Margherita Pittalis, Configurabilità, ambiti di operatività e fondamento della scriminante sportiva, in Diritto dello sport, 2011, vol. 4, p. 379-386, ISBN: 9788873957270
CONFIGURABILITA’, AMBITI DI OPERATIVITA’ E FONDAMENTO
DELLA SCRIMINANTE SPORTIVA
Davvero delicato è il compito affidatomi, di trarre le conclusioni all’esito di una mattinata così ricca di spunti di riflessione, in una materia, come il diritto sportivo e più in generale lo sport, che più di ogni altra appare caratterizzata da una intrinseca interdisciplinarietà, poichè abbraccia trasversalmente una variegata gamma di scienze e discipline, delle quali soltanto alcune sono protagoniste dell’odierno convegno.
Si può certamente rilevare come i contributi degli illustri relatori che ci hanno sin qui intrattenuto, nell’affrontare dai rispettivi differenti punti di vista la tematica degli infortuni dell’atleta, tema dell’odierna giornata di studi, si siano inevitabilmente imbattuti nella c.d. responsabilità “sportiva”, la cui autonomia rispetto alle generali responsabilità di natura penale e civile è alquanto discussa.
Come infatti è emerso dalle relazioni del Prof. Piazza, del Prof. Sicari e del Prof. Iovino, ci si chiede infatti se, ogniqualvolta si tratti di disciplinare un fatto lesivo occorso nell’ambito dello sport, la peculiare rilevanza che in tale ambito assumono le regole “tecniche” della singola disciplina sportiva snaturi il funzionamento delle regole penali e civili ordinarie in tema di responsabilità per fatto illecito, ovvero se la responsabilità “sportiva” non sia piuttosto ed unicamente un particolare settore della responsabilità per fatto illecito, nel quale l’osservanza o meno delle regole “tecniche” del singolo sport assume prioritario risalto nella disciplina delle conseguenze giuridiche di un infortunio cagionato in ambito sportivo, ma che comunque, al di là e talvolta anche a prescindere dal rispetto delle specifiche regole tecniche, lascia comunque vivere ed operare le regole generali dell’illecito penale e civile.
Dalla nutritissima casistica giurisprudenziale rinvenuta, si evince come la seconda interpretazione sia quella pacificamente accolta nelle decisioni, che infatti, nel prendere pur sempre come punto di riferimento l’osservanza o meno delle regole sportive, tuttavia mostrano di rapportarle costantemente alle regole generali in tema di responsabilità da fatto illecito, che finiscono quindi per rivelarsi come una sorta di soglia precauzionale di salvaguardia che lo sportivo deve comunque avere ben presente nello svolgimento della propria attività, professionale o ludica.
Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere Come infatti abbiamo sentito sottolineare dai relatori di questa prima seduta mattutina, lo sport e la relativa responsabilità per gli eventuali infortuni occorsi, coinvolge non soltanto coloro che vi partecipano in prima persona in qualità di atleti, ma anche gli organizzatori degli incontri sportivi, siano essi professionistici o ludici, i gestori degli impianti sportivi utilizzati, gli allenatori e gli istruttori sportivi, i medici sportivi, di cui ci ha approfonditamente parlato la Prof. D’Innocenzo, e i direttori di gara; in definitiva, tutti coloro che, come ben ha messo in risalto il Prof. Iovino, rivestono posizioni c.d. “di garanzia” connesse a particolari funzioni e ruoli. In relazione a ciascuno di questi soggetti si pone l’esigenza di delimitare l’ambito dell’illecito meramente “sportivo”, vale a dire rilevante e suscettibile di essere eventualmente sanzionato unicamente all’interno della singola disciplina sportiva di riferimento, rispetto all’illecito comune, dotato di rilievo in seno all’ordinamento generale. A tal fine, in dottrina e in giurisprudenza, al di là del possibile – quanto insoddisfacente sotto svariati profili messi in luce dai relatori della mattinata – inquadramento della condotta sportiva lesiva nell’ambito di operatività delle cause di giustificazione codificate di cui agli artt. 50 e 51 c.p., ci si è preoccupati di indagare la configurabilità di una esimente atipica della condotta sportiva lesiva (c.d. “scriminante sportiva”), pervenendo all’assunto condiviso, alla cui stregua in ciascuna disciplina sportiva vi sarebbe una soglia più o meno estesa di rischio di lesioni alla stessa connaturato e quindi accettato come inevitabile dal singolo partecipante, atleta o meno, cosicchè verrebbero riguardate come illecite da parte dell’ordinamento generale le sole lesioni esorbitanti rispetto a detta soglia di rischio c.d. “consentito”, mentre quelle in essa ricomprese acquisirebbero rilievo soltanto nell’ambito del particolare sport di riferimento. Tale soglia di rischio sportivo intrinseco alla singola disciplina sarebbe definibile, per riprendere le efficaci espressioni che abbiamo sentito quest’oggi utilizzare dal Prof. Fridman, come ”obvious risk that cannot be avoided by the exercise of duty of care”, ovvero come “inherent risk”, considerato tale da una “reasonable person”, e verrebbe a configurarsi come l’elemento di unificazione di tutte le ipotesi di responsabilità sportiva, sia che l’infortunio venga provocato ad un atleta da un altro atleta ovvero da uno degli altri soggetti partecipanti sopra considerati, sia che venga provocato a terzi. Ed invero, oltre gli atleti, anche l’organizzatore dell’incontro ed il gestore dell’impianto vengono chiamati a rispondere degli eventi lesivi occorsi ad atleti o terzi a causa del superamento del rischio “sportivo” specifico della singola disciplina, che sia eventualmente dipeso da carenze organizzative o da inefficienze degli impianti o delle attrezzature utilizzati; anche gli istruttori – ed eventualmente i genitori – rispondono quando viene posto in essere dagli allievi un illecito non meramente “sportivo”, ma che esula rispetto a quanto ci si può ragionevolmente attendere di lesivo nello specifico sport di riferimento, vuoi in gara oppure durante un allenamento; infine, anche per il medico sportivo e per l’arbitro, il rischio “sportivo” rappresenta la soglia del loro dovere di intervento al fine di impedire la prosecuzione dell’incontro, quando questo si riveli potenzialmente lesivo oltre ogni ragionevole aspettativa riferita al singolo sport. L’individuazione della soglia di rischio “accettato” nel singolo sport, che darebbe luogo ad una sorta di “sospensione delle regole ordinarie”, in virtù della quale diverrebbero leciti comportamenti lesivi normalmente connotati da illiceità, in quanto posti in essere in pregiudizio di diritti inviolabili dell’uomo, quali l’integrità fisica e la stessa vita – ed il Prof. Iovino ci ha rammentato come i delitti che si registrano maggiormente in ambito sportivo siano le lesioni colpose (art. 590 c.p.) e l’omicidio colposo (art. 589 c.p.) -, viene costantemente posta in stretta correlazione, da un lato, con il rispetto o meno delle regole “tecniche” delle singole discipline sportive, dall’altro, con la presenza, ritenuta necessaria, di un “nesso funzionale” fra azione di gioco ed evento lesivo – come ci hanno ricordato il Prof. Piazza ed il Prof. Sicari -, che renderebbe prive di danno “sociale”, e quindi come tali “tollerate” dall’ordinamento generale, soltanto le condotte pregiudizievoli che, al di là e talvolta anche a prescindere dall’osservanza delle regole tecniche, siano comunque unicamente dirette a perseguire il risultato vittorioso e si presentino strettamente collegate al contesto dell’azione di gioco. Sempre ai fini della individuazione degli ambiti di operatività della c.d. “scriminante sportiva”, come in particolare ci ha evidenziato il Prof. Iovino, si ritiene utile in dottrina e in giurisprudenza classificare le singole discipline sportive, in ragione del maggiore o minor grado di probabilità del verificarsi di eventi lesivi, a seconda dei casi influenzato da diversi fattori, quali il contatto fisico, la velocità, l’utilizzo di particolari mezzi o modalità di spostamento, ovvero di strumenti e/o attrezzature potenzialmente offensivi. Nell’ambito delle discipline c.d. “a contatto fisico”, si suole distinguere gli sport “a violenza necessaria”, dove il contatto fisico costituisce elemento intrinsecamente connaturato al singolo sport e quindi è massimo il rischio di lesioni, quali la boxe, le arti marziali, il rugby, il football americano, l’hockey, e si può quindi osservare come in tale ambito le regole tecniche da osservare siano numerose e per lo più di natura preventiva di infortuni frequentemente molto gravi quando non addirittura mortali, e si può conseguentemente constatare che, con riguardo a tale categoria di attività sportive, le opinioni e decisioni rinvenute stigmatizzano essere massimamente elevata la pretesa al rispetto delle regole, al controllo dei colpi inferti ed alla perizia (art. 2043 c.c.). Il mancato coinvolgimento di terzi renderebbe quindi non tecnicamente “pericolose” attività sportive intrinsecamente connotate da elevato rischio di lesioni, peraltro necessariamente e consapevolmente accettato dai gareggianti, con conseguente mancata applicazione dell’art. 2050 c.c., bensì dei comuni principi di cui all’art. 2043 c.c., quale limite generale alla stretta valutazione del comportamento lesivo alla stregua delle sole regole tecniche. Ancora, sempre nell’ambito degli sport “a contatto fisico”, si qualificano sport “a violenza eventuale” le discipline nelle quali lo scontro od il contatto fisico, che pure possono verificarsi e si verificano, costituiscono tuttavia violazione delle regole del gioco, come il calcio, il basket, la pallavolo, e riguardo ai quali si rileva la tendenza a considerare “fisiologico” il rischio generico del “fallo”, di tal che, l’eventuale pregiudizio all’incolumità personale provocato per inosservanza delle regole non viene ritenuto “ingiusto” sul piano dell’ordinamento generale, bensì soltanto nell’ambito di quello sportivo, a condizione tuttavia che si riveli funzionalmente inserito nell’azione di gioco e non si presenti rispetto alla stessa avulso o meramente occasionato e/o addirittura ispirato ad intenzionalità lesiva. Agli effetti di tale giudizio, che fa leva su una rilevata gradazione della colpa in termini di colpa lieve, come tale scriminata, e colpa grave, al contrario non scusabile, potrà soccorrere, analogamente a quanto si verifica in ordinamenti di common law, il criterio della gravità del danno eventualmente cagionato, in ipotesi incompatibile con quanto possa oggettivamente attendersi dal singolo sport di riferimento, dal relativo rischio sportivo specifico e, più ampiamente, dalla relativa “filosofia” sportiva. Si tratta, in particolare, di effettuare quel “balance” fra rischio e danno, di cui ci ha parlato il Prof. Fridman. Ad elevato grado di potenzialità lesiva vengono altresì classificati – quantomeno a titolo “descrittivo”, gli sport definiti “pericolosi” in virtù di fattori di varia natura, comunque diversi dal contatto fisico, che comportano, secondo l’espressione anch’essa utilizzata dal Prof. Fridman, un “inherent risk of serious harm”, o comunque un rilevante grado di probabilità del verificarsi di infortuni anche non gravi ma numerosi. Fra questi si annoverano innanzitutto gli sport cosiddetti “ad alto rischio”, in quanto caratterizzati dall’elevata velocità e dall’utilizzo di particolari mezzi di spostamento, quali l’automobilismo, il motociclismo, il ciclismo, in merito ai quali particolare rilievo riveste l’esame dell’applicabilità della normativa in tema di circolazione stradale, di tal che si tende a distinguere, a tal fine, fra gare a circuito aperto al pubblico transito e gare a circuito chiuso, con differenti conseguenze sul piano della disciplina, nel primo caso improntata a meccanismi di imputazione della responsabilità di natura “oggettiva” od “aggravata” (art. 2054 c.c.), nel secondo caso, invece, caratterizzata – analogamente a quanto rilevato con riguardo agli sport a violenza necessaria, anch’essi ad alto rischio – dalla pretesa al massimo rispetto delle regole tecniche, e comunque alla massima perizia e padronanza nell’equilibrare audacia e controllo della propria condotta (art. 2043 c.c.). Sempre in virtù dell’elevata velocità, potenziata dal particolare contesto ambientale e dall’utilizzo di mezzi di spostamento con caratteristiche del tutto particolari, discusso è l’inquadramento dello sci fra gli sport pericolosi o meno, registrandosi, da un lato, la tendenza a rinvenire caratteristiche di pericolosità nella sola attività sportiva svolta da atleti inesperti, e, dall’altro, a qualificare pericolosa la sola attività organizzativa di gare di sci svolte da atleti professionisti. In particolare, in linea con quanto affermato circa gli sport “motoristici”, anche per lo sci si è posto il problema di disciplinare secondo le regole comuni (art. 2043 c.c.), ovvero secondo regole di responsabilità oggettiva (art. 2054, 2 comma, c.c.), lo scontro fra sciatori, in merito al quale è poi intervenuto, peraltro con specifico riguardo ai contesti amatoriali, l’art. 19 della L. 24.12.2003, n. 363, che ha riprodotto testualmente ed ha fatto applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054, 2 comma, c.c.. Sempre in stretta analogia con quanto si registra in tema di sport “ad alta velocità”, e quindi in quanto tali “ad alto rischio” di lesioni, si potrebbe dunque inferire che, ove la pratica sciistica si svolga in contesti aperti, e quindi in concreto essenzialmente amatoriali, siano applicabili principi di responsabilità di natura oggettiva come quelli di cui agli art. 2054, 2 comma, c.c. e art. 19, L. n. 363/2003, mentre ove si tratti di gara sciistica, disputata quindi fra i soli atleti partecipanti, ed in linea di principio senza coinvolgimento – se non in via del tutto scongiurata – di terzi, si applichino, come per le gare motoristiche “a circuito chiuso”, i comuni principi di cui all’art. 2043 c.c., quale limite di carattere generale alla stringente operatività ed osservanza, in tali contesti, delle regole tecniche e della massima perizia e padronanza del mezzo scivoloso utilizzato nel del tutto particolare contesto ambientale di riferimento. Ancora, l’elemento del potenziale coinvolgimento di terzi nell’attività sportiva varrebbe quale ulteriore criterio idoneo a risolvere la questione della pericolosità o meno, ex art. 2050 c.c., di sport quali la caccia e la scherma, entrambi caratterizzati dall’utilizzo di mezzi e strumenti offensivi. Si tende infatti, in particolare, a considerare la caccia come attività sportiva di natura “pericolosa”, avuto particolare riguardo al potenziale coinvolgimento di soggetti terzi rispetto ai partecipanti, oltre che all’uso delle armi. Per contro, in analogia a quanto considerato riguardo agli sport a contatto necessario, si tende a non considerare “pericolosa” in senso tecnico-giuridico, con mancata applicazione quindi dei principi in tema di responsabilità oggettiva, la scherma, atteso il mancato coinvolgimento di terzi e l’accettazione dell’intrinseco rischio sportivo di lesioni da parte dei singoli partecipanti alla gara. Di tal che, le caratteristiche di pericolosità potrebbero al più rinvenirsi, non nella scherma in sé, bensì nell’attività organizzativa del relativo evento agonistico, purchè dotata di una rischiosità intrinseca e peculiare, tale per cui la responsabilità del – solo – organizzatore deriverà da specifiche carenze organizzative effettivamente riscontrate. Anche con riferimento all’attività equestre, in analogia con quanto si è rilevato in tema di sci, si riscontra la tendenza a ricondurre la “pericolosità” dell’attività sportiva alle caratteristiche ed al livello di padronanza dell’atleta (“experience of the victim”), derivandone quindi un inquadramento nell’ambito della pericolosità ex art. 2050 c.c. soltanto nel caso in cui l’atleta sia inesperto, mentre una responsabilità ex art. 2052 c.c. ovvero – come talvolta si è affermato – comune ex art. 2043 c.c., ove si tratti di fantino esperto. Infine, ampia è la gamma di attività sportive non rientranti nelle precedenti classificazioni, o perché instrinsecamente provviste di minima rischiosità, quali ad esempio il tennis e l’atletica leggera, oppure perché svolte in contesti relativamente ai quali oggettivamente ci si attende – e correlativamente si pretende – una ridotta carica agonistica, come le gare fra dilettanti o fra minori, oppure le attività di allenamento; in tali ambiti, tende ad assumere rilievo, se non il rigoroso rispetto delle regole tecniche vigenti per ogni singola attività sportiva, comunque l’osservanza delle regole di diligenza, prudenza e perizia di cui all’art. 2043 c.c.. Da quanto sin qui osservato, può all’evidenza ricavarsi come, sia per la determinazione del rischio sportivo intrinseco a ciascuna disciplina, e quindi per l’eventuale applicabilità della scriminante sportiva agli eventi lesivi occasionati, sia agli effetti del giudizio in termini di pericolosità o meno della singola attività sportiva praticata, e quindi per la individuazione della norma di riferimento per l’ipotesi di accertata non operatività di detta scriminante e di responsabilità del danneggiante, si debba necessariamente tener conto, quale criterio guida, di quanto, in termini di rischio di lesioni, sia ragionevolmente plausibile attendersi a seconda della singola disciplina o contesto di riferimento. Di tal che, non si verrà “scusati” dall’ordinamento generale ogniqualvolta si cagioni un danno valicando quanto è ragionevolmente prevedibile in tema di rischio di lesioni a seconda della singola disciplina di riferimento, e d’altro canto, una volta accertato che nessuna tolleranza vi sia da parte dell’ordinamento stesso per effetto di tale condotta “esorbitante”, il giudizio di responsabilità ed il relativo onere probatorio, verranno regolati da meccanismi di natura “oggettiva” soltanto ove l’attività sportiva lesiva si svolga in condizioni dalle quali sia ragionevole attendersi un elevato rischio di lesioni anche non gravi ai partecipanti al singolo sport, e potenzialmente anche a terzi. E’ possibile a questo punto sintetizzare gli ambiti di operatività della scriminante sportiva, secondo la schematizzazione che segue: l’atleta cagiona un danno all’avversario senza violare alcuna regola tecnica e senza intenzione di ledere, né con modalità della condotta eccessive rispetto al perseguimento dell’obiettivo di vincere: in tal caso non incorrerà in alcuna responsabilità; l’atleta cagiona un danno all’avversario nel formale rispetto delle regole di gara, ma intenzionalmente, ovvero con modalità eccessive o comunque non strettamente funzionali al contesto di gioco: in tal caso, la presenza del dolo o della colpa grave determinerà la responsabilità penale e/o civile, che infatti non può considerarsi esclusa dal semplice rispetto delle regole; l’atleta provoca un danno all’avversario violando le regole del gioco, ma senza intenzionalità lesiva: in tal caso, negli sport a violenza necessaria e negli sport motoristici, si sarà senz’altro in presenza di colpa grave, che determinerà la responsabilità penale e/o civile; negli altri sport occorrerà valutare se l’atleta versi in colpa grave o lieve, avvalendosi del criterio del “nesso funzionale” fra l’azione di gioco e la lesione arrecata, la cui accertata presenza evidenzierà la colpa “lieve” dell’atleta, mandandolo esente da responsabilità sul piano dell’ordinamento generale; a tal fine, sarà altresì verosimilmente rilevante la considerazione della gravità del danno cagionato in rapporto al particolare sport; infine, con riferimento a contesti sportivi relativamente ai quali ci si attende una ridotta carica agonistica, come le gare fra dilettanti o fra minori, oppure le attività di allenamento, si tende a considerare ridotta, quando non addirittura nulla, la soglia di rischio sportivo “consentito”, e a considerare quindi gravemente colposa la condotta lesiva che valichi detta soglia, pretendendosi infatti, se non lo stretto rispetto delle regole tecniche vigenti per l’attività sportiva di riferimento, comunque l’osservanza delle comuni regole di diligenza, prudenza e perizia, di cui all’art. 2043 c.c.. Ciò posto, con particolare riferimento al fondamento della scriminante sportiva così delineata, è interessante notare come, in questa ipotetica causa di giustificazione del tutto peculiare, l’antigiuridicità del singolo fatto lesivo verrebbe nello sport a dipendere da un elemento del fatto illecito prettamente soggettivo, quale appunto la colpa, diversamente gradata in relazione, a seconda dei casi, all’osservanza o alla violazione delle regole tecniche del singolo sport, od avuto riguardo alla accertata presenza o meno del nesso funzionale e di proporzionalità fra il fatto lesivo ed il singolo contesto del particolare gioco. Il giudizio in tema di antigiuridicità di un fatto lesivo, si rivelerebbe quindi, nello sport, strettamente correlato all’accertamento circa la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo della colpa grave, consistente talora, e con riferimento specifico agli sport ad elevatissimo rischio di gravi lesioni, nella violazione delle capillari regole tecniche di natura preventiva, talaltra, nella mancanza del necessario nesso funzionale fra l’azione di gioco ed il danno arrecato, desumibile anche dalla entità concreta del danno stesso. La causa di giustificazione in oggetto, scuserebbe quindi, in concreto, le lesioni provocate durante l’attività sportiva senza dolo né colpa grave, cosicchè sarebbero da riguardarsi, non solo prive di danno sociale, ma addirittura socialmente utili (provviste dunque della “social utility” menzionata dal Prof. Fridman), le lesioni arrecate nell’esercizio dello sport con una condotta lievemente colposa. Ci si potrà chiedere a questo punto se la figura così delineata non richiami, piuttosto che una causa di giustificazione, più semplicemente quella tacita “clausola” di esonero dalla responsabilità per colpa lieve, di cui all’art. 1229 c.c., come pure in dottrina si è prospettato. Se invece si preferisce parlare di vera e propria scriminante, è il caso a questo punto di affermare che sono sin qui emersi sufficienti e decisivi elementi che ne evidenziano le caratteristiche di “atipicità”, secondo quello che appare l’orientamento nettamente prevalente. Ed invero, detti tratti atipici dovrebbero rinvenirsi, in particolare, sia, come si è avuto modo di evidenziare, nella peculiare rilevanza dell’elemento soggettivo della colpa lieve, quale limite entro il quale l’ordinamento generale scuserebbe le lesioni arrecate pur sempre con spirito “sportivo”; sia nella valenza prettamente positiva di detta scriminante, in quanto informata, non tanto – come per le cause di giustificazione c.d. codificate – sulla mancanza di danno sociale, bensì sulla elevata e pregnante rilevanza universale oltre che sociale dei valori di solidarietà fondanti, al tempo stesso, lo sport e la comunità generale dei consociati, quali, così come espressamente indicati in particolar modo nei documenti in tema di sport di rilievo anche sul piano internazionale, l’”amicizia”, il “rispetto degli altri”, lo “spirito sportivo” (Codice Europeo di Etica sportiva, Rodi, 13-15 maggio 1992), la “lealtà”, la “probità”, la “correttezza”, (Codice di comportamento sportivo del C.O.N.I., 15 luglio 2004), lo “spirito di gruppo”, la “tolleranza” (Libro Bianco dello Sport … anno?…). E ciò, in linea con quella che oramai appare la definizione condivisa ed accettata di “sport”, vale a dire “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli” (Carta Europea dello Sport, Rodi, 13-15 maggio 1992, art. 2). Su tutti tali profili: Merone, Rischio consentito e responsabilità penale nell’ambito dell’attività sportiva, in Diritto dello sport, Profili penali, a cura di Guardamagna, Torino, 2009, p. 16 ss.. Parisi, Sport e diritti della persona, Torino, 2009, p. 229. Tognon, Sport e Unione europea, in Sport, Unione europea e diritti umani, Padova, 2011, p. 134 ss.. Nascimbene, Bastianon, Diritto europeo dello sport, Torino, 2011, p. 66 ss..Contenuto Riservato!