Al Mureden Enrico, Gli incrementi reddituali del coniuge obbligato ed i loro riflessi sull’assegno divorzile: dal criterio della prevedibilità a quello dell’incidenza proporzionale alla durata del matrimonio?, in Famiglia e Diritto, 2011, 5, 450
Gli incrementi reddituali del coniuge obbligato ed i loro riflessi sull’assegno divorzile: dal criterio della prevedibilita’ a quello dell’incidenza proporzionale alla durata del matrimonio?
Sommario: 1. Gli incrementi di reddito del coniuge obbligato ed i loro riflessi sull’assegno divorzile – 2. La tutela del coniuge debole al termine del matrimonio di breve durata. Il riferimento al tenore di vita potenziale: osservazioni critiche – 3. La durata del matrimonio come criterio per attuare un trattamento differenziato delle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale – 4. L’opportunità di valutare l’incapacità della parte debole di procurarsi adeguati redditi propri in funzione della breve durata del matrimonio e della giovane età – 5. Gli incrementi di reddito dell’ex coniuge onerato e l’opportunità di modularne l’incidenza sull’assegno divorzile in funzione della durata del matrimonio – 6. Il mantenimento dell’ex coniuge e l’inadeguatezza del riferimento al tenore di vita coniugale di fronte alle esigenze antagonistiche delle “seconde famiglie” – 7. L’incidenza degli incrementi reddituali sulla quantificazione dell’assegno divorzile, la rilevanza della durata del matrimonio e la prospettiva dei “nuovi metodi di calcolo” – 8. Osservazioni conclusive
1. Gli incrementi di reddito del coniuge obbligato ed i loro riflessi sull’assegno divorzile
Due pronunce recenti – una relativa agli incrementi di reddito che scaturiscono dal conseguimento di un’eredità (1), l’altra concernente gli incrementi di reddito che derivano dallo sviluppo dell’attività professionale (2) – fanno emergere persistenti incertezze riguardo al problema della rilevanza degli incrementi reddituali del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile.
Nella fattispecie sottoposta alla S.C. l’incremento di reddito era dovuto all’acquisizione da parte del marito di un patrimonio immobiliare pervenuto per successione mortis causa sette anni dopo la separazione. Pertanto si poneva il problema di stabilire se il conseguimento dell’eredità potesse considerarsi un “ragionevole sviluppo” di “aspettative maturate nel corso del matrimonio”. Allineandosi ad un orientamento consolidato, la S.C. ha sancito che “l’acquisizione di beni per via successoria dopo la cessazione della convivenza non influisce nella valutazione del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della determinazione dell’assegno divorzile”. Infatti, precisa la S.C., sino al momento dell’apertura della successione “le aspettative ereditarie sono (…) prive, di per sé, di valenza sul tenore di vita matrimoniale e giuridicamente inidonee a fondare affidamenti economici”. Dunque, continua la motivazione, “mentre le successioni ereditarie che si verifichino in costanza di convivenza coniugale, incidendo sul tenore di vita matrimoniale, concorrono a determinare la quantificazione dell’assegno dovuto dal coniuge onerato, quelle che si verifichino dopo non sono idonee ad essere valutate, sotto detto profilo” (3). Cionondimeno, gli incrementi di reddito derivanti dal conseguimento di un’eredità da parte del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile assumono rilievo “ai fini della valutazione della sua capacità economica” (4). Sulla base di queste premesse la S.C. conclude che “nel caso di specie (…) non è dubbio che la disponibilità patrimoniale acquisita” dal marito “in via ereditaria, in quanto costituente in ogni caso una voce reddituale, debba essere valutata ai fini” della quantificazione dell’assegno divorzile. In questa prospettiva la valutazione effettuata dalla Corte d’appello di Bologna, che aveva preso in considerazione la situazione patrimoniale complessiva dell’obbligato ed i suoi miglioramenti a seguito della vicenda successoria, ha trovato piena conferma.
Nella seconda decisione esaminata la Corte d’appello di Bologna era chiamata a decidere in ordine alla rilevanza degli incrementi di reddito conseguiti
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Le decisioni brevemente illustrare e, più in generale, l’analisi complessiva degli orientamenti in tema di riflessi degli incrementi reddituali sull’assegno post-matrmoniale inducono a riflettere sull’opportunità di modulare le tutele offerte al coniuge economicamente debole mediante un’interpretazione rigorosa delle disposizioni relative alla durata del matrimonio ed all’incapacità di procurarsi adeguati redditi propri (7). Più in particolare appare opportuno evitare un’applicazione tendenzialmente uniforme delle regole che governano l’attribuzione dell’assegno divorzile. Valorizzando una prospettiva ormai consolidata in molti ordinamenti europei e nordamericani, sarebbe opportuno differenziare nettamente il trattamento economico della parte debole in ragione della durata del matrimonio, in modo da assicurare, da un lato, una tutela economica significativa solo al coniuge che per lungo tempo si sia dedicato alla cura della famiglia e limitare, dall’altro, le pretese del coniuge debole laddove la breve durata del matrimonio, l’assenza di figli e la giovane età dovrebbero condurre ad affermare un “principio di autoresponsabilità” (8), evitando di creare proiezioni del tenore di vita matrimoniale che possono apparire ingiustificate (9), a maggior ragione se riferite anche agli incrementi di reddito del coniuge onerato.
2. La tutela del coniuge debole al termine del matrimonio di breve durata. Il riferimento al tenore di vita potenziale: osservazioni critiche
Secondo un orientamento assolutamente consolidato l’attribuzione dell’assegno divorzile presuppone “la mancanza di mezzi adeguati da parte del richiedente” (10); l’adeguatezza dei mezzi del richiedente, poi, deve essere commisurata all’esigenza di “conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale” (11). A tal fine, precisa costantemente la S.C., “il tenore di vita può desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare dei loro redditi e disponibilità patrimoniali” (12); pertanto la quantificazione dell’assegno divorzile deve essere attuata “nella misura necessaria, in relazione alla situazione economica di ciascuna parte, a rendere tendenzialmente possibile il mantenimento di detto tenore di vita” (13).
L’orientamento appena riassunto può apparire condivisibile con riferimento ai casi in cui il coniuge economicamente debole abbia dedicato molti anni alla cura della famiglia (14) o nelle ipotesi in cui, anche dopo un matrimonio di breve durata, uno dei coniugi assuma la veste di “genitore prevalente” e sia chiamato a prendersi cura dei figli per un arco di tempo considerevole. Cionondimeno, l’osservazione comparatistica e l’analisi di alcuni dati statistici recenti suggeriscono l’opportunità di non estendere un simile approccio alle fattispecie in cui si pone il problema di tutelare il coniuge economicamente debole al termine di un matrimonio di breve durata e nel quale non siano nati figli. Più precisamente, occorre considerare che una significativa parte dei divorzi interessano persone che al momento della rottura del matrimonio hanno un’età inferiore ai quarant’anni, hanno vissuto un’esperienza coniugale durata meno di quattro anni e non hanno avuto figli (15). In casi come questi il riferimento al tenore di vita goduto dalla coppia durante il matrimonio rischia di proiettare una situazione che ha interessato una parte assai breve della vita dei coniugi su di un arco temporale futuro notevolmente esteso e nel corso del quale, anche in considerazione dell’età relativamente giovane delle persone coinvolte, si realizzeranno verosimilmente mutamenti significativi per entrambi sia nella sfera professionale, sia in quella familiare. In altri termini, la pretesa di mantenere anche dopo il divorzio il tenore di vita coniugale, l’aspirazione a condividere potenzialità economiche non attualizzate durante il matrimonio e quella a vedere riconosciute aspettative di miglioramento realizzatesi dopo la separazione possono apparire un opportuno riconoscimento del contributo dato da un coniuge nel corso di un matrimonio di lunga durata o di quello che sarà presumibilmente prestato nella veste di “genitore prevalente” dopo la separazione. Tuttavia, nei casi in cui il coniuge economicamente debole abbia vissuto un’esperienza matrimoniale di breve durata e non debba prendersi cura di figli in tenera età, queste stesse tutele appaiono una proiezione del tenore di vita coniugale difficilmente giustificabile, a maggior regione se estesa alle potenzialità economiche non effettivamente godute ed alle aspettative di miglioramento non ancora maturate nel corso del matrimonio(16). In definitiva, in situazioni come queste, appare inappropriata l’idea di mantenere tra gli ex coniugi un’interdipendenza che si protrarrà per un tempo largamente più esteso rispetto a quello della limitata durata del matrimonio (17). Al contrario apparirebbe opportuno che – sulla scorta delle soluzioni adottate in diversi ordinamenti europei di civil law, nel diritto inglese e nei Principles of the Law of Family Dissolution americani – dopo un congruo arco di tempo nel quale al coniuge economicamente debole viene garantita una assistenza “riabilitativa”, sia valorizzata l’esigenza di eliminare o quantomeno limitare posizioni di dipendenza reciproca, consentendo a ciascuno di lasciarsi definitivamente alla spalle le conseguenze economiche della breve esperienza matrimoniale (18).
3. La durata del matrimonio come criterio per attuare un trattamento differenziato delle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale
Anche nel nostro ordinamento, operando una rilettura sistematica degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, si potrebbero individuare le basi sulle quali sviluppare l’idea di adottare trattamenti dei riflessi patrimoniali della crisi coniugale differenziati in funzione della durata del rapporto matrimoniale (19).
Un primo passo in questa direzione può essere compiuto muovendo da quell’orientamento che valorizza la suddivisione del percorso che conduce allo scioglimento del vincolo coniugale nella doppia fase di separazione e divorzio. Nella separazione – che rappresenta in molti casi una fase temporanea di avvicinamento al divorzio – si tende infatti a “conservare il più possibile tutti gli effetti del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, il tenore e il tipo di vita di ciascun coniuge” sia per i matrimoni di breve durata(20), sia, a maggior ragione, per quelli durati a lungo.
La differenziazione nel trattamento economico del matrimonio di breve e di lunga durata si dovrebbe realizzare in maniera più marcata nel contesto del divorzio, attribuendo all’elemento della durata un’incisiva funzione di discriminante sia in negativo che in positivo. In altri termini, valorizzando l’importanza della durata del matrimonio, da un lato si potrebbe restringere l’accesso all’assegno post-matrimoniale ed alle tutele ad esso collegate (spettanza della pensione di reversibilità ex art. 9 l. div. e del trattamento di fine rapporto exart. 12 bis, l. div.) nei matrimoni di breve durata e, dall’altro, rendere più agevole e ampio l’accesso a dette tutele per i matrimoni durati a lungo (21).
In un simile contesto al coniuge che non disponga di mezzi adeguati per essersi dedicato per un breve periodo alla cura della famiglia ed aver rinunciato all’attività lavorativa extradomestica facendo affidamento sulle potenzialità economiche dell’altro, il diritto al mantenimento dovrebbe essere garantito con una certa larghezza nella fase (tendenzialmente temporanea (22)) della separazione, per poi essere riconsiderato in un’ottica più restrittiva – ed eventualmente negato – al momento del divorzio. Qualora, invece, il coniuge economicamente debole abbia per lungo tempo dedicato le proprie energie alla cura della famiglia, il diritto al mantenimento dovrebbe essere pienamente riconosciuto non solo nella fase della separazione, ma anche in quella del divorzio (23).
In questa prospettiva l’assunto secondo cui “alla breve durata del matrimonio (…) non può essere riconosciuta un’efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento” è funzionale all’esigenza di rimettere gradualmente il coniuge debole nelle condizioni di provvedere a se stesso, rendendo il meno traumatico possibile il passaggio dallo status di coniuge a quello di coniuge separato e, infine, di ex coniuge divorziato (24). Il fatto che poi “il diritto all’assegno di divorzio” possa “essere escluso in considerazione della brevissima durata della convivenza matrimoniale” (25) rappresenta un importante passo verso la tendenza a limitare l’accesso all’assegno post-matrimoniale alle sole ipotesi in cui l’incapacità di procurarsi mezzi adeguati si accompagni ad una significativa durata del rapporto matrimoniale.
4. L’opportunità di valutare l’incapacità della parte debole di procurarsi adeguati redditi propri in funzione della breve durata del matrimonio e della giovane età
L’obiettivo di realizzare un trattamento differenziato delle conseguenze patrimoniali del divorzio in ragione della breve durata del matrimonio dovrebbe essere perseguito anche attraverso una valutazione rigorosa dell’incapacità del coniuge che richiede l’assegno divorzile di procurarsi adeguati redditi propri per ragioni oggettive (art. 5, comma 6, l. div.) (26).
Invero dall’analisi delle pronunce giurisprudenziali che affrontano specificamente il problema dell’incapacità di procurarsi redditi propri da parte del coniuge che richiede l’assegno divorzile emerge un’uniformità nei criteri di valutazione che desta alcune perplessità. In particolare il rischio di dare luogo ad ingiustificate proiezioni del tenore di vita matrimoniale si coglie laddove la S.C. sancisce che “l’impossibilità di procurarsi gli adeguati mezzi di sostentamento per ragioni obbiettive” deve essere riferita ad “un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio” e “non già” alla “mera autosufficienza economica”; che “l’accertamento della impossibilità di procurarsi mezzi” adeguati “per il coniuge richiedente l’assegno va condotta, (…) con riferimento alla finalità, perseguita dal legislatore, che le condizioni economiche non risultino deteriorate per il solo effetto del divorzio”. Pertanto l’effettiva incapacità del richiedente di procurarsi redditi propri non dovrebbe essere valutata “nella sfera dell’ipoteticità o della astrattezza”, ma “in quella della effettività e della concretezza”, tenendo “conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso di specie in relazione ad ogni fattore individuale, ambientale, territoriale, economico-sociale”. Tali principi vengono formulati ed applicati in modo indifferenziato, sia con riferimento alla situazione di coniugi in età avanzata e per lungo tempo dediti alla cura della famiglia, sia riguardo a coniugi che si facciano prevalente carico della cura dei figli dopo la separazione, sia, infine, quando viene in considerazione la posizione del coniuge giovane, reduce da un matrimonio breve e senza figli. Così, ad esempio, la sentenza del giudice di merito che aveva negato il diritto all’assegno divorzile ad una donna trentasettenne la quale, “essendo nel pieno delle sue energie fisiche e mentali, aveva la astratta possibilità di inserirsi in qualsiasi lavoro conforme alle sue capacità ed al patrimonio culturale acquisito con gli studi universitari” è stata cassata dalla S.C., che ha riaffermato il principio secondo cui è necessario compiere un “accertamento circa la concreta possibilità di reperimento di un’attività lavorativa tale da non deteriorare il tenore di vita” pregresso “della donna” (27).
L’opportunità di differenziare la valutazione dell’incapacità di procurarsi redditi propri da parte di colui che richiede l’assegno divorzile e di adottare un approccio rigoroso e restrittivo in presenza di coniugi giovani, sposati per un breve periodo e senza figli risulta ancor più evidente laddove si allarghi l’ambito di osservazione agli orientamenti formatisi riguardo al mantenimento dei figli maggiorenni. In effetti il raffronto tra la posizione di questi ultimi e quella dell’ex coniuge ancora giovane e reduce da un matrimonio breve fa emergere un possibile paradosso. Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, da una parte, viene riconosciuto con una notevole ampiezza (28), ma, dall’altra, trova – opportunamente – un limite pressoché insuperabile oltre ad una certa soglia di età del richiedente (29). In definitiva si può affermare che, superata la soglia dei trent’anni, salvo il caso in cui il figlio non dimostri che l’oggettiva incapacità di procurarsi redditi e rendersi economicamente indipendente derivi da difficoltà del tutto particolari (30), il diritto al mantenimento è tendenzialmente destinato ad affievolirsi ed a venir meno (31). Come osservato, invece, il diritto al mantenimento che fa capo al coniuge incapace di procurarsi redditi propri non risente, in linea di principio, di preclusioni legate all’età del richiedente. Dunque, si potrebbe concludere che il “dovere di attivarsi” richiesto al figlio maggiorenne risulta assai più intenso di quello richiesto, dopo un breve matrimonio, al coniuge economicamente debole ancora in giovane età. Per dare al discorso una dimensione più concreta e rendere evidente la portata del possibile paradosso, si può immaginare il caso in cui un uomo di mezza età sia tenuto al tempo stesso al mantenimento del figlio trentenne avuto dal primo matrimonio e della seconda moglie, anche essa per ipotesi trentenne, con la quale abbia diviso un secondo matrimonio di breve durata (32). Applicando le regole che emergono dagli orientamenti della S.C., si dovrebbe concludere che, in prospettiva, l’incapacità di procurasi adeguati redditi propri del figlio è destinata ad essere valutata in modo sempre più severo e restrittivo con l’aumentare dell’età di quest’ultimo fino a quando, in un arco temporale relativamente limitato, si addiverrà alla cessazione del diritto al mantenimento. Lo stesso non potrebbe dirsi con riferimento alla seconda moglie che, nonostante la giovane età e la breve durata del matrimonio, beneficia di una valutazione sulla sua incapacità di procurarsi adeguati redditi propri che, in linea di principio, non è destinata a divenire più severa con il passare degli anni.
In conclusione, anche questa particolare prospettiva testimonia ulteriormente la necessità di valutare con estremo rigore l’incapacità di procurarsi redditi propri da parte del coniuge che domanda l’assegno divorzile, tenendo in considerazione la breve durata del matrimonio e la giovane età del richiedente.
5. Gli incrementi di reddito dell’ex coniuge onerato e l’opportunità di modularne l’incidenza sull’assegno divorzile in funzione della durata del matrimonio
Come osservato, un’applicazione rigorosa dei criteri previsti dall’art. 5 l. div. potrebbe condurre in molti casi ad escludere la corresponsione dell’assegno divorzile a fronte di matrimoni di breve durata o laddove la capacità del coniuge debole di reperire adeguati redditi propri sia favorita dalla giovane età e non risulti limitata dall’esigenza di prendersi cura dei figli. In ipotesi come queste il problema della persistente partecipazione del coniuge economicamente debole ai benefici economici connessi agli sviluppi della situazione patrimoniale dell’altro finirebbe per risolversi in radice.
Occorre considerare, però, che possono verificarsi situazioni nelle quali la breve durata del matrimonio conduce solo ad una riduzione dell’assegno divorzile, che pure continua a sussistere. In questi casi il coniuge economicamente debole può aspirare ad un incremento dell’assegno divorzile in ragione degli incrementi reddituali dell’obbligato, ad una eventuale compartecipazione al TFR percepito da quest’ultimo (art. 12 bis, comma 1, l. div.), infine, all’eventuale ripartizione della pensione di reversibilità con il coniuge superstite (art. 9, commi 2 e 3, l. div.).
Con specifico riferimento al problema della rilevanza degli incrementi reddituali dell’obbligato, la S.C. ha sancito costantemente che il diritto della parte debole alla compartecipazione agli incrementi di reddito realizzati dall’ex coniuge dovrebbe dipendere dal fatto che tale incremento possa essere considerato un prevedibile sviluppo di situazioni in nuce al momento della separazione (33). Questo criterio è stato motivatamente ritenuto opinabile, empirico e, in definitiva, attributivo di un tasso di discrezionalità giudiziale che può condurre a decisioni difficilmente prevedibili (34). Esso, inoltre, è funzionale a discriminare gli incrementi reddituali rilevanti da quelli che non possono essere presi in considerazione, ma non fornisce indicazioni riguardo alla misura della compartecipazione del coniuge richiedente alla migliorata situazione patrimoniale dell’altro. Il che può dar luogo a due ordini di inconvenienti. Anzitutto è possibile che si escluda in radice la rilevanza di incrementi che – secondo una valutazione connotata da un notevole margine di discrezionalità – appaiono sviluppi non prevedibili di situazioni già presenti al momento della separazione. Inoltre potrebbe accadere che sia attribuita un’incidenza eccessiva agli incrementi reddituali considerati rilevanti, rispetto ai quali non viene previsto un meccanismo di valutazione correlato alla durata del matrimonio. Solo per fare un esempio, potrebbe accadere che l’incremento di reddito scaturito dallo sviluppo di una carriera valutato come imprevedibile venga considerato in radice irrilevante e che il coniuge titolare dell’assegno divorzile, anche dopo un matrimonio di lunga durata, non veda riconosciuto alcun riflesso connesso a tale miglioramento economico. Peraltro, poterebbero verificarsi situazioni in cui da una progressione di carriera valutata come prevedibile scaturisca un considerevole incremento dell’assegno post-matrimoniale, anche a beneficio di un ex coniuge che abbia alle spalle un matrimonio di breve durata.
Queste situazioni fanno apparire opportuna l’adozione di un approccio diverso da quello costantemente utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità e tale da assicurare che la compartecipazione del coniuge titolare dell’assegno divorzile agli incrementi reddituali dell’altro risulti rigorosamente proporzionale alla durata del rapporto matrimoniale. In altre parole, il diritto del coniuge economicamente debole a vedere incrementato l’assegno divorzile in ragione dei miglioramenti economici dell’obbligato non dovrebbe essere collegato alle valutazioni relative alla prevedibilità degli incrementi, che, come osservato, appaiono connotate da un elevato grado di discrezionalità; esso dovrebbe dipendere, invece, dall’estensione temporale del rapporto matrimoniale. Quindi, il fatto che il coniuge onerato abbia raggiunto posizioni di vertice nella carriera universitaria (35), abbia espanso la propria attività di libero professionista (36), abbia conseguito un successo elettorale nella veste di uomo politico (37), abbia visto incrementare il proprio reddito a seguito di una vicenda successoria (38), dovrebbe avere una ricaduta sull’incremento dell’assegno divorzile che risulti proporzionata al lasso di tempo durante il quale simili aspettative sono state condivise con l’ex coniuge. In questo modo, in primo luogo, si eviterebbe di “selezionare” le “aspettative rilevanti” facendo ricorso al criterio del “prevedibile sviluppo” che, come osservato, è stato motivatamente ritenuto opinabile (39). In secondo luogo, si realizzerebbe un trattamento uniforme di tutte le aspettative, che, a prescindere dalla fonte da cui scaturiscono, garantirebbe una compartecipazione agli incrementi reddituali dell’ex coniuge proporzionata alla durata del rapporto matrimoniale.
A ben vedere questo criterio, basato sul dato oggettivamente controllabile della durata del matrimonio, trova un significativo riscontro sul piano sistematico. L’analisi delle disposizioni in tema di compartecipazione dell’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile al TFR percepito dall’altro (art. 12 bis, comma 1, l. div.) (40) e di ripartizione della pensione di reversibilità tra l’ex coniuge titolare di assegno divorzile ed il coniuge superstite (art. 9, commi 2 e 3, l. div.) inducono ad affermare che il principio della partecipazione alle utilità patrimoniali proporzionale alla durata del matrimonio sia “immanente” nel sistema di regole previste a tutela dell’ex coniuge economicamente debole. Infatti, l’art. 12 bis l. div., riconosce all’exconiuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5 l. div. il diritto al quaranta per cento dell’indennità totale di fine rapporto riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio (41). Similmente, la ripartizione della pensione di reversibilità tra l’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile ed il coniuge superstite deve essere attuata “tenendo conto della durata del rapporto” matrimoniale (art. 9, comma 3, l. div.).
6. Il mantenimento dell’ex coniuge e l’inadeguatezza del riferimento al tenore di vita coniugale di fronte alle esigenze antagonistiche delle “seconde famiglie”
L’adozione di un criterio capace di limitare le pretese della parte debole in funzione della breve durata del matrimonio e della giovane età del beneficiario risulta particolarmente opportuna anche laddove l’ex coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno divorzile formi una nuova famiglia. In tal caso può porsi il problema di un’equilibrata ripartizione delle risorse tra il primo coniuge (soprattutto se reduce da un matrimonio di breve durata) e la seconda famiglia che l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile abbia ricostituito in seguito al divorzio (42).
La S.C. – prendendo atto del dato per cui la presenza di una nuova famiglia costituita dall’ex coniuge tenuto al pagamento degli assegni di mantenimento ex art. 155 c.c. e divorzile exart. 5 l. div. determina una variazione degli assetti pregressi di cui non può non tenersi conto – ha sancito che in questi casi si impone un “temperamento dei diritti della prima famiglia” necessario ad “evitare un trattamento deteriore della seconda”. In definitiva il secondo matrimonio e la nascita di figli dell’obbligato rendono necessaria una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti (43).
Indubbiamente il problema può porsi in termini assai particolari nell’ipotesi in cui l’esigenza di attuare un’equilibrata divisione delle riscorse della parte economicamente forte veda interessato da un lato l’ex coniuge ancora giovane, reduce da un matrimonio di breve durata e senza figli e, dall’altro, il secondo coniuge ed i figli nati nel secondo matrimonio. In una fattispecie come questa emerge chiaramente l’inadeguatezza dell’impostazione che mira a garantire all’ex coniuge economicamente debole un assegno divorzile idoneo a permettergli di conservare “un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale” (44). Infatti, applicando senza adeguati correttivi ai matrimoni di breve durata i criteri adottati dalla S.C. con riferimento al mantenimento dell’ex coniuge economicamente debole ed all’incidenza degli incrementi di reddito sull’assegno divorzile, si potrebbe giungere in alcuni casi a soluzioni applicative non convincenti. È ipotizzabile, ad esempio, l’ex coniuge di una persona che al momento della separazione stava già esercitando una professione suscettibile di sviluppi che la S.C. considera prevedibili possa vedere riconosciuto – anche dopo pochi anni di matrimonio – il proprio diritto ad un incremento dell’assegno divorzile (45). In questo modo l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile, già tenuto ad assicurare all’altro per un tempo assai esteso una situazione economica analoga a quella goduta in costanza di matrimonio, si troverebbe costretto ad incrementare la sua esposizione “distraendo” parte dei propri incrementi reddituali a scapito della nuova famiglia (46). Proprio questa particolare prospettiva sembra confermare ulteriormente l’opportunità di ricercare in via interpretativa soluzioni che, a fronte di matrimoni di breve durata e nei quali non siano presenti figli, consentano, in primo luogo, di limitare le perduranti posizioni di interdipendenza tra i coniugi e, in secondo luogo, di modulare in funzione della breve durata del matrimonio la compartecipazione della parte debole agli incrementi reddituali dell’altra.
7. L’incidenza degli incrementi reddituali sulla quantificazione dell’assegno divorzile, la rilevanza della durata del matrimonio e la prospettiva dei “nuovi metodi di calcolo”
Adottando una regola che permetta al giudice di modulare in ragione della durata del matrimonio la compartecipazione dell’ex coniuge divorziato agli incrementi reddituali dell’altro può porsi il problema della esatta quantificazione della misura della compartecipazione. Sotto questo profilo sembra da osservare con interesse la possibilità di fare ricorso ad un metodo di calcolo dell’assegno divorzile messo a punto dal Magistrato referente per l’informatica dell’Ufficio distrettuale di Palermo (47) e che prevede un sistema di riduzione dell’assegno divorzile in ragione della durata del matrimonio (48). In particolare, prendendo come punto di riferimento il dato dell’ISTAT che indica in diciassette anni la durata media dei rapporti matrimoniali conclusi con il divorzio, si stabilisce che il tetto massimo dell’assegno divorzile individuato nella prima fase del giudizio (49) non vada mai ridotto se la durata del matrimonio è pari o superiore alla soglia dei diciassette anni, “mentre nel caso di una durata inferiore” è previsto un efficace meccanismo di riduzione. In quest’ultima ipotesi, infatti, il sistema di calcolo divide la somma (individuata in ragione delle disparità di reddito nella prima fase del giudizio) “in diciassettesimi e la moltiplica per il numero effettivo degli anni di matrimonio”. In altre parole nei matrimoni durati più di diciassette anni si ravvisa la presenza di un contributo la cui durata è così estesa nel tempo da giustificare il fatto che il coniuge economicamente debole benefici dell’assegno post-matrimoniale nella misura massima individuata nella prima fase del giudizio solo facendo riferimento alla disparità di reddito. Per i matrimoni che hanno avuto una durata inferiore, invece, si dovrebbe operare una riduzione del tetto massimo utilizzando un coefficiente fisso per ogni anno di matrimonio. Così, ad esempio, nel caso in cui, all’esito della prima fase del giudizio, la valutazione comparativa della situazione patrimoniale dei coniugi abbia condotto all’individuazione del tetto massimo dell’assegno divorzile in 1000 euro mensili, si manterrà questo importo inalterato se il matrimonio è durato più di diciassette anni, mentre in caso di durata inferiore, si opererà una riduzione proporzionale togliendo 1/17 per ogni anno in meno rispetto alla soglia dei diciassette anni. Dunque, se il matrimonio fosse durato tre anni, il tetto massimo di 1000 euro verrebbe ridotto di 14/17 (823 euro circa) e l’assegno sarebbe liquidato nella misura di 3/17 (circa 176 euro).
In effetti un simile meccanismo di decurtazione potrebbe essere utilmente applicato anche per modulare l’incidenza degli incrementi reddituali. In questa prospettiva si potrebbe immaginare il caso in cui un coniuge con un reddito di 2000 euro mensili, corrisponda all’altro un assegno divorzile di 400 euro mensili e, dopo qualche tempo dalla separazione, veda raddoppiare i propri redditi. Secondo l’impostazione proposta, gli incrementi reddituali dell’obbligato dovrebbero riflettersi sulla quantificazione dell’assegno divorzile in misura proporzionale alla durata del matrimonio. L’applicazione del metodo di calcolo indicato sembra confermare l’utilità pratica di questa impostazione. Nella fattispecie indicata l’ex coniuge che abbia alle spalle un matrimonio di lunga durata (secondo i criteri adottati, superiore ai diciassette anni) potrebbe beneficiare di un considerevole incremento del proprio assegno: così a fronte di un reddito passato da 2000 a 4000 euro mensili, si dovrebbe immaginare un incremento dell’assegno divorzile da 400 a 800 euro mensili. Quando le stesse condizioni economiche siano riferite ad ex coniugi che abbiano alle spalle un matrimonio di breve durata (ad esempio tre anni) il meccanismo di riduzione previsto dal metodo di calcolo dovrebbe condurre ad individuare un incremento dell’assegno pari a soli tre diciassettesimi (3/17) del suo importo e quindi ad una somma assai limitata: precisamente, a fronte dello stesso aumento di 2000 euro mensili l’assegno divorzile liquidato inizialmente nella misura di 400 euro mensili subirebbe un incremento di poco superiore ai 70 euro mensili.
8. Osservazioni conclusive
L’insieme delle considerazioni svolte sin qui induce a condividere le critiche mosse all’orientamento della S.C. in tema di incrementi reddituali del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile (50). In effetti, la distinzione tra gli incrementi che derivano dal conseguimento di un’eredità – che non influisce nella valutazione del tenore di vita, ma viene comunque in considerazione nella valutazione del patrimonio del coniuge obbligato – e quelli che, derivando da espansioni dell’attività professionale, possono assumere rilievo solo qualora costituiscano prevedibili sviluppi di attività già in nuce durante il matrimonio può condurre a risultati talvolta difficilmente giustificabili (51).
La ricerca di criteri che consentano di addivenire a soluzioni applicative coerenti e prevedibili ha condotto in primo luogo ad allargare l’attenzione anche al problema, più ampio, di modulare le tutele giuridiche offerte al coniuge debole in funzione della breve durata del matrimonio e dell’impegno richiesto per la cura dei figli (52); in questa prospettiva sembra opportuno adottare letture interpretative rigorose, funzionali ad escludere in radice perduranti posizioni di dipendenza economica tra gli ex coniugi divorziati quando il matrimonio abbia avuto una breve durata, non vi siano figli ed i coniugi, in ragione della giovane età, siano chiamati a riattivarsi (53).
In secondo luogo, anche ove il coniuge sposato per un breve periodo acceda alla tutela dell’assegno divorzile (54), appare comunque opportuno individuare una regola di compartecipazione alle aspettative realizzatesi ed agli incrementi reddituali dell’altro che non operi arbitrarie selezioni basate su un concetto di prevedibilità opinabile e vago; diversamente, facendo riferimento ad un criterio che lo stesso legislatore mostra di utilizzare in altri contesti (compartecipazione al TFR, ripartizione della pensione di reversibilità) appare opportuno modulare la misura della compartecipazione dell’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile in funzione della durata del rapporto matrimoniale.
Applicando questo criterio alla fattispecie oggetto della decisione della S.C. in tema di incrementi derivanti dal conseguimento di una eredità, il diritto del coniuge debole a vedersi attribuito un assegno divorzile che tenga conto dei miglioramenti della situazione patrimoniale dell’ex marito dovrebbe comunque essere riconosciuto in ragione della considerevole durata del rapporto matrimoniale. Diversamente, ove la medesima situazione si verifichi nel contesto di un matrimonio di breve durata e nel quale non siano presenti figli, i riflessi sull’assegno divorzile dell’incremento patrimoniale derivante dal conseguimento dell’eredità da parte dell’ex coniuge obbligato dovrebbero essere minimi, e cioè proporzionati alla breve durata del matrimonio.
Sempre seguendo questa impostazione, in casi simili a quello deciso dalla Corte d’appello di Bologna, il coniuge economicamente debole al quale – nonostante la breve durata del matrimonio – sia riconosciuto un assegno divorzile potrebbe aver diritto ad una compartecipazione agli incrementi di reddito dell’altro, ma solo in una misura rigorosamente proporzionale alla breve durata del rapporto matrimoniale, e quindi minima.
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(1) Così Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, in De jure.
(2) Così App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, in www.giuremilia.it.
(3) In senso conforme v. Cass., 30 maggio 2007, n. 12687, in Dir. famiglia, 2007, 1654.
(4) Così Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, cit.
(5) L’orientamento consolidato viene ribadito, tra le tante, da ultimo, da Cass., 4 novembre 2010, n. 22501;Cass., 9 maggio 2008, n. 11560, in De jure.
(6) Così App. Bologna, 10 maggio 2010, cit.
(7) Cfr. infra par. 4.
(8) Sul punto v. Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, in Il nuovo diritto di famiglia, in Trattato diretto da Ferrando, II, Bologna, 2008, 229; Ferrando,Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. fam., 1998, 728; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in Familia, 2008, 22, la quale illustra la riforma del mantenimento operata nell’ordinamento tedesco il 1° gennaio 2008 ed il principio dell’autoresponsabilità.
(9) Un esempio emblematico in tal senso è indubbiamente costituito da Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, in questa Rivista, 2009, 683-693, con nota di Al Mureden, L’assegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale riabilitativa, in Corr. giur., 2009, 474, con nota di Quadri, Brevissima durata del matrimonio e assegno di divorzio. Sul problema dell’eccessiva tutela assicurata al coniuge debole dopo un matrimonio di breve durata, Rimini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in questa Rivista, 2008, in part. 420-421. Per una rigorosa applicazione del criterio della durata del matrimonio al fine di escludere l’attribuzione dell’assegno divorzile v. Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, in questa Rivista, 1996, con nota di Carbone, Matrimonio effimero: l’assegno non è dovuto e in Foro it., 1997, I, 1541, con nota di Quadri, Rilevanza della “durata del matrimonio” e persistenti tensioni in tema di assegno di divorzio, Cass. 16 giugno 2000, n. 8233, in questa Rivista, 2000, 505.
(10) L’orientamento espresso da Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con note di Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle Sezioni unite, e di Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio), è stato ribadito in numerosissime pronunce: tra le tante, da ultimo, da Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, cit.; Cass., 9 maggio 2008, n. 11560, cit. Sulla natura e i presupposti dell’assegno di mantenimento e di quello di divorzio, Arceri, sub art. 156, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, Milano, 2009, 806 ss.; Pittalis, sub art. 5, l. div. in Codice della famiglia, cit., 3895 ss; Rossi Carleo, La separazione e il divorzio, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, IV, I, Torino, 1999, 273 e 399 ss.; Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini e Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2004, 512 ss.; Quadri, La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1987; Macario, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, a cura di Lipari, Padova, 1988, 907; Governatori, in AA.VV., Come calcolare gli assegni di mantenimento nei casi di separazione e divorzio, Milano, 2009, 27.
(11) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit..
(12) Tra le tante, da ultimo, Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, in De Jure.
(13) Cass., 9 maggio 2008, n. 11560, cit.
(14) Cass., 14 gennaio 2008, n. 593, in De Jure.
(15) Istat, Il matrimonio in Italia. Anno 2008, Statistica in breve dell’8 aprile 2010, 1.
(16) Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini e Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 512 ss.; Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, cit., 229; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 22.
(17) Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, cit.
(18) Al riguardo costituisce un punto di riferimento da guardare con estremo interesse la tendenza – particolarmente sviluppata nei Paesi di common law – a prevedere un trattamento nettamente differenziato del coniuge debole nei matrimoni di lunga durata e più in generale in quelli in cui sono presenti figli, da una parte, e in quelli di breve durata e in cui non vi sono figli, dall’altra. Per una illustrazione più dettagliata cfr. Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole, Milano, 2007, cap III. La tendenza a limitare la previsione di assegni periodici a vantaggio dell’ex coniuge divorziato si riscontra anche nell’ordinamento francese, (art. 276-3 Code civil), L. 26 maggio 2004, n. 439, entrata in vigore il 1° gennaio 2005; in quello spagnolo (art. 97 comma 1 Código civil) e in quello tedesco (art. 1578 BGB) 1° gennaio 2008. con riferimento a quest’ultimo v. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 22 ss.
(19) La necessità di individuare regole capaci di offrire una “duttile risposta a tutti i vari modelli concreti di matrimonio” viene sottolineata in Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit. In questo senso v. anche le considerazioni di Quadri, Rilevanza della “durata del matrimonio” e preesistenti tensioni in tema di assegno di divorzio, cit., 1547.
(20) Cass., 16 dicembre 2004, n. 23378, in questa Rivista, 2005, 129-136, con nota di Al Mureden, Il mantenimento del coniuge debole: verso un trattamento differenziato dei matrimoni di breve e di lunga durata?
(21) Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, cit.; Cass., 22 agosto 2006, n. 18241, in De jure.
(22) Nello studio statistico Separazioni, divorzi e provvedimenti emessi, cit., si legge che la percentuale delle separazioni che si sono convertite in divorzio si attesta intorno al 70%.
(23) L’esigenza di garantire al coniuge debole il mantenimento del tenore di vita coniugale per un tempo tendenzialmente indeterminato e di ricompensare adeguatamente la contribuzione al ménage familiare prestata per un considerevole numero di anni emerge in Cass., 17 gennaio 2002, n. 432, in questa Rivista, 2002, 317 e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 38, con nota di Al Mureden, In tema di adeguatezza dei redditi del coniuge divorziato; Cass,. 14 gennaio 2008, n. 593, in De jure.
(24) Cass., 16 dicembre 2004, n. 23378, cit.
(25) Cfr. in tal senso le già richiamate Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.; Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, cit.
(26) Sul punto v. Arceri, sub art. 155 quinquies c.c., in Codice della famiglia, cit., 683 ss; Ead., I diritti dei figli maggiorenni, in Arceri-Sesta (a cura di), Il diritto dell’affidamento dei figli, Torino, 2011, in corso di pubblicazione; Auletta, sub art. 155 quinquies c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 741 ss; Romano, sub art. 155 quinquies c.c., in Patti – Rossi Carleo (a cura di), Provvedimenti riguardo ai figli, Art. 155 – 155 sexies, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, a cura di F. Galgano, Libro primo – Delle persone e della famiglia, Bologna – Roma, 2010, 333 ss..
(27) Cass., 26 febbraio 1998, n. 2087, in De Jure; sempre in senso analogo Cass. 2009, n. 23906, in De jure, “ha confermato l’assegno nei confronti di una donna disoccupata, seppur giovane, ritenendo molto scarse le possibilità di reperire una occupazione nel contesto sociale in cui viveva”.
(28) Cass., 26 gennaio 2011, n. 1830, in De Jure, secondo cui “permane l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne anche se questi si sposa”; Cass., 3 gennaio 2011, n. 18, in De Jure, ha sancito che “l’assegno di mantenimento in favore del figlio va versato anche quando l’attività di lavoro precaria svolta da quest’ultimo non comporta un’indipendenza economica che possa giustificare l’esonero dei genitori dal suo mantenimento né la riduzione dell’assegno stesso”, cassando “il ricorso avanzato dall’ex coniuge che chiedeva la riduzione dell’importo versato alla figlia maggiorenne, in considerazione del fatto che la ragazza svolgeva un’attività lavorativa, seppur precaria, e che la stessa non viveva più con la madre affidataria”.
(29) Arceri, La posizione dei figli maggiorenni, cit., richiama decisioni nelle quali il raggiungimento di un’età avanzata ha fatto apparire “irragionevole il pretendere di continuare a gravare sui genitori ormai anziani” (Cass., 25 maggio 1981, n. 3416, in Giust. civ., 1982, 1336; Trib. Cagliari, 13 marzo 1997, in Riv. giur. sarda, 2000, 99).
(30) V. Cass., 11 giugno 2008, n. 15444, in Questioni di Diritto di Famiglia, 2008, 5, 93 e ss. con nota di Gentile, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne affetto da handicap psichico e neurologico, che ha riconosciuto il diritto al mantenimento del figlio trentenne, affetto da balbuzie, scoliosi e disturbi psichici.
(31) Dall’analisi della casistica giurisprudenziale emerge che la cessazione del dovere di mantenimento del figlio maggiorenne può aver luogo a seguito dell’abilitazione all’esercizio di una professione (Cass., 3 novembre 2006, n. 23596, in questa Rivista 2007, relativa ad un caso in cui il figlio aveva conseguito l’abilitazione per l’esercizio della professione di legale a New York) o dopo che il figlio abbia vissuto una o più esperienze di lavoro consone alla sua preparazione (Cass., 28 agosto 2008, n. 21773, in De jure, concernente l’assunzione, seppur in prova, presso una compagnia aerea). Per una accurata ricostruzione v. Arceri, I diritti dei figli maggiorenni, cit., la quale precisa che – salvo alcuni precedenti di segno contrario (Cass., 24 settembre 2008, n. 24018;Cass., 12 gennaio 2010, n. 261, in De jure) – si può affermare che, in linea di principio, qualora le esperienze lavorative “abbiano termine, per qualsiasi motivo (licenziamento, dimissioni o altra causa), l’obbligo di mantenimento dei genitori non risorge” e “la posizione del figlio già integrato nel mondo del lavoro, in sostanza, diviene in tutto e del tutto parificabile a quella di un adulto, con la conseguenza che egli potrà reclamare solo gli alimenti, ove di tale diritto sussistano i presupposti di legge”. In ogni caso, in linea di massima, è da escludere la persistenza diritto del figlio maggiorenne ad essere mantenuto successivamente al trentesimo anno di età. In tal senso Cass., 2 febbraio 2006, n. 2338, in De Jure, relativa ad una figlia trentaduenne ancora dedita agli studi universitari; Cass., 30 agosto 1999, n. 9109, in De Jure, riguardante un figlio trentacinquenne, ancora studente universitario; ancora Cass., 18 gennaio 2005, n. 951, in De Jure.
(32) Al riguardo si pensi al caso in cui la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva attribuito alla ex moglie un assegno divorzile al termine di un matrimonio durato meno di una settimana (Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, cit.).
(33) Il principio ha trovato applicazione, ad esempio, in Cass., 15 settembre 2008, n. 23690, in Guida al diritto, 2008, 53, che ha considerato prevedibile lo sviluppo della carriera del marito, ricercatore universitario all’epoca della separazione e divenuto in seguito professore ordinario ed affermato professionista; Cass., 28 gennaio 2004, n. 1487, in questa Rivista, 2004, 237, con nota di Liuzzi, Assegno di divorzio e incrementi reddituali e in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, I, 748-755, con nota di Al Mureden, Assegno di divorzio ed incrementi reddituali; Cass., 26 giugno 1997, n. 5720, in De Jure, che ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso di prendere in considerazione ai fini della revisione dell’assegno di divorzio gli incrementi di reddito derivati all’obbligato dall’attività di dentista iniziata soltanto dopo lo scioglimento del matrimonio; Cass., 26 settembre 2007, n. 20204, in Foro it., 2007, I, 3385, che ha escluso che l’attività libero-professionale esercitata dall’ex marito al momento del divorzio costituisse il prevedibile sviluppo della carriera da lui svolta nella pubblica amministrazione durante la convivenza matrimoniale.
(34) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, in Dir. Famiglia, 2009, 2, 591.
(35) In questo senso, tra le tante Cass., 15 settembre 2008, n. 23690, cit.
(36) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit.
(37) Cass., 28 gennaio 2004, n. 1487, cit.
(38) Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, cit.
(39) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 596-599.
(40) Arceri, sub art. 12 bis l. div., in Codice della famiglia, cit., 3979 ss.
(41) Pittalis, sub art. 9, l. div. in Codice della famiglia, cit., 3947 ss.
(42) Ronfani, Recensione a Al Mureden Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, inSociologia del diritto, 2008, 193.
(43) Cass., 23 agosto 2006, n. 18367, in Giur. it, 2007, 326, con nota di Barbiera, Difficili modifiche rilevanti dell’assegno di divorzio quantificato secondo il criterio del tenore di vita matrimoniale; Cass. 24 gennaio 2008 n. 1595, in De Jure.
(44) Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, cit.
(45) Cass., 15 settembre 2008, n. 23690, cit.
(46) Ronfani, Recensione a Al Mureden Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, cit., 194.
(47) http://www.giustiziasiclia.it/contenuti/Sito_no_frame/Calcolo Assegni/AssMant.htm
(48) Per una illustrazione degli altri metodi di calcolo cfr. Al Mureden, Tenore di vita e assegni di mantenimento tra diritto ed econometria, in questa Rivista, 2008, 52-58; Id., L’assegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale riabilitativa, in questa Rivista, 2009, 683-693. Con riferimento al metodo “MoCAM” v. Maltagliati e Marliani, in AAVV, Come calcolare gli assegni di mantenimento nei casi di separazione e divorzio, Milano, 2009, 228 ss.; con riferimento al metodo “Chicos” cfr. Maglietta, L’affidamento condiviso, Milano, 2010, 82-87.
(49) Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.
(50) Osserva Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 598, che “i criteri con i quali le c.d. aspettative vengono esaminate sono (…) inaccettabili, perché si parla genericamente di “ragionevole sviluppo” di situazioni già presenti o di miglioramenti “rapportabili all’attività svolta o al tipo di qualificazione professionale”, sicché ne restano esclusi solo i casi di sopravvenuti “eventi eccezionali e imprevedibili”, come nel caso in cui un pubblico dipendente, dopo dieci anni dalla cessazione della vita matrimoniale, abbia intrapreso l’attività libero-professionale”. In realtà, continua l’A., “prevedibili sono solo quegli sviluppi economici già in nuce presenti, come nel caso di miglioramenti legati alla carriera di un pubblico dipendente o di un lavoratore subordinato, programmati in base all’anzianità e dunque conoscibili (…), e non già di un professionista, per il quale il trascorrere del tempo non è, di per sé, garanzia di successo”. Sempre in questo senso l’A. osserva che i “giudici, per altro verso, riconoscono che, in linea di principio, il coniuge divorziato non può accampare diritti su fortune sopravvenute dell’altro coniuge, a cominciare da eredità, o vincite al totocalcio o alla lotteria, ma poi, con l’erroneo argomento dell’aspettativa, recuperano spazi di manovra per favorire il coniuge “sfortunato”, senza considerare che, in questa logica-illogica, divenire eredi significa attualizzare una aspettativa di certo già esistente in precedenza”.
(51) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 596-599.
(52) Cfr. retro par. 3 e 4.
(53) Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 22.
(54) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit.