Consulenza tecnica extraperitale, diritto alla prova e patrocinio a spese dello Stato

Daniele Vicoli, Consulenza tecnica extraperitale, diritto alla prova e patrocinio a spese dello Stato, in Giur. It., 2000, 3

Consulenza tecnica extraperitale, diritto alla prova e patrocinio a spese dello Stato

Corte cost., 19 febbraio 1999, n. 33

Sommario: 1. Premessa. – 2. Riflessi sui rapporti tra la consulenza tecnica extraperitale e la perizia. – 3. Il consulente tecnico quale parte integrante dell’ufficio difensivo. – 4. Gli effetti della declaratoria di incostituzionalità; in particolare, l’ambito applicativo dell’art. 233 c. p. p.

1. Premessa.

Tra i profili di novità caratterizzanti il codice del 1988, un posto di rilievo è occupato dalla disciplina della consulenza tecnica (1). L’inversione di rotta rispetto al previgente assetto si pone come logico corollario di alcuni principi cardine della riforma: matrice adversary del processo, qualità di parte del pubblico ministero, formazione dialettica della prova. Di qui, l’ampliamento, in senso quantitativo e qualitativo, delle funzioni del consulente tecnico, chiamato a svolgere un ruolo piú incisivo secondo due direttrici ben delineate: partecipazione attiva alle operazioni peritali (2) e possibilità di intervenire sulla scena processuale, esternando il proprio sapere specialistico, anche in assenza di perizia (art. 233 c. p. p.). Tra le indicate linee di intervento, è soprattutto la seconda a rivelare la mutata impostazione dei rapporti tra il binomio giudice-perito, da un lato, e quello parti-consulenti tecnici, dall’altro; l’aver sganciato la consulenza tecnica dalla perizia appare, infatti, come il chiaro sintomo di una significativa svolta: vale a dire la fine del monopolio pubblicistico (giudiziale e peritale) sul tema degli apporti conoscitivi a carattere tecnico-scientifico e la corrispondente attribuzione alle parti (anche private) della facoltà di immettere nel processo pareri qualificati per mezzo di propri esperti, in grado di instaurare un rapporto diretto con il giudice.

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Accanto a questo tratto innovativo della nostra codificazione processuale, merita di essere evidenziato un altro dato: l’affermarsi di orientamenti giurisprudenziali che, assimilando la posizione degli esperti di parte a quella dei testimoni ed attribuendo valore probatorio alle dichiarazioni da essi rese in sede di esame ex art. 501 c. p. p., hanno finito con l’esaltare le potenzialità operative della consulenza tecnica extraperitale (3). Per relegare ad un ruolo marginale l’istituto previsto dall’art. 233 c. p. p., sarebbe stato sufficiente assegnare alla consulenza extraperitale — come affermato nella Relazione al Progetto preliminare (4) — una funzione meramente «sollecitatoria» della decisione del giudice di disporre perizia. In questo modo, infatti, si sarebbe implicitamente attribuito il crisma dell’attendibilità ai soli risultati peritali; e la consulenza di cui all’art. 233 c. p. p. — priva di autonoma efficacia probatoria e ridotta a semplice stimolo per il giudice a provvedere ai sensi dell’art. 224 c. p. p. — avrebbe continuato ad essere subalterna alla perizia. Al contrario, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente si è attestato su ben altre posizioni: autonoma rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese dagli esperti di parte in sede di esame e, quindi, piena fungibilità tra consulenza e perizia, da cui discende il venir meno — in presenza di questioni tecniche da risolvere — il dovere del giudice di disporre la seconda, ove siano le parti a fornire, nell’esercizio del diritto alla prova sancito dall’art. 190 c. p. p., i necessari elementi di giudizio.

La sentenza in commento costituisce ulteriore sviluppo del citato indirizzo: col dichiarare illegittimo l’art. 4, 2° comma, primo inciso, L. 30 luglio 1990, n. 217, nella parte in cui, per i consulenti tecnici, limita gli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui è disposta perizia (5), la Consulta ha rimarcato la centralità del ruolo svolto dal consulente tecnico extraperitale e la conseguente esigenza che nessun ostacolo sia frapposto alla sua nomina da parte dell’imputato non abbiente. Del resto, se la perizia non rappresenta l’unico strumento utilizzabile per colmare le lacune conoscitive del giudice in campo tecnico-scientifico, se gli esperti di parte sono potenziali fonti di prova e il pubblico ministero può avvalersene nei piú svariati settori senza limitazioni di oneri economici, si pone allora con forza la necessità di riequilibrare le posizioni di accusa e difesa nei procedimenti che vedono coinvolte persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Tuttavia, la valenza della decisione in oggetto trascende il tema dell’assistenza difensiva dei non abbienti in senso stretto. Infatti, a base della declaratoria di parziale illegittimità, la Corte costituzionale pone un assunto di portata generale: il riconoscimento che la nomina ad opera dell’imputato di un consulente tecnico fuori dei casi di perizia costituisce espressione del diritto di difesa, del quale l’art. 24, 2° comma, Cost. sancisce l’inviolabilità in ogni stato e grado del procedimento. Poiché il nucleo essenziale di garanzie difensive, che devono essere assicurate ai non abbienti (art. 24, 3° comma, Cost.), si ricava per relationem dal concetto di difesa di cui all’art. 24, 2° comma, Cost., è su quest’ultima previsione che fa perno il ragionamento seguito dalla Consulta.

Venendo ad un piú attento vaglio critico della pronuncia, il dato di maggiore risalto concerne l’equiparazione, quanto ad attendibilità dei risultati e ad idoneità probatoria, della consulenza di parte alla perizia. Tale assunto, proprio dell’orientamento giurisprudenziale prevalente richiamato dalla Corte, riverbera i propri effetti su una problematica particolarmente complessa: fino a che punto la consulenza ex art. 233 c. p. p. è in grado di colmare le lacune conoscitive del giudice ed entro quali confini sussiste l’obbligo per quest’ultimo di fare ricorso alla perizia?

Inoltre, sul piano strettamente esegetico, merita attenzione un altro aspetto, concernente l’individuazione degli effetti derivanti dalla declaratoria di incostituzionalità. A tal fine, si rende opportuna un’indagine che, partendo dalla consacrazione del consulente tecnico quale parte integrante dell’ufficio difensivo, analizzi i rapporti tra le norme relative alle varie forme di consulenza di parte (art. 233, art. 359 c. p. p. e art. 38 disp. att.), nel tentativo di assicurare — in nome del principio di parità tra accusa e difesa — ampi spazi operativi all’istituto previsto dall’art. 233 c. p. p.

2. Riflessi sui rapporti tra la consulenza tecnica extraperitale e la perizia.

L’orientamento giurisprudenziale — del quale il giudice delle leggi prende atto — che riconosce valore probatorio ai risultati della consulenza di cui all’art. 233 c. p. p. rende opportuno soffermarsi sull’analisi dei rapporti tra quest’ultima e la perizia, allo scopo di delineare, alla luce del loro carattere fungibile, i momenti di interferenza tra l’operatività dei due istituti.

In via preliminare, è necessario sgomberare il campo da pericolosi equivoci. L’assimilazione dell’esperto di parte al testimone va circoscritta entro confini ben precisi e non deve essere fraintesa, poiché tra i due soggetti le analogie sono limitate alla circostanza che entrambi possono costituire fonti di prova e fornire utili elementi di giudizio (6); al di là di questo profilo che sicuramente accomuna le due figure, emergono profonde differenze. In particolare, non bisogna dimenticare che il testimone riferisce fatti appresi casualmente e, pertanto, è di regola connotato dalla veste dell’imparzialità, a garanzia della quale sussiste l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero; al contrario, il consulente tecnico agisce in una prospettiva parziale, portando a conoscenza del giudice i risultati di un’attività svolta su incarico di parte, e non è vincolato da alcuna formula di impegno (7). Da tale postulato, tuttavia, non discende l’automatica fallacia degli esiti della consulenza tecnica, ma l’imprescindibile esigenza che essi vengano sottoposti al vaglio euristico del contraddittorio, assicurato dal confronto tra tesi antagoniste.

Affinché il confronto dialettico sia effettivo, è necessario, però, che le parti siano in posizione di parità non solo nel momento di accesso alla consulenza tecnica e di svolgimento della stessa, ma anche e soprattutto in quello relativo all’apprezzamento da parte del giudice dell’attendibilità dei rispettivi esperti, che vanno collocati sullo stesso piano, prescindendo da una apodittica diffidenza nei confronti dello specialista nominato dalla difesa. È di fondamentale importanza evitare che la consulenza extraperitale diventi uno strumento ad esclusivo vantaggio dell’accusa; in altri termini, deve essere sventato il rischio che solo il consulente tecnico del pubblico ministero venga ritenuto attendibile fonte di prova, in quanto ausiliario di un organo di giustizia e quindi indirettamente soggetto all’obbligo di verità (8), relegando l’esperto della difesa al ruolo di comparsa, di comprimario, ad alibi per non disporre la perizia. L’idoneità gnoseologica dei risultati probatori acquisiti non può derivare a priori da un generico obbligo di verità, ma deve essere il frutto dello scontro dialettico tra le parti in condizioni paritarie (9). Se cosí non fosse, sarebbe preferibile riconoscere alla consulenza ex art. 233 c. p. p. una funzione meramente «sollecitatoria» e attribuire alla difesa, in presenza di questioni tecniche da risolvere, un incondizionato diritto alla perizia (10).

Posta questa fondamentale premessa metodologica, una prima considerazione riguarda l’influenza che la consulenza ex art. 233 c. p. p. esercita sulla decisione di ammissibilità della perizia, che nella trama del codice di rito continua ad essere lo strumento privilegiato per avvalersi nel processo del contributo della scienza e della tecnica. L’assunto trova conferma nella circostanza che l’art. 220 c. p. p. (la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni […]) sembrerebbe affermare il principio di obbligatorietà della perizia, al fine di porre un freno alla prassi, maturata sotto la vigenza del codice Rocco, del ricorso alla «comune esperienza» del giudice per risolvere problemi di natura tecnica. Infatti, è noto come, in virtú del libero convincimento inteso quale tendenziale onniscienza dell’organo giurisdizionale, siano state spesso eluse le garanzie insite nel metodo peritale (11). Nonostante il chiaro dettato codicistico e le indicazioni della dottrina (12), la giurisprudenza ritiene tuttora che l’esercizio del potere di disporre perizia sia caratterizzato da ampi margini di facoltatività, che vanno oltre l’accertamento — per forza di cose discrezionale — relativo alla sussistenza di una questione tecnica, scientifica o artistica (13). Secondo questo orientamento, il giudice, una volta riscontrata la concreta ed effettiva esigenza di avvalersi di un esperto, è chiamato a verificare che i necessari elementi di giudizio non siano già stati acquisiti aliunde. Dovendosi ritenere che l’unico mezzo in grado di assolvere tale funzione surrogatoria senza ledere il principio del contraddittorio e salvaguardando la specificità della prova tecnica sia la consulenza extraperitale (14), risultano evidenti le interferenze tra quest’ultima e la decisione circa l’ammissibilità della perizia. Al fine di stabilire se disporre o meno una perizia, il giudice compie una serie di valutazioni intermedie, l’ultima delle quali concerne la sufficienza e il grado di attendibilità degli elementi forniti dai consulenti di parte; piú precisamente, egli deve accertare che i dati conoscitivi offerti dalle consulenze siano tali da consentire la soluzione dei problemi tecnico-scientifici: solo qualora tale verifica dovesse avere esito negativo, si imporrebbe il ricorso al metodo peritale. Ricostruito l’iter decisorio che il giudice segue, va segnalato l’affiorare di un’aporia già evidenziata con riguardo al momento valutativo dei risultati peritali: quella di un giudice privo di adeguata competenza tecnico-scientifica che deve vagliare la bontà delle tesi e delle conclusioni sostenute da esperti del settore (15). Al riguardo, l’unica garanzia, peraltro piuttosto blanda, sembra essere una motivazione il piú possibile analitica, rigorosa e completa, la quale deve indicare le prove poste a base della decisione ed enunciare le ragioni per le quali non si ritengono attendibili le prove contrarie (art. 546, 1° comma, lett. e, c. p. p.) (16).

In secondo luogo, occorre chiedersi fino a che punto la consulenza ex art. 233 c. p. p. possa surrogare la perizia; in altre parole, ci sono casi in cui, nonostante gli apporti conoscitivi dei consulenti di parte siano scientificamente validi, l’ammissione della perizia si pone in termini di doverosità? Se la risposta sembra essere affermativa, dal momento che in tema di prova tecnica il principio dispositivo è temperato da consistenti poteri officiosi del giudice (artt. 224 e 508, 1° comma, c. p. p.), il quadro si complica quando si tenta di fissare il parametro per individuare tale ipotesi.

Premesso che sembra quantomeno problematico tracciare univoche linee direttive, è possibile indicare alcuni criteri-guida. Ad imporre al giudice la nomina di un perito, potrebbero essere una situazione di disaccordo tra i consulenti di parte, i quali siano giunti a conclusioni opposte, e la conseguente esigenza di avvalorare una delle tesi antagoniste e di dirimere il contrasto (17). Tuttavia, è palese come, in questo modo, verrebbero fortemente ridimensionate le potenzialità operative della consulenza extraperitale, la cui valenza sarebbe limitata ai casi di questioni tecniche di facile soluzione e tali da rendere perfino superflua la nomina di un perito. In alternativa, il ricorso alla perizia potrebbe considerarsi doveroso in presenza di problemi tecnici particolarmente complessi, che per la loro soluzione richiedano metodi d’indagine sperimentali, in quanto non sottoposti al precedente vaglio di una pluralità di casi ed al confronto critico tra gli esperti del settore; in simili circostanze, infatti, sembrano assumere maggiore rilievo le garanzie di imparzialità intrinseche al metodo peritale. Il termine di riferimento da ultimo indicato è sicuramente piú restrittivo, ma sembra lasciare ampi margini di discrezionalità al giudice e rivelarsi, quindi, incapace di segnare una precisa linea di confine. Altro parametro potrebbe individuarsi nella decisività della perizia, nel senso di ritenere obbligatorio l’accertamento peritale qualora i relativi risultati potessero inficiare le conclusioni degli esperti di parte e spingere il giudice ad adottare una decisione diversa. Anche tale criterio, però, non va esente da critiche, dovendo l’organo giurisdizionale compiere una prognosi tutt’altro che agevole e difficilmente controllabile (18). Come si vede, è arduo delimitare in termini generali un’area elettiva di necessaria operatività della perizia a scapito della consulenza di parte, risultando preferibile seguire un’impostazione casistica, che tenga conto delle peculiari caratteristiche di ciascuna situazione concreta e fermo restando l’obbligo del giudice di dare conto delle proprie scelte in motivazione (art. 546, 1° comma, lett. e c. p. p.).

3. Il consulente tecnico quale parte integrante dell’ufficio difensivo.

Come già anticipato, la pronuncia in oggetto ruota intorno alla pregnante valorizzazione del ruolo del consulente tecnico, tanto da affermare che «la facoltà dell’imputato di [avvalersene costituisce] espressione del diritto di difesa tutte le volte in cui l’accertamento della responsabilità penale richieda il possesso di cognizioni tecniche che, come non possono essere presunte nella persona del giudice, cosí possono non essere proprie del difensore». Ne consegue una significativa specificazione del concetto di difesa ex art. 24, 2° comma, Cost. Tale norma, infatti, presenta carattere «aperto», nel senso che l’insieme dei diritti, dei poteri e delle facoltà costituenti manifestazione dell’attività difensiva non è tassativamente elencato, ma va ricavato in via esegetica (19). Poiché la previsione costituzionale ha scarsa capacità denotativa, spetta all’interprete il delicato compito di individuare il contenuto — rispetto al quale acquista significato il predicato «inviolabile» — del diritto di difesa (20). In quest’ottica, l’intervento della Consulta assume particolare rilievo, poiché determina un ampliamento delle garanzie difensive costituzionalmente tutelate, tra le quali è ora a pieno titolo inserita quella di nominare un consulente tecnico extraperitale (21).

Analizzando piú da vicino l’iter logico-argomentativo della pronuncia, la qualificazione dell’attività dei consulenti quale aspetto dell’esercizio del diritto di difesa poggia su due rilievi. In primo luogo, viene messo in luce il profilo teleologico della consulenza tecnica ex art. 233 c. p. p., vale a dire l’attitudine dei suoi risultati ad assumere valore probatorio e la sua perfetta fungibilità rispetto alla perizia; in secondo luogo, è evidenziata la piena assimilazione dell’esperto di parte al difensore, dato ricavabile da una serie di previsioni: gli artt. 380 e 381 c. p. che puniscono la consulenza infedele, l’art. 103 c. p. p. che vieta il sequestro presso i consulenti tecnici di carte e documenti relativi all’oggetto della difesa (2° comma), l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni dei consulenti tecnici e loro ausiliari e di quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite (5° comma) e, infine, l’art. 200, 1° comma, lett. b) c. p. p. che riconosce agli esperti di parte la facoltà di avvalersi del segreto professionale (22).

In realtà, anche sotto la vigenza del codice Rocco, quando il consulente esplicava le sue funzioni esclusivamente nell’ambito delle operazioni peritali, la Corte costituzionale aveva avuto modo di sottolinearne la qualità di parte integrante dell’ufficio di difesa (23). Se da un lato, quindi, si registra il semplice consolidamento di un indirizzo già espresso in precedenza, dall’altro, è però possibile cogliere interessanti profili di novità. Nel contesto del codice del 1930, infatti, dall’attribuzione al consulente tecnico di un ruolo strettamente difensivo, si faceva discendere una «svalutazione» della sua attività, la quale, essendo prestata nell’interesse dell’imputato, era caratterizzata da inevitabili tratti di parzialità e, pertanto, non poteva essere ritenuta omogenea a quella del perito, che invece svolge una funzione direttamente ausiliaria del giudice ai fini dell’accertamento della verità (24). In via indiretta, quindi, si affermava il principio per cui, ove fosse necessario acquisire conoscenze di tipo specialistico, l’unica strada percorribile era rappresentata dalla perizia, non potendo considerarsi attendibili gli esiti di una attività di parte, quale quella dell’esperto stragiudiziale incaricato dalla difesa.

Di ben altro tenore le affermazioni contenute nella sentenza annotata, che fonda la centralità del consulente tecnico extra peritia proprio sul rango di prova dei risultati conseguiti e portati a conoscenza del giudice in sede di esame. La valorizzazione del ruolo del consulente non si risolve in una sterile affermazione di principio, in quanto la Corte costituzionale sembra avallare la tesi secondo la quale il libero ricorso delle parti all’assistenza di esperti nelle diverse materie tecniche giova alla ricerca processuale (25); alla stregua del perito, il consulente svolge un’attività capace di contribuire alla formazione del convincimento giudiziale. Di conseguenza, la sua nomina da parte dell’imputato non abbiente non può essere condizionata dalla decisione del giudice di disporre perizia, anche perché «la necessità di assistenza può non essere attuale nei confronti dell’ufficio di decisione ed esserlo nei confronti dell’ufficio di difesa […]» (26).

4. Gli effetti della declaratoria di incostituzionalità; in particolare, l’ambito applicativo dell’art. 233 c. p. p.

L’intervento additivo operato dalla Corte costituzionale non delimita con esattezza i confini entro i quali il non abbiente possa beneficiare del supporto economico dello Stato per l’ausilio di un esperto; non è chiaro, infatti, se gli effetti del patrocinio statale siano limitati al consulente che opera nello stadio processuale ovvero si estendano anche a quello nominato nel corso delle indagini (27).

A tal fine, è necessario concentrare l’attenzione su un punto cruciale: l’ambito di operatività della norma che prevede la consulenza extraperitale. Piú precisamente, deve essere sciolto un dubbio di non poco rilievo: l’istituto disciplinato dall’art. 233 c. p. p. può trovare applicazione solo nella fase processuale ovvero anche in quella investigativa? È evidente, infatti, come dalla soluzione in un senso o nell’altro del quesito prospettato dipenda l’ampiezza della facoltà, riconosciuta ai non abbienti, di avvalersi di un esperto a spese dello Stato (28). Nasce, cosí, l’esigenza di analizzare, in termini generali, i rapporti intercorrenti tra l’art. 233 c. p. p. e le altre ipotesi espressamente menzionate di consulenza non peritale (artt. 359 c. p. p. e 38 disp. att.).

Una plausibile ipotesi ricostruttiva, sensibile al principio della separazione delle fasi, delimita secondo rigidi schemi la sfera d’azione del consulente ex art. 233 c. p. p., da un lato, e di quelli ex artt 359 c. p. p. e 38 disp. att., dall’altro: mentre il primo è destinato ad operare esclusivamente nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale, i secondi, al contrario, solo in quella preliminare (29). In particolare, a sostegno della vocazione processuale della consulenza extraperitale, si adducono due rilievi: la collocazione dell’art. 233 c. p. p. nel libro concernente i mezzi di prova (tipiche fonti di convincimento del giudice dibattimentale) e la circostanza che la stessa norma abbia come destinatari le parti e il giudice (terminologia rivelatrice della già avvenuta instaurazione del processo). Circoscritti i rispettivi ambiti operativi, si riconosce la possibilità che tra le diverse forme di consulenza si instauri un rapporto di progressione cronologica e, quindi, di convertibilità: l’esperto nominato ai sensi dell’art. 233 c. p. p. può essere lo stesso che ha operato nel corso delle indagini (30), affinché venga evitata la perdita di dati conoscitivi ed assicurata la continuità dell’assistenza tecnica alla parte. Ebbene, sulla base di tale opzione interpretativa, non sarebbe possibile consentire al non abbiente di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato per la nomina di un consulente durante la fase delle indagini preliminari. A tal fine, la semplice eventualità che la consulenza tecnica svolta nella fase investigativa possa confluire in quella prevista dall’art. 233 c. p. p. non è elemento sufficiente (31), poiché il presupposto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sarebbe integrato solo con il passaggio della sequenza procedurale allo stadio processuale.

La tesi esposta, che comprime il raggio d’azione del consulente extraperitale, non convince del tutto. Sembra preferibile un diverso percorso interpretativo, sulla base del presupposto che gli artt. 359 c. p. p. e 38 disp. att. costituiscono specificazioni dell’art. 233 c. p. p. (32). A fondare tale opzione esegetica, vi è il rilievo che sia sotto il profilo strutturale (oggetto e tipo di attività consentita) che sotto quello funzionale (utilizzabilità dei risultati conseguiti) non si registrano sostanziali differenze tra le diverse ipotesi di consulenza non peritale.

Con riguardo al primo aspetto, deve ritenersi che l’oggetto della consulenza ex art. 233 c. p. p. vada mutuato dalla disciplina della perizia, nel senso che il presupposto idoneo a rendere attuale l’esigenza di nominare un esperto extraperitale coincide con quello fissato dall’art. 220 c. p. p.: necessità di svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (33). Di conseguenza, non può ritenersi che l’attività del consulente extra peritia abbia mero carattere «deducente», nel senso che debba limitarsi alla formulazione di massime d’esperienza fondate su conoscenze generali (34); al contrario, se si vuole rendere effettivo il disegno che configura la perizia e la consulenza tecnica di cui all’art. 233 c. p. p. come perfettamente fungibili, l’attività dell’esperto di parte deve essere modellata su quella del perito e, quindi, spaziare dal mero rilevamento di dati alla valutazione di elementi conoscitivi già acquisiti, fino a coniugare entrambi i momenti (percettivo e deduttivo) (35). Delimitato in questi termini l’ambito oggettivo dell’art. 233 c. p. p., ne deriva la coincidenza con il disposto dell’art. 359 c. p. p. (36) [nonché dell’art. 348, 4° comma, c. p. p. con riferimento alle indagini della polizia giudiziaria (37)] e, per relationem, con quello dell’art. 38 disp. att. L’art. 359 c. p. p., infatti, non si caratterizza per la previsione di differenti presupposti applicativi, ma solo per una piú analitica cura descrittiva, elencando, secondo un ordine decrescente di complessità, atti d’indagine che per il loro compimento comunque richiedono particolari competenze tecniche, sia pure diverse per grado e natura: l’accertamento vero e proprio, i rilievi e, con una formula di chiusura, ogni altra operazione (38). Nel silenzio del legislatore, deve poi ritenersi che il consulente di cui all’art. 38 disp. att. abbia le stesse possibilità di azione, dovendo i poteri dell’accusa trovare simmetrica corrispondenza in quelli della difesa. Pertanto, non è dato cogliere un significativo scarto — sotto l’aspetto oggettivo — tra il ruolo del consulente ex art. 38 disp. att. e quello dell’esperto ex art. 233 c. p. p.

Anche con riguardo al profilo funzionale, è possibile registrare una tendenziale sovrapponibilità tra l’art. 233 c. p. p. e le norme che prevedono l’intervento di esperti di parte nel corso delle indagini. Non trova, infatti, pieno riscontro nell’impianto codicistico la tesi secondo la quale mentre il compito dell’esperto nominato durante le indagini si esaurirebbe all’interno del rapporto con la parte (pubblico ministero o difensore), quello del consulenteex art. 233 c. p. p., al contrario, abbraccerebbe anche l’esposizione al giudice dei risultati del proprio operato. A ben vedere, in entrambi i casi, l’attività del consulente segue un andamento bifasico: dapprima le ipotesi ricostruttive formulate e le valutazioni compiute sono esposte alla parte e poi, eventualmente, possono essere portate a conoscenza del giudice in vista di una decisione da adottare. In altre parole, non solo nel caso previsto dall’art. 233 c. p. p., ma anche in quelli di cui agli artt. 359 c. p. p. e 38 disp. att. gli esiti della consulenza possono avere come destinatario il giudice che presiede alla fase in corso (39). Naturalmente variano, a seconda del momento procedimentale, le modalità attraverso le quali e gli scopi per i quali i risultati della consulenza tecnica sono portati all’attenzione del giudice. Nel corso delle indagini, il parere dell’esperto sarà presentato in forma scritta per il tramite del pubblico ministero o del difensore (art. 38, comma 2 bis, c. p. p.), in vista delle decisioni interinali — in primis quelle in tema di misure cautelari — da adottare. In sede di udienza preliminare, il consulente potrà essere sentito dal giudice, qualora il suo apporto conoscitivo appaia di evidente decisività ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere (art. 422, 1° comma, c. p. p.). Durante l’istruzione dibattimentale, infine, gli esperti di parte potranno esporre oralmente ovvero tramite memoria scritta il proprio parere ed essere esaminati, previa indicazione nelle liste testimoniali (art. 468, 1° comma, c. p. p.), ai sensi dell’art. 501 c. p. p. In particolare, va notato che le norme relative alle due ultime ipotesi (udienza preliminare e dibattimento) parlino genericamente di consulenti tecnici, con ciò lasciando intendere che possa trattarsi anche di soggetti nominati ai sensi degli artt. 359 c. p. p. e 38 disp. att., oltre che sulla base del disposto dell’art. 233 c. p. p.

Alla luce della ricostruzione sistematica prospettata, la tesi che subordina all’avvenuto esercizio dell’azione penale l’operatività della norma che prevede la consulenza extra peritia lascia perplessi. Infatti, in quanto funzionale al soddisfacimento di primarie esigenze difensive, l’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 233 c. p. p. alle indagini sembra discendere dall’art. 24, 2° e 3° comma, Cost. Innanzitutto, e allo specifico fine che qui interessa, si consentirebbe al non abbiente di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato per la nomina di un consulente tecnico anche nella fase preliminare. In secondo luogo, verrebbe attuata una istanza di riequilibrio delle posizioni di accusa e difesa nel corso delle indagini, dando corpo, in relazione al tema degli apporti conoscitivi a carattere specialistico, al disposto dell’art. 38 disp. att. e consentendo alle parti private di ricoprire un ruolo piú incisivo sul piano dei contributi probatori; in questo senso, l’esperto di parte sarebbe legittimato ad assistere, nei limiti in cui è consentita la presenza del difensore, agli atti compiuti dal p. m. e dalla polizia giudiziaria. In definitiva, il configurare i rapporti tra l’art. 38 disp. att. e l’art. 233 c. p. p. in termini di inclusione, anziché di mera progressione cronologica, sembra maggiormente in sintonia con la garanzia dell’inviolabilità in ogni stato e grado del procedimento del diritto di difesa, del quale la nomina di un consulente tecnico extraperitale costituisce espressione.

Qualora la prassi dovesse orientarsi nel senso di escludere gli effetti del patrocinio a spese dello Stato per la nomina di un consulente extraperitale nel corso delle indagini (40), sarebbe auspicabile un ulteriore intervento della Corte costituzionale, al fine di estendere alla fase procedimentale gli effetti della pronuncia in oggetto (41), la quale rappresenta un significativo passo verso l’ampliamento delle garanzie dei non abbienti. Proseguendo su tale strada, anzi, possono avanzarsi fondati dubbi di legittimità anche sulla seconda parte dell’art. 4, 2° comma, L. 30 luglio 1990, n. 217, la quale esclude gli investigatori privati di cui all’art. 38 disp. att. dal novero dei professionisti dei quali è possibile beneficiare a spese dello Stato. Alla luce del ruolo che tali soggetti possono rivestire in ordine all’esercizio del diritto alla prova, anche la loro nomina dovrebbe farsi rientrare nel concetto di difesa ex art. 24, 2° comma, Cost. e, quindi, tra quelle garanzie che lo Stato deve assicurare ai non abbienti (42).

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(1) Cfr. Amodio, Perizia e consulenza tecnica nel quadro probatorio del nuovo processo penale, in Cass. Pen., 1989, 173 e seg.; Frigo, Il consulente tecnico della difesa nel nuovo processo penaleivi, 1988, 2177 e seg.; Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993, 93 e seg.

(2) V. Dean, voce «Consulenza tecnica», in Digesto Pen., III, Torino, 1994, 514; Rivello, voce «Perito e perizia», ivi, IX, 1994, 470; Scalfati, voce «Consulenza tecnica (dir. proc. pen.)», in Enc. Giur. Treccani, VIII, Roma, 1997, 4.

(3) Cass., Sez. II, 28 febbraio 1997, Santilli, in Cass. Pen., 1998, 1389, n. 839; Id., Sez. VI, 16 marzo 1995, Proc. Gen. in proc. Albero, in C.E.D. Cass., 1995, n. 200996; Id., Sez. I, 13 ottobre 1993, Pelliccia, ivi, 1993, n. 198108; Id., Sez. VI, 29 settembre 1992, Soibni Mohamed Alí, in Giur. It., 1993, II, 733; Trib. Lecce, 3 gennaio 1992, Conversano ed altri, in Foro It., 1992, II, 463. Contra, Cass., Sez. IV, 8 febbraio 1991, P. M. in proc. Romaniello, in Giust. Pen., 1992, III, 231; secondo la quale la consulenza tecnica disposta dal p. m. nel corso delle indagini preliminari non ha valore di prova e non può essere equiparata alla perizia, costituendo semplice attività di parte.

(4) Rel. Prog. prel. c. p. p., in Gazz. Uff. n. 250, Serie generale, Suppl. ord. n. 2, 24 ottobre 1988, 66.

(5) Dubbi sulla ortodossia costituzionale di tale previsione erano stati già avanzati da Kostoris, op ult. cit., 111.

(6) Cfr. Kostoris, Consulente tecnico extraperitale e gratuito patrocinio, in Cass. Pen., 1999, 2793.

(7) Sul punto, si registrano posizioni divergenti, ritenendo parte della dottrina l’art. 497, 2° comma, c. p. p. applicabile all’esame del consulente tecnico. Per una sintesi del panorama dottrinale e giurisprudenziale, v.Corbetta, sub art. 501, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, Milano, 1997.

(8) In questo senso, Potetti, Note in tema di consulente tecnico extraperitale, in Cass. Pen., 1997, 290 e seg.
Tuttavia, l’Autore ritiene che non vengano lesi i principi di uguaglianza e di parità delle parti processuali, poiché lo 
status dei consulenti di accusa e difesa è profondamente diverso sul piano fondamentale dei doveri e delle responsabilità.

(9) Cfr. Illuminati, Ammissione e acquisizione della prova nell’istruzione dibattimentale, in AA. VV., La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 105.

(10) Deve ritenersi che il giudice possa fondare la propria decisione esclusivamente sui risultati della consulenza disposta dal pubblico ministero, solo qualora le altre parti abbiano rinunciato ad instaurare un contraddittorio tecnico, omettendo di nominare un esperto o di chiedere la perizia (Illuminati, op. cit., 106).

(11) V. Nobili, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1973, 371 e seg.

(12) Cfr. Bielli, op. cit., 70; Cordero, Procedura penale, 4ª ed., Milano, 1998, 713; Grevi, Prove, in AA. VV., Profili del codice di procedura penale, 4ª ed., a cura di G. Conso e V. Grevi, Padova, 1996, 262. Parzialmente difforme la posizione di Rivello, op. cit., 470, secondo il quale l’art. 220 c. p. p. configura un’ipotesi di discrezionalità vincolata.

(13) Cass., Sez. V, 10 dicembre 1997, Illiano ed altri, in C.E.D. Cass., 1998, n. 209805; Id., Sez. I, 3 giugno 1994, Nappi, in Arch. Nuova Proc. Pen., 1995, 711;
Id., Sez. I, 20 ottobre 1993, Vassallo, in 
C.E.D. Cass., 1993, n. 195594; Id., Sez. I, 9 giugno 1993, Nastasi, ibid., n. 194776.

(14) Non possono condividersi quelle pronunce che ritengono possibile risolvere le questioni tecniche sulla base di elementi desunti, oltre che dai pareri dei consulenti di parte, dalle ammissioni degli imputati, dagli accertamenti di polizia, dalle dichiarazioni testimoniali (Cass., Sez. VI, 7 ottobre 1992, Orso, in C.E.D. Cass., 1992, n. 193146; Id., Sez. VI, 12 maggio 1992, Michetti, ibid., n. 191412).

(15) V. Kostoris, I consulenti tecnici, cit., 322; Nobili, op. cit., 384 e seg.

(16) In tal senso, è condivisibile Cass., Sez. I, 13 ottobre 1993, Pelliccia, cit., secondo la quale il giudice non ha l’obbligo di disporre perizia, se con logica ed adeguata motivazione ne dimostri la non necessità per essere gli elementi forniti dai consulenti tecnici privi di incertezza, scientificamente corretti, basati su argomentazioni logiche e convincenti.

(17) Di questo avviso, Cass., Sez. I, 18 gennaio 1995, Mazzoni, in C.E.D. Cass., 1995, n. 201496.

(18) Cfr. Cass., Sez. I, 20 ottobre 1993, Sperotto, in C.E.D. Cass., 1993, n. 196369, secondo la quale la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se […] le eventuali risultanze della perizia siano tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice.

(19) Cfr. Scaparone, Commento all’art. 24, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, 1981, 84.

(20) Cfr. Ferrua, voce «Difesa (diritto di)», in Digesto Pen., III, Torino, 1989, 477.

(21) Kostoris, Consulenza tecnica extraperitale, cit., 2790, sottolinea l’importanza di tale ampliamento, in quanto finalizzato a tutelare non una esigenza «oggettiva», ma una scelta soggettiva della parte e funzionale all’attuazione di una strategia difensiva.

(22) Secondo Kostoris, op. ult. cit., 2790, il ragionamento seguito dalla Consulta, pur sovrapponendo i concetti di prova e di difesa, ha il pregio di mettere in evidenza la duplice funzione che i consulenti tecnici svolgono nel processo: quella di ausiliari della parte e quella (eventuale) di soggetti di prova.

(23) V. Corte cost., 29 ottobre 1987, n. 345, in Giur. Cost., 1987, 2652; Id., 8 giugno 1983, n. 149, ivi, 1983, 1581; Id., 4 luglio 1974, n. 199, ivi, 1974, 1681.

(24) Cfr. Corte cost., 4 luglio 1974, n. 199, cit.

(25) Di questo avviso Bielli, Periti e consulenti nel nuovo processo penale, in Giust. Pen., 1991, III, 73, secondo il quale la consulenza tecnica fuori dei casi di perizia dovrebbe rappresentare la regola e non l’eccezione.

(26) Del Pozzo, voce «Consulente tecnico (dir. proc. pen.)», in Enc. Dir., IX, Milano, 1961, 541.

(27) Kostoris, op. ult. cit., 2792, sostiene che la declaratoria di parziale illegittimità non si estenda ai consulenti investigativi, essendo quest’ultimi compresi nel dettato dell’art. 4, 2° comma, secondo inciso, legge n. 217/1990, ai sensi del quale gli effetti dell’ammissione al patrocinio statale non si producono relativamente ai soggetti che svolgono investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova di cui all’art. 38 disp. att. Tuttavia, è preferibile ritenere che la previsione normativa sopra citata si riferisca ai soli investigatori privati; in questo senso, Osnato, sub art. 4, in Commento alla legge 30 luglio 1990, n. 217, in Legislazione pen., 1990, 480 e, implicitamente, Sechi, Illegittima un’altra norma del patrocinio per i non abbienti, in Dir. Pen. e Proc., 1999, 584.

(28) Anche se nel dispositivo della sentenza non si fa espresso riferimento all’art. 233 c. p. p., la motivazione risulta incentrata esclusivamente su tale norma e priva di richiami all’art. 38 disp. att., la cui importanza è invece sottolineata nell’ordinanza di rimessione (Gazz. Uff. n. 44, I Serie speciale, 29 ottobre 1997, 72 e seg.).

(29) V. Cremonesi, Natura giuridica e funzioni del consulente tecnico del pubblico ministero nelle indagini preliminari, in Giust. Pen., 1995, III, 253; Kostoris, I consulenti tecnici, cit., 104.

(30) V. D’Ambrosio, sub art. 359, in Commento Chiavario, Torino, 1990, 180; Kostoris, op. ult. cit., 104.

(31) In senso contrario, v. Sechi, op. cit., 585.

(32) Al riguardo, Scalfati, op. cit., 16, parla di eterointegrazione.

(33) Cfr. Cossignani, I consulenti tecnici del p.m. tra limiti normativi e distorsioni applicative, in Dir. Pen. e Proc., 1997, 335.

(34) È di questo avviso Nappi, Guida al c. p. p., 4ª ed., Milano, 1997, 295.

(35) In questo senso, v. Cossignani, op. cit., 335; D’Ambrosio, op. cit., 180; Dean, op. cit., pag. 516; Frigo, op. cit., 2180; Scalfati, op. cit., 7.

(36) V., piú ampiamente, Cossignani, op. cit., 336-337. Parzialmente difforme la posizione di D’Ambrosio, op. cit., 181 e 204, il quale ritiene che la consulenza ex art. 233 c. p. p., pur potendo consistere in operazioni sperimentali ed indagini, non possa riguardare — a differenza di quella ex art. 359 c. p. p. — attività meramente esecutive.

(37) V. D’Ambrosio, op. cit., 178, secondo il quale le differenze tra il testo dell’art. 359 c. p. p. e quello dell’art. 348, 4° comma, c. p. p., che fa riferimento a persone idonee in possesso di specifiche competenze tecniche, sono frutto di un difettoso coordinamento e, pertanto, di carattere nominalistico.

(38) Sul significato da attribuire alle tre categorie di atti indicate dall’art. 359 c. p. p., v. D’Ambrosio, op. cit., 198; Scalfati, op. cit., 9.

(39) Sull’utilizzabilità dei risultati della consulenza tecnica disposta dal p. m. nel corso delle indagini, v. Nuzzo, Il consulente tecnico del pubblico ministero nelle indagini preliminari, in Arch. Nuova Proc. Pen., 1994, 610.

(40) In ogni caso, deve ritenersi che, per effetto dell’intervento della Consulta, il patrocinio a spese dello Stato copra la nomina del consulente tecnico da parte del non abbiente in occasione di un accertamento non ripetibile compiuto dal p. m. (art. 360 c. p. p.), soprattutto alla luce della piena utilizzabilità dibattimentale dei risultati in tal modo acquisiti. Cfr. Sechi, op. cit., 585.

(41) Affinché il patrocinio a spese dello Stato sia esteso al consulente investigativo, sembrerebbe sufficiente una pronuncia interpretativa di rigetto, che definisca l’ambito applicativo dell’art. 233 c. p. p. In senso contrario,Kostoris, Consulente tecnico extraperitale, cit., 2792, il quale ritiene necessaria un’ulteriore declaratoria di incostituzionalità.

(42) Cfr. Kostoris, op. ult. cit., 2792; Sechi, op. cit., 585.


Autore: Prof. avv. Daniele Vicoli

Professore associato di Diritto processuale penale nell'Università di Bologna, dove insegna Procedura penale e Diritto dell'esecuzione penale. Nel 2002 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in procedura penale. Successivamente è stato assegnista di ricerca. Ricercatore di procedura penale dal 2006, nel 2013 ha conseguito l'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 12/G2. Svolge l'attività professionale di avvocato. Ha partecipato a progetti di ricerca di rilevanza nazionale e internazionale. E' autore di numerose pubblicazioni (tra le quali uno studio monografico sui rapporti tra completezza e limiti cronologici delle indagini e il trattato "Procedura penale dell'esecuzione") nonché di saggi su molteplici istituti del sistema processuale penale.

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