due sole parti — cedente e cessionario —, mentre il ceduto non ne è parte ”. (35) Zaccaria, op. cit., p. 259. Conf. Anelli, Cessione del contratto, in questa Rivista, 1996, p. 282, secondo cui la difformità di piani che, pur non ponendosi formalmente in contrasto tra loro, presentano le due disposizioni dell’art. 1406 c.c. e dell’art. 1407, comma 1°, “ si rivela, per esempio, nel fatto che il connotato causale della cessione del contratto si coglie precipuamente all’interno del rapporto fra cedente e cessionario, nella possibile diversità della consistenza formale della dichiarazione di volontà del ceduto rispetto a quella delle altre parti ”. (36) Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano 2002, 2a ed., p. 722 ss. Roppo, Il contratto, cit., p. 593. ContraCarresi, Il contratto, Milano 1950, p. 865. (37) Peraltro, potrebbe anche sostenersi che un consenso della società esista, e sia il consenso preventivo alla circolazione della partecipazione sociale secondo le regole della s.p.a., concesso da ciascun socio con la stipula del contratto sociale. Così, De Martini, Effetti e limiti legali e statutari nella circolazione delle partecipazioni sociali, in R. d. comm., 1954, II, p. 434; Santini, Natura e vicende della quota di società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 1962, I, p. 465: “ la cessione si perfeziona inter partes e l’art. 1407… rende efficace la cessione nei confronti della parte contraente ceduta “dal momento in cui le è stata notificata o in cui l’ha accettata”. La presenza di un libro destinato a registrare i trasferimenti ha peraltro indotto il legislatore a mutare lievemente, senza snaturarla, questa disposizione, adattandola all’ipotesi specifica ”. (38) Cedere il contratto di viaggio è un diritto del consumatore, il quale ha semplicemente l’onere di comunicare per iscritto al ceduto, entro quattro giorni lavorativi prima della partenza, la sua impossibilità ad usufruire del pacchetto turistico e le generalità del soggetto che lo sostituirà. La protezione dell’interesse del ceduto ad essere parte del negozio di sostituzione e ad avere un ruolo attivo nella scelta della nuova controparte contrattuale, nella specie, è posta in secondo piano in considerazione della condizione soggettiva di una delle parti del contratto oggetto di cessione, il consumatore, verso il quale la legge mantiene, anche in questo caso, l’usuale atteggiamento protezionistico. (39) Siamo nel campo delle c.d. clausole di squilibrio: la facoltà del professionista di cedere il contratto, in modo da indebolire la tutela dei diritti del consumatore, si risolve nell’imposizione a quest’ultimo di prestazioni eccessive e inique rispetto alle controprestazioni. Non si tratta, invece, di una clausola di sorpresa, giacché non espone il consumatore al rischio di trovarsi esposto a situazioni contrattuali diverse e che non poteva prevedere al momento del contratto. La ratio è di proteggere il consumatore, impedendo al professionista di provocargli, attraverso la cessione della propria posizione contrattuale, una diminuzione della tutela giuridica, ad esempio facendo subentrare nel rapporto un non professionista. (40) La nullità della clausola di preventivo consenso alla cessione comporta che il consumatore-ceduto potrà continuare ad esigere la prestazione dall’originario professionista-cedente, e potrà rifiutarsi di riceverla dal cessionario. L’affidamento di quest’ultimo (che potrebbe aver legittimamente confidato nella conclusione di un regolare contratto, visto il consenso preventivo del ceduto) potrà invece avere tutela con il risarcimento del danno a carico del cedente. (41) Ed infatti la giurisprudenza nega che una tale clausola debba essere specificamente approvata per iscritto: a proposito della cessione del contratto di lavoro col consenso del lavoratore, la Suprema Corte ha affermato che essa “ può conseguire anche al consenso prestato in via preventiva all’atto dell’assunzione senza che ciò costituisca clausola vessatoria da approvare specificamente per iscritto ex art. 1341, comma 2°, c.c. ” (Cass., sez. lav., 10 giugno 1986, n. 3845,in R. giur. lav., 1987, II, p. 98). (42) Cass. 25 agosto 1986, n. 5159, in Mass. Giust. civ., 1986, p. 1494; Cass. 24 giugno 1992, n. 7752, in G. it., Rep., 1992, voce Obbligazioni e contratti, n. 327. Conf. Cass. 20 luglio 1971, n. 2335, in F. it., 1972, I, c. 1361, con nota di Bruscuglia, Cessione del contratto, buona fede e condizione sospensiva; Cass. 9 agosto 1990, n. 8098, in Mass. Giust. civ., 1990, p. 1502. (43) Cass. 31 marzo 1987, n. 3102, in Rep. F. it., 1987, voce Contratto in genere, n. 360. Quanto, specificamente, al consenso successivo, v. Cass. 15 marzo 2004, n. 5244, in Gius, 2004, p. 2971. (44) Cass. 15 luglio 1960, n. 1932, in Mass. Giust. civ., 1960, p. 721; Cass. 14 maggio 1962, n. 999, in Giust. civ., 1962, I, p. 1906; Cass. 20 ottobre 1972, n. 3170, in F. it., 1973, 1, c. 701; Cass. 20 marzo 1976, n. 1009, in Mass. Giust. civ., 1976, p. 434; Cass. 9 agosto 1990, n. 8098, ivi, 1990, p. 1502; Cass. 15 marzo 2004, n. 5244, in Gius, 2004, 2971; Cass. 14 luglio 1994, n. 6602, in D. giur. agr. amb., 1994, p. 552, con nota di Triola; Cass. 14 luglio 1994, n. 6602,in D. giur. agr. amb., 1994, p. 552; Cass. 15 marzo 2004, n. 5244, in Gius, 2004, p. 2971. (45) La configurazione della cessione come contratto necessariamente trilaterale si riflette sulle fasi patologiche del negozio: il giudizio, caratterizzante i contratti plurilaterali, volto a vagliare la essenzialità o meno della partecipazione viziata, non può trovare alcuno spazio nella cessione del contratto, ove ogni singola partecipazione è sempre essenziale. Se manca o è viziata o è difettosa la dichiarazione o la prestazione di uno dei tre soggetti (ad es. per dolo o errore), il risultato finale del negozio, ossia la sostituzione soggettiva nella posizione contrattuale, non potrà mai essere raggiunto, sicché è sempre l’intero contratto di cessione a rimanerne coinvolto. Per altri versi, si è giustamente osservato che “ proprio l’unitarietà del contratto di cessione comporta un adeguato adattamento delle norme in tema di vizi della volontà e di risoluzione ” (R. Clarizia, op. cit., p. 56 ss.). Quando, ad esempio, ai fini dell’annullabilità, la legge richiede che errore e dolo siano riconoscibili dalla controparte, la trilateralità impone il riconoscimento delle altre due parti del negozio. Se per uno dei tre soggetti l’errore o il dolo non era riconoscibile, la cessione non è annullabile: diversamente, verrebbero lesi i diritti legittimamente acquistati da una delle parti (la parte che non era in condizioni di riconoscere l’errore). Nel contempo, però, non può essere pregiudicata la parte lesa (che è caduta in errore o è stata vittima del dolo), la quale non può agire in annullamento: ad essa va pertanto riconosciuta la possibilità di agire ex art. 2043 ss. c.c. in caso di dolo ed ex art. 1337 c.c. in caso di errore. Lo stesso ragionamento vale per l’ipotesi di simulazione o di illiceità dello scopo: se non sono coinvolti tutti e tre i soggetti, la cessione rimane valida, ferma la possibilità della parte interessata di agire per la dichiarazione di nullità dei singoli accordi bilaterali o di esperire le azioni restitutorie. (46) Particolarmente rigido Carresi, op. cit., p. 51, secondo il quale la sostituzione in un contratto stipulato intuitu personae della parte assunta in considerazione delle sue particolari qualità, provocherebbe una modificazione oggettiva del contratto attuabile soltanto ricorrendo allo schema della novazione. (47) Galasso, La rilevanza della persona nei rapporti privati, Napoli 1974, p. 124. (48) P. Clarizia, La cessione del contratto, Salerno 1946, p. 68; G. Fontana, Cessione del contratto, in R. d. comm., 1934, I, p. 210 s. (49) Carbone, La cessione del contratto, in Tratt. Bessone, La cessione del contratto, vol. XIII, Il contratto in generale, tomo VI, Torino 2000, p. 350: “ La “nullità” o l’“inesistenza” giuridica del contratto oggetto del trasferimento travolge anche il contratto di cessione, in base ad un principio più volte espresso dall’ordinamento (art. 1234 e 1972 c.c.), secondo cui la nullità del negozio presupposto non può non estendersi a quello di secondo grado ”. (50) Panuccio, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, Milano 1955, p. 127; Zaccaria, Cessione del contratto e garanzia della sua validità, cit., p. 291. (51) Infatti, “ l’obbligo di risarcimento è da considerare come “secondario” rispetto all’impegno traslativo assunto con la cessione: l’originaria prestazione, cioè, a causa dell’inesistenza del contratto alienato, va intesa assumere un diverso contenuto — il risarcimento —, ma nel permanere della sua identità giuridica. E per tale ragione al cessionario deve essere riconosciuta una duplice possibilità: esercitare la garanzia, ma subordinatamente al pagamento del prezzo della cessione, dato che quest’ultima sarebbe pur sempre valida; oppure chiedere la risoluzione del contratto, ottenendo, per tale via, una somma inferiore, pari, cioè, alla differenza tra il pieno interesse positivo ed il valore della controprestazione, ma rimanendo liberato dall’obbligo di attuare quest’ultima ” (Zaccaria, op. cit., p. 291 s.). (52) Così, sulla distinzione tra analisi economica del diritto ed economia dell’informazione, E. Bocchini, In principio erano le informazioni, cit., p. 44 s., ove anche l’invito a ravvisare nella simmetria informativa un punto di incontro e di nuovo equilibrio tra scienza economica e scienza giuridica. (53) Nel linguaggio dell’economia dell’informazione e della comunicazione, si parla di “ selezione ” quando l’attività comunicativa scaturisce dall’iniziativa della parte più informata, di “ segnalazione ” quando l’iniziativa a comunicare informazioni è presa dalla parte meno informata. Cfr. Gambaro-Ricciardi, Economia dell’informazione e della comunicazione, Roma-Bari 1997, p. 91; Ziliotti, L’economia dell’informazione, Bologna 2001, rispettivamente p. 79 ss. e p. 97 ss. (54) Il riferimento è alla celebre teoria, fondata sull’esempio delle automobili usate, di Akerlof, The market for lemons. Quality uncertainty and the market mechanism, in Quarterly Journal of Economics, 1970, p. 84. (55) Carbone, op. cit., p. 354. (56) Cfr. Pescatore, Cessione del contratto ed interpretazione, in R. trim. d. proc. civ., 1999, p. 587, il quale si occupa specificamente del problema, attraverso una analisi lucida che perviene a conclusioni condivisibili. (57) Pescatore, op. cit., p. 588. (58) Oppo, Scritti giuridici, III, Padova 1992, p. 181 s. (e, già prima, in Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna 1943). (59) Cfr. Corte cost. (ord.) 10 marzo 2006, n. 95, in Impresa, 2006, p. 675. (60) Parimenti, se si cede il solo lato passivo mantenendo inalterato il lato attivo del rapporto, non si ha un trasferimento del rapporto contrattuale, con la conseguenza che il cedente continua ad essere destinatario delle dichiarazioni o azioni con cui la controparte esercita i propri diritti potestativi, inseparabili dal rapporto medesimo. (61) Puleo, op. cit., p. 48. (62) Bianca, op. cit., p. 727 s. (63) Si esclude, ad esempio, che la cessione del credito comprenda, come effetto naturale, il trasferimento dell’azione di risoluzione del contratto (da cui il credito è sorto): cfr. Perlingieri, Cessione dei crediti, in Comm. Scialoja-Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma 1982, p. 153; Cass. 28 aprile 1967, n. 776, in F. it., 1967, I, c. 1822. (64) V. ampiamente Albanese, Della cessione del contratto, cit., pp. 45-94. (65) Infatti, alla mancata liberazione del cedente consegue il mantenimento, in capo a quest’ultimo, della responsabilità, ma in via subordinata rispetto alla responsabilità del cessionario. Il ceduto può agire contro l’originario contraente “ qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte ”. Ne deriva che manca quella caratteristica, propria invece delle obbligazione solidali, secondo cui i diversi debitori sono obbligati in pari grado nei rapporti esterni, di modo che il creditore può indifferentemente richiedere la prestazione a ciascuno di essi (è ovvio che il contrasto si attenua se si accoglie quell’indirizzo di pensiero che tende a inquadrare la sussidiarietà nell’alveo della solidarietà, sebbene attenuata: sul punto, v. Carbone, La cessione del contratto, cit., 332; Clarizia, La cessione del contratto, cit., 127). Il cedente è obbligato in virtù di una fattispecie autonoma di responsabilità: il ceduto può richiedergli la prestazione solo in caso di mancato adempimento da parte del cessionario, che è il debitore in via principale ed al quale deve quindi, in prima battuta, rivolgersi. La richiesta di adempimento al cessionario, rimasta insoddisfatta, è presupposto sufficiente perché il ceduto si rivolga al cedente, senza che sia necessaria, altresì, la preventiva escussione del cessionario inadempiente (Relazione ministeriale al codice civile, n. 642). D’altra parte, la soluzione della solidarietà, che avrebbe concesso al ceduto di agire, indifferentemente, contro il cessionario e contro il cedente, avrebbe contraddetto la funzione dell’istituto di integrale trasferimento del contratto; la sussidiarietà, all’opposto, risponde a questa esigenza di coerenza, solo parzialmente sacrificata, dalla riserva del ceduto di non liberare il cedente, in ossequio al principio di autonomia delle parti. (66) Talvolta imposto dai giudici anche nelle cessioni legali: Trib. Pavia 24 giugno 1988, in G. mer., 1990, 68, ha infatti affermato che “ anche in tema di cessione del contratto di locazione in conseguenza della cessione dell’azienda, di cui all’art. 36 legge n. 392 del 1978, vige il principio generale di cui all’art. 1408 c.c. che impone al contraente ceduto di comunicare al cedente entro 15 giorni l’inadempimento del cessionario ”. (67) Carresi, La cessione del contratto, Milano 1950, 102, invece, ritiene trattarsi di un onere. Si tratta di un obbligo che può farsi rientrare nell’ambito applicativo del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cessione per Maiorca, Il contratto, Torino 1981, 404. (68) E. Bocchini, Introduzione al diritto commerciale nella new economy, Padova 2001, p. 98 s., ove applicazione del principio, sotto l’aspetto dell’informazione, alle materie dei prodotti finanziari, dei contratti di impresa e dei titoli di credito. Contenuto Riservato!
Il “ modello italiano ” di cessione del contratto, dunque, rappresenta una sperimentazione di grande utilità all’interno di quel ben noto processo di “ omogeneizzazione ” che pervade tutto il settore delle obbligazioni, tanto più che tra le novità introdotte nei nuovi principi Unidroit pubblicati nell’aprile 2004, si rinviene una specifica disciplina della cessione del contratto. La Sezione 3 dei Principi Unidroit, intitolata “ La cessione dei contratti ”, all’art. 9.3.1. fornisce la definizione dell’istituto: “ Per “cessione di contratto” si intende il trasferimento mediante accordo da una persona (il “cedente”) ad un’altra (il “cessionario”) dei diritti e delle obbligazioni del cedente derivanti da un contratto concluso con un’altra persona (il “terzo”) ”; l’art. 9.3.3. prescrive la necessità del consenso del terzo, ammettendo (art. 9.3.4.) che questi possa prestare il proprio consenso in anticipo e chiarendo che in tal caso la cessione diviene efficace quando egli ne è stato avvisato o l’ha accettata. Si può apprezzare l’affermazione, già sancita dal nostro art. 1406 c.c., del carattere costitutivo del consenso del ceduto, in assenza del quale il trasferimento ha solo un’efficacia obbligatoria tra cedente e cessionario, così come positiva è la previsione di un consenso preventivo, anch’essa delineata in coerenza con il disposto del nostro art. 1407 c.c. E tuttavia l’adozione del nomen dell’istituto, cessione del contratto, poteva spingere, con maggior coraggio, a definire il fenomeno in termini di trasferimento di posizione contrattuale anziché di trasferimento “ dei diritti e delle obbligazioni ”, ma è evidente che si è scontato il ritardo che la gran parte dei sistemi nazionali hanno accumulato nella stessa elaborazione concettuale della posizione contrattuale quale bene idoneo alla circolazione.
La ratio della notifica è assicurare al ceduto che, a partire da quel momento, egli potrà tranquillamente adempiere nelle mani del cessionario e potrà da questi pretendere e ricevere la prestazione: in altre parole, il ceduto vede soddisfatto il proprio interesse a conoscere chi sia la sua controparte contrattuale. La cessione, dunque, è già perfetta, e l’assenza di notifica al ceduto (o di accettazione, che è un atto giuridico ricognitivo con cui il ceduto prende atto della cessione e riconosce nel cessionario il nuovo titolare del rapporto contrattuale), secondo la Suprema Corte, non rende né nullo né inefficace l’accordo intervenuto tra cedente e cessionario, ma semplicemente inopponibile nei confronti del ceduto fin quando l’onere formale non sia stato adempiuto (Cass. 9 agosto 1990, n. 8098, in Mass. Giust. civ., 1990, p. 1502). Emerge, così, una diversità effettuale tra cessione con consenso preventivo non notificata e cessione senza consenso preventivo. Anelli, op. cit., p. 284); Id., La cessione del contratto, in Tratt. Contratti-Rescigno, II, I contratti in generale, a cura di Gabrielli, p. 1191 s., ritiene difficile, se non ricorrendo ad un esasperato concettualismo, giustificare perché, nell’uno e nell’altro caso, il trattamento giuridico dell’accordo tra cedente e cessionario debba essere diverso. Suggerisce, quindi, di generalizzare la conclusione giurisprudenziale ora riportata, estendendola anche al caso di consenso preventivo. A differenza dell’ipotesi di consenso successivo, quindi, nella quale l’accordo tra cedente e cessionario, finché non intervenga la dichiarazione del ceduto, non dà vita alla cessione del contratto, nell’ipotesi di consenso preventivo, l’accordo seguente tra le altre due parti comporta che la cessione nasca validamente. Soltanto, essa non è efficace finché non sia stata notificata o accettata. È evidente, tuttavia, che, agli effetti pratici, sebbene il negozio sia già perfetto, in assenza di notifica o accettazione esso è del tutto inoperante; con la singolare conseguenza che lo schema in questione (consenso preventivo + accordo cedente-cessionario), sebbene sulla carta valido e già perfetto, conduce alle stesse conseguenze dell’accordo tra cedente e cessionario senza consenso del ceduto, che costituisce una cessione nulla o persino inesistente per mancanza della necessaria trilateralità. L’anomalia è superata se si conviene che, laddove una cessione senza consenso del ceduto (in quanto tale, ossia al di fuori di una cessione di crediti e di un accollo eventualmente ravvisabili nell’operazione) è priva di qualsiasi effetto giuridico, la cessione formatasi secondo lo schema di cui all’art. 1407, comma 1°, c.c., anche in assenza (o in attesa) di notifica o accettazione, produce comunque il trasferimento del rapporto in capo al cessionario nei limiti in cui ciò non intacchi la posizione del ceduto. Il fatto che il negozio di cessione sia considerato come un negozio validamente perfezionatosi, non può essere privo di rilievo, e induce ad avere considerazione anche per la posizione del cessionario. Con la conseguenza che il mantenimento, nei confronti del ceduto, degli atti che presuppongono la legittimazione del cedente, ha senso nei limiti in cui sia concretamente giustificato da un’esigenza di salvaguardia del ceduto; mentre, se non sussiste questa ragione, l’esigenza di tutela del cessionario, quale titolare del rapporto, torna a prevalere (Bianca, op. cit., p. 723).
Altra questione è quella della eventuale necessità di riapprovare per iscritto le singole clausole vessatorie del contratto-base, anche in sede di stipula del negozio di cessione. Ma si è giustamente osservato che “ la cessione del contratto serve a rendere possibile la circolazione dello stesso nella sua interezza e non è pertanto necessario che il cessionario sottoscriva le clausole particolarmente onerose con una nuova e specifica accettazione già pertinente alla posizione giuridica del cedente suo dante causa ” (Pret. Roma 20 febbraio 1956, in Temi rom., 1957, p. 44).
Un discorso a parte va fatto per la risoluzione, giacché parte della dottrina esclude in radice che la cessione del contratto possa esservi soggetta (salva l’ipotesi che il negozio sia stato assoggettato ad una condizione risolutiva). Si muove, infatti, dalla constatazione che la cessione del contratto produce immediatamente, in forza del solo consenso legittimamente manifestato, il suo unico effetto essenziale, ossia il subingresso del cessionario nella posizione giuridica del cedente. La cessione, dunque, non genera obbligazioni a carico degli stipulanti (se non in via eventuale), e ciò significa che la particolare fisionomia dell’istituto rende inapplicabile “ una qualsiasi forma di risoluzione: tanto quella per inadempimento che quella per sopravvenuta impossibilità o per sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione ” (Carresi, op. cit., p. 120). La correttezza della premessa non porta necessariamente, però, alla conclusione riportata: il trasferimento della posizione contrattuale per effetto del solo consenso impedisce di configurare un inadempimento; ma non esclude che altre prestazioni, dalla tesi summenzionata sbrigativamente descritte come “ secondarie ”, siano state invece considerate come essenziali dalle parti: in tal caso il loro inadempimento, se dal giudice valutato grave ai sensi dell’art. 1455 c.c., potrà condurre alla risoluzione della cessione. Ad esempio, poiché il cedente è tenuto a consegnare al cessionario il documento contenente il contratto ceduto, una difformità sostanziale tra contratto ceduto e contratto consegnato potrebbe comportare il diritto del cessionario di domandare la risoluzione della cessione ed il risarcimento del danno (Mossa, Vendita di contratto, in R. d. comm., 1928, II, p. 633 ss.; M. Andreoli,La cessione del contratto, Padova 1951, p. 48; Puleo, La cessione del contratto, Milano 1939, p. 82. Ammette in generale la risoluzione R. Clarizia, op. cit., p. 58). Queste considerazioni valgono anche per la rescissione per lesione, fermo che, sempre in considerazione della struttura trilaterale della cessione, sarà necessario che dell’approfittamento nei confronti della vittima siano compartecipi le altre due parti. Parimenti, la revocazione ex art. 2901 c.c. della cessione potrà aver luogo solo ove in capo ad entrambe le controparti siano ravvisabili la scientia damni ed il consilium fraudis.
Venuti meno, per nullità, annullamento, risoluzione o rescissione, gli effetti del negozio di cessione, controparte del ceduto torna ad essere il cedente, il quale rioccupa la posizione di parte del contratto-base, e riacquista quindi i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti del ceduto. Non è da escludere che quest’ultimo sia legittimato a intentare azioni risarcitorie. Quando la cessione viene impugnata, infatti, potrebbe accadere che il ceduto, il quale si era attrezzato per eseguire la propria prestazione nei confronti del cessionario ed era pronto a ricevere da lui la controprestazione, lamenti un danno, in ragione del proprio affidamento deluso, contro chi (cedente o ceduto) per colpa o dolo abbia dato causa all’impugnazione (Roppo, Il contratto, cit., p. 598).
Nonostante le suesposte argomentazioni, i giudici di legittimità (Cass. 1 giugno 2004, n. 10485, in Corr. giur., 2005, 42, con nota di Rolfi, Locazione e cessione del contratto: verso un ampliamento della tutela del locatore) continuano a inquadrare la fattispecie nell’alveo delle obbligazioni solidali. Essi affermano che la moltiplicazione delle posizioni soggettive passive dei rapporti, verificatasi a seguito dell’ingresso del cessionario, riproduce il fenomeno noto sotto il nome di “ successione cumulativa ”: espressione che, benché contraddittoria, indica chiaramente la permanenza dell’obbligo originario, quindi l’identità dell’obbligo, di cui ora rispondono il vecchio ed il nuovo debitore. Ne consegue che il cedente risponde solidalmente nei confronti del ceduto delle obbligazioni scadute successivamente alla cessione, ma anche il cessionario risponde solidalmente verso il ceduto (salva diversa volontà delle parti) delle obbligazioni non adempiute dal cedente. Pertanto, proseguono, “ la questione posta dalla dottrina, in tema di cessione di contratto in generale, e cioè che non di obbligazione solidale si tratterebbe, ma di responsabilità sussidiaria o subordinata, con la conseguenza che il creditore ceduto avrebbe l’onere prima di chiedere l’adempimento al cessionario di rivolgersi al cedente, non può essere condivisa, poiché essa finisce per introdurre anche in questa ipotesi una sorta di beneficium ordinis, che è stato invece costantemente escluso dalla giurisprudenza ” (e v., infatti, Cass. 4 marzo 1995, n. 2517, in Rep. F. it., 1995, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 49). Si tratta, quindi, di obbligazione solidale. Con la conseguenza che “ i rapporti interni tra gli stessi sono regolati dall’art. 1298 c.c., per cui l’obbligazione si divide secondo le parti che fanno carico a ciascuno dei debitori solidali e, se non risulta diversamente, le parti si presumono eguali ”.