Al Mureden Enrico, Casa in comodato, crisi coniugale e persistenti doveri di solidarietà tra familiari, in Famiglia e Diritto, 2012, 7, 693
Casa in comodato, crisi coniugale e persistenti doveri di solidarietà tra familiari
Sommario: 1. Le persistenti incertezze riguardo all’assegnazione della casa familiare in comodato – 2. La pronuncia delle Sezioni Unite, le decisioni conformi… – 3. … e quelle che ne hanno limitato la portata – 4. Il termine implicito di restituzione dell’immobile concesso in comodato e la ricostruzione della volontà della parti tra solidarietà familiare e affidamenti “alterati” della sopravvenuta crisi coniugale – 5. L’assegnazione della casa familiare in comodato tra mancate opportunità di riforma, possibili soluzioni interpretative e valorizzazione dell’autonomia privata
1. Le persistenti incertezze riguardo all’assegnazione della casa familiare in comodato
Una pronuncia di legittimità recente ha confermato la decisione di merito con la quale è stato sancito il diritto del proprietario a pretendere la restituzione dell’immobile concesso a suo tempo in comodato al figlio affinché lo adibisse a casa familiare (1). Dalla motivazione si evince che dopo la separazione della coppia che viveva nell’immobile goduto a titolo di comodato non era stato emesso un provvedimento giudiziale di assegnazione dello stesso; cionondimeno la moglie (nuora del comodante) aveva continuato ad abitarlo. La S.C. da un lato si mantiene aderente all’orientamento secondo cui l’immobile attribuito a titolo di comodato “adibito ad uso casa coniugale rientra nell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 1809 c.c.“, ma, al tempo stesso, rileva che “essendo venuta meno la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene oggetto di comodato, è venuto meno anche lo scopo di quest’ultimo”; sulla base di questo assunto viene confermata la decisione di merito che aveva sancito il diritto del comodante alla restituzione dell’immobile ex art. 1810 c.c.
La pronuncia appena riassunta presenta elementi di similitudine rispetto ad una decisione di legittimità precedente (2) concernente un caso in cui il comodante domandava la restituzione della casa concessa in comodato al figlio ed assegnata alla nuora sulla base di un provvedimento giudiziale assunto in sede di separazione. In quel caso la SC sancì che il provvedimento di assegnazione della casa non può essere pronunciato se non in favore del coniuge che prevalentemente convive con i figli e che ogni altro provvedimento emesso in assenza di tale presupposto costituisce un provvedimento “aspecifico” non opponibile al titolare di diritti reali sull’immobile stesso. Sulla base di queste statuizioni fu possibile precisare che in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti la separazione determina anche il venir meno della destinazione del bene a casa familiare, di modo che il coniuge non titolare del contratto di comodato si trova ad “occupare l’alloggio senza essere in possesso di alcun titolo opponibile al titolare di diritti reali sullo stesso”. Il comodante, pertanto, – a differenza di quanto accade in presenza di figli minori che vivono nella casa familiare – non ha alcun obbligo a consentire la continuazione del godimento e può pretendere l’immediata restituzione del bene (3).
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In prima approssimazione si potrebbe affermare che le decisioni appena richiamate circoscrivono il principio enunciato nel 2004 dalle SSUU (4). Pertanto la possibilità di individuare un termine implicito di durata capace di limitare il diritto del comodante alla restituzione può essere sostenuta solo con riferimento a fattispecie nelle quali sia stato emesso un provvedimento di assegnazione motivato dalla presenza di figli non autosufficienti e deve essere esclusa laddove la casa familiare in comodato non sia stata oggetto di un provvedimento di assegnazione a favore del coniuge comodatario ed anche in presenza di un provvedimento di assegnazione “aspecifico” emesso a favore del coniuge non proprietario nonostante l’assenza di figli non autosufficienti (5).
In termini più generali la pronuncia che si commenta arricchisce ulteriormente un quadro complesso che – ad otto anni dalla decisione delle Sezioni Unite (6) – si caratterizza per la presenza di precedenti sempre più numerosi ed articolati ed anche di persistenti incertezze interpretative (7).
2. La pronuncia delle Sezioni Unite, le decisioni conformi…
La pronuncia delle Sezioni Unite sull’assegnazione della casa familiare in comodato aveva sancito che quando dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti (8) emerge la volontà di costituire un vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia si riscontra un termine implicito di restituzione coincidente con il venir meno della destinazione convenuta che limita le pretese del comodante alla restituzione ex art. 1810 c.c. (9). Pertanto “la concessione in comodato di un immobile, perché sia destinato ai bisogni del nucleo familiare del comodatario, non può essere revocata dal comodante sino a che permangano le esigenze abitative della famiglia, salva l’ipotesi di necessità urgente ed imprevista del comodante stesso, ex art. 1809 c.c.”. Il principio, aveva precisato la S.C., “trova applicazione non solo nei confronti dell’originario comodatario, ma anche del di lui coniuge, cui sia stata assegnata la casa familiare in sede di separazione” (10).
Questo orientamento è stato confermato da alcune pronunce di legittimità (11). Così, la S.C. ha ribadito anche di recente che la crisi coniugale non incide sul vincolo di destinazione impresso sull’immobile concesso dal proprietario al figlio e destinato da quest’ultimo ad abitazione familiare: pertanto il diritto del comodante alla restituzione cede di fronte al diritto alla permanenza nell’immobile del coniuge che – in ragione del collocamento prevalente dei figli – abbia conseguito un provvedimento giudiziale di assegnazione (12). Questo principio ha trovato applicazione anche con riferimento all’ipotesi di “crisi familiare tra conviventi” (13) e risulta ampiamente confermato dalla casistica giurisprudenziale di merito (14).
Indubbiamente la soluzione adottata dalle SS.UU. e seguita dalla giurisprudenza maggioritaria valorizza la comune intenzione delle parti, permette di modulare il sacrificio delle ragioni del proprietario attribuendo rilevo alle peculiarità delle singole fattispecie concrete e consente di adottare soluzioni differenziate a seconda del rapporto intercorrente, in ogni singola fattispecie, tra il proprietario-comodante e la controparte. In particolare, laddove sussista un rapporto di parentela tra il comodante (in genere i nonni) ed i beneficiari del comodato (in genere i nipoti) la ricostruzione della volontà presunta delle parti consente di rafforzare i vincoli di solidarietà all’interno della famiglia in senso ampio, soprattutto nel momento in cui la crisi della coppia determina una dispersione di risorse patrimoniali e personali (15).
D’altra parte occorre tenere conto del fatto che lo stesso criterio illustrato è stato oggetto di opinioni critiche che hanno messo in evidenza incongruenze e paradossi difficilmente contestabili. In questo senso si è rilevato che la possibilità di sacrificare il diritto del comodante alla restituzione del bene per consentire ai suoi nipoti ancora in tenera età la permanenza nell’abitazione familiare (16) fa assumere alla “circostanza che il comodatario sia coniugato ed abbia dei figli” una valenza tale da renderla “idonea a modificare, (anche) sotto il profilo contenutistico i rapporti contrattuali che il medesimo mantiene generalmente con i terzi” (17). Si è osservato, inoltre, che la soluzione adottata dalle Sezioni Unite “contrasta con la disciplina normativa del comodato” e desta perplessità rispetto alla “funzione causale tipica” di detto contratto: in particolare “lascia perplessi per la ben più intensa tutela che viene attribuita al comodatario rispetto al conduttore” (18). In effetti appare quasi paradossale che la scelta di uno schema contrattuale come il comodato, funzionale ad assicurare al proprietario la pronta restituzione del bene, possa dar vita ad una pretesa dei beneficiari alla permanenza nell’immobile per un lasso di tempo eventualmente superiore a quello che sarebbe stato garantito qualora si fosse stipulato un contratto di locazione.
3. … e quelle che ne hanno limitato la portata
L’analisi della casistica giurisprudenziale successiva alla decisione delle Sezioni Unite fa emergere, nel complesso, la tendenza a circoscrivere una “funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela dei diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o post-coniugale” (19).
La prevalenza del diritto del comodante alla restituzione dell’immobile destinato ad abitazione familiare è stata sancita – come già anticipato – con riferimento ad una fattispecie in cui la coppia separata non aveva figli e la moglie non proprietaria pretendeva di continuare ad abitare nella casa messa gratuitamente a disposizione dalla suocera al momento delle nozze (20). È significativo, in questo senso, che la Cassazione precisi che in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti la separazione determini anche il venir meno della destinazione del bene a casa familiare, di modo che il coniuge non titolare del contratto di comodato si trovi ad “occupare l’alloggio senza essere in possesso di alcun titolo opponibile al titolare di diritti reali sullo stesso”. Il comodante, pertanto, – a differenza di quanto accade in presenza di figli minori che vivono nella casa familiare – non ha alcun obbligo a consentire la continuazione del godimento e può pretendere l’immediata restituzione del bene (21).
La limitazione del principio sancito dalla decisione delle SS.UU. emerge in modo ancor più significativo in una pronuncia (22) con la quale la S.C. ha riconosciuto ad una società di capitali, che aveva concesso in comodato un immobile al proprio amministratore unico, il diritto ad ottenerne la restituzione escludendo dal godimento i figli e la moglie del comodatario a cui l’immobile era stato assegnato in sede di separazione giudiziale. Questa decisione ha indubbiamente ridimensionato in modo significativo la possibilità di configurare in termini generali un vincolo di destinazione nelle ipotesi in cui il proprietario di un immobile lo conceda in comodato ad un soggetto che lo adibirà ad abitazione familiare (23). La S.C., infatti, ha precisato che “quando un bene immobile concesso in comodato sia stato destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa) emesso nel giudizio di separazione o di divorzio non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento dell’immobile”; pertanto, continua la motivazione, “gli effetti riconducibili al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa (…) restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale”. Ciò porta a concludere che “ove si tratti di comodato senza la fissazione di un termine predeterminato – c.d. precario -, il comodatario è tenuto a restituire il bene quando il comodante lo richieda (art. 1810 c.c.) e che il diritto di recesso del proprietario può essere legittimamente esercitato”.
L’analisi congiunta dei principi espressi da quest’ultima decisione e da quella delle Sezioni Unite aveva indotto ad affermare che quel limite al diritto di restituzione del comodante che le Sezioni Unite avevano potuto costruire sulla base della comune intenzione delle parti genitore-comodante e figlio-comodatario non è ravvisabile nella diversa ipotesi in cui non sussistano legami di parentela tra i contraenti. Dunque, pur muovendo dalla ricostruzione della comune volontà delle parti, ciò che risulta determinante al fine di individuare un termine implicito di restituzione del bene concesso in comodato è il concorso di tre elementi: la destinazione ad abitazione familiare, la presenza di figli non autosufficienti del comodatario (presente nella fattispecie decisa dalle SS.UU. ed in quella decisa dalla pronuncia del 2007 (24), ma assente nel caso deciso nel 2005 (25)) e uno stretto rapporto di parentela tra comodante ed i figli del comodatario (presente nella fattispecie decisa delle Sezioni Unite, ma assente nel caso deciso da Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179). L’insieme di queste considerazioni conduce ad ipotizzare che il riferimento alla comune volontà delle parti come criterio per ricostruire un termine implicito di durata del comodato possa essere riguardato come uno strumento per giustificare una limitazione del diritto del proprietario ad ottenere la restituzione dell’immobile concesso gratuitamente e per fare emergere il vincolo di solidarietà nella famiglia tra nonni e nipoti, pur senza alterare, in termini generali, le regole di diritto comune che disciplinano la restituzione nel contratto di comodato.
La tendenza a circoscrivere le situazioni in cui il proprietario-comodante incontra un limite all’esercizio del diritto alla restituzione del suo immobile è emersa anche in altre pronunce di legittimità specificamente riferite a fattispecie identiche a quella assunta come riferimento nella decisione delle SU: ossia di un contratto di comodato stipulato tra genitore e figlio il quale, in seguito, viveva nell’abitazione con i suoi figli ancora in tenera età.
La S.C. da un lato è rimasta aderente all’orientamento secondo cui la concessione in comodato di un immobile da destinare a casa familiare costituisce un contratto con un termine implicito nel quale il comodante può chiedere la restituzione solo nel caso in cui sopravvengano bisogni imprevisti ed urgenti (art. 1809 c.c.); cionondimeno ha valorizzato quelle ragioni di necessità ed urgenza alle quali l’art. 1809 c.c. subordina la limitazione dei diritti del comodatario (26) dandone una lettura maggiormente funzionale ad attuare le esigenze del proprietario-comodante ed introducendo, così una sorta di “contrappeso” a protezione degli interessi di quest’ultimo (27). Applicando questo criterio la S.C. ha confermato una decisione di merito nella quale le precarie condizioni di salute della suocera-comodante sono state considerate alla stregua di un bisogno urgente ed imprevisto tale da giustificare il diritto alla restituzione dell’immobile adibito a casa familiare ed abitato dalla nuora e dai nipoti.
In un altro caso il diritto del comodante a conseguire la restituzione dell’immobile concesso al figlio ed adibito a casa familiare è stato giustificato assumendo che l’immobile era stato concesso in comodato dalla madre al figlio alcuni anni prima del matrimonio per destinarlo ad uso “eminentemente professionale” (28) e solo in seguito era stato adibito a casa familiare; valorizzando questa circostanza si è escluso che potesse configurarsi una volontà di costituire un vincolo di destinazione del bene al soddisfacimento delle esigenze del nucleo familiare formato dal figlio dopo il conseguimento dell’immobile.
Da ultimo occorre segnalare una pronuncia del tutto peculiare (29) con la quale la S.C. – discostandosi in modo netto dall’orientamento sancito dalle SS.UU e senza nemmeno menzionare nella motivazione questa stessa decisione – ha sancito il diritto del comodante ad ottenere la restituzione ad nutum ex art. 1810 c.c. dell’immobile adibito a casa familiare ed abitato dai nipoti.
4. Il termine implicito di restituzione dell’immobile concesso in comodato e la ricostruzione della volontà della parti tra solidarietà familiare e affidamenti “alterati” della sopravvenuta crisi coniugale
L’analisi delle molteplici decisioni di legittimità successive alla pronuncia delle Sezioni Unite fa emergere una situazione di persistente incertezza rispetto al problema dell’assegnazione della casa familiare in comodato. Indubbiamente l’individuazione di un termine implicito di durata basato sulla ricostruzione della volontà delle parti costituisce un criterio “flessibile”, che permette di giustificare il perdurante godimento della casa familiare in comodato e valorizzare i vincoli di solidarietà anche nel momento della disgregazione della famiglia.
In senso critico, tuttavia, si ricava l’impressione che la ricostruzione di un termine di restituzione “implicitamente” apposto dai contraenti rifletta solo in parte la loro volontà e gli interessi che essi mirano a perseguire. Questa impressione può rafforzarsi qualora si consideri che il comodato tra familiari si inserisce in un contesto di relazioni affettive e di solidarietà che deve essere considerato in una dimensione complessiva e “bilaterale”. Il ricorso allo strumento del comodato tra familiari in un certo senso presuppone un affidamento reciproco su una solidarietà, un’inclinazione a venire incontro agli interessi della controparte ed una informalità ignoti ad una relazione contrattuale tra soggetti non legati da vincoli di parentela, affinità ed affezione. In questo contesto è indubbiamente plausibile immaginare che il comodatario faccia affidamento su una disponibilità del comandante a venire incontro alle sue esigenze sicuramente più accentuata di quella che caratterizza un rapporto di comodato tra estranei. Occorre tenere conto, d’altra parte, che l’affidamento su un atteggiamento comprensivo e solidale della controparte è altrettanto accentuato nella prospettiva del comandante che concede un bene al proprio figlio in procinto di sposarsi o di creare una famiglia di fatto. In altre parole, la solidarietà del genitore verso il figlio e del nonno verso i nipoti dovrebbero costituire una particolare garanzia per i beneficiari del comodato; del pari, la solidarietà del figlio verso i genitori e dei nipoti verso i nonni dovrebbero rappresentare una particolare garanzia per il comandante. Ciò che è realmente “implicito” nel comodato tra familiari è la presenza di una solidarietà e di una fiducia reciproche, di una comunione di intenti che non fa emergere nelle parti il bisogno di ricorrere a strumenti che disciplinino in modo formale e rigoroso il diritto alla permanenza nell’immobile o alla sua restituzione. In questa prospettiva è possibile affermare che il comodato tra familiari si regge sul presupposto inespresso dell’affectio e della solidarietà che normalmente caratterizza le relazioni di un gruppo familiare unito. La sopravvenuta crisi della famiglia beneficiaria del comodato costituisce un evento che verosimilmente altera quella comunione di intenti, quella affectio e quella solidarietà; un evento che le parti non prendono in considerazione come una evoluzione possibile, “normale” e – soprattutto – preventivamente accettata della vita familiare futura.
In definitiva, l’insorgere della crisi coniugale e la conseguente modificazione dei rapporti affettivi e giuridici all’interno della famiglia che beneficia della casa concessa in comodato fanno venire meno la base di reciproco affidamento su cui il comodato tra familiari si fondava e fanno emergere esigenze di regolamentare in modo puntuale e formale il diritto al godimento dell’immobile destinato ad abitazione familiare. Esigenze che nella prospettiva della famiglia unita non erano avvertite, ma che divengono fondamentali nello scenario profondamente mutato dalla crisi della coppia. Non vi è dubbio che in questa fase della vita del nucleo familiare si ponga la necessità di affermare la persistenza di quella solidarietà che nella famiglia unita si dava per presupposta e che a seguito della crisi della coppia beneficiaria del comodato si è verosimilmente incrinata e dissolta.
Le soluzioni individuate dalla giurisprudenza sulla scia della pronuncia delle SS.UU sembrano tenere adeguatamente in considerazione questo profilo solo nella prospettiva dell’affidamento del gruppo familiare beneficiario del comodato. In effetti, l’assunto secondo cui la concessione di un immobile in comodato ad un figlio nella prospettiva della formazione di un nuovo nucleo familiare dà vita ad un vincolo di destinazione che persiste oltre la crisi del matrimonio può essere letta come l’affermazione di un dovere di solidarietà che persiste in capo al genitore-comodante anche quando è venuta meno l’unità e l’armonia che caratterizzavano la faglia unita; un persistente dovere di solidarietà che si risolve, da un lato, in un opportuno presidio del diritto dei beneficiari alla permanenza nella casa familiare, ma, dall’altro, può determinare un’eccessiva compressione dei diritti del proprietario. Infatti l’introduzione di un termine implicito di durata che giustifica l’applicazione dell’art. 1809 c.c. incide significativamente sull’equilibrio del comodato tra familiari, soprattutto ove si consideri che la condizione di non autosufficienza dei figli maggiorenni può giungere ad un’estensione temporale estremamente ampia (art. 155 quinquies, comma 1 c.c.) (30); essa, inoltre, può risultare tendenzialmente illimitata con riferimento al caso del figlio affetto da gravi patologie (art. 155 quinquies, comma 2 c.c.) (31).
In questa prospettiva la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, seppur apprezzabile laddove protegge l’affidamento dei figli del comodatario, fa emergere profili di asimmetria tra le parti e si presenta in termini di assoluta eccezionalità rispetto ai principi generali che governano il recesso dal contratto (32). Infatti il genitore che concede al proprio figlio un immobile da destinare all’abitazione familiare da un lato “imprime al bene un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso cui la cose destinate carattere implicito di durata del rapporto anche oltre la crisi familiare”, ma, diversamente da quanto accade per i vincoli di durata significativa o illimitata, non dispone della possibilità di recedere ad nutum. Il profilo di contrasto con i principi generali appare ancor più evidente laddove si consideri che il comodato si caratterizza per la “temporaneità” (33).
La situazione brevemente descritta sembra suggerire l’individuazione di correttivi che, da un lato tengano fermo il condivisibile tentativo della S.C. di proteggere l’affidamento dei figli del comodatario e, al tempo stesso, attribuiscano adeguato rilievo al problema di proteggere l’affidamento del nonno-comodante.
In questa prospettiva conviene prendere in esame la disciplina del diritto alla restituzione di immobili concessi in comodato nei contratti nei quali non sussiste un rapporto di parentela tra comodante e comodatario; contratti nei quali, quindi, è assente fin dall’inizio un affidamento del comodante circa la propensione del comodatario a comprendere le sue esigenze di rientrare nella disponibilità dell’immobile (34). Riguardo a queste fattispecie la giurisprudenza sancisce costantemente che laddove manchi una specifica indicazione con riferimento alla durata del contratto, si è in presenza di un comodato a tempo indeterminato e, perciò a titolo precario, nel quale il proprietario conserva la possibilità di richiedere il bene ad nutum exart. 1810 c.c. (35).
Significativamente, la S.C. ha applicato questo principio al caso, già illustrato (36), nel quale una società di capitali aveva concesso in comodato un immobile al proprio amministratore unico. Il diritto della società comodante ad ottenere la restituzione dell’immobile escludendo dal godimento dei figli e della moglie del comodatario a cui l’immobile era stato assegnato in sede di separazione giudiziale è stato sancito riconducendo il contratto alla fattispecie del comodato precario nel quale il comodatario è tenuto a restituire il bene quando il comodante lo richieda (arg. ex art. 1810 c.c.).
In effetti, in termini generali si può affermare che, di regola, il recesso del comodante per imprevisti ed urgenti motivi (ex art. 1809 c.c.) si associa sempre a fattispecie nelle quali il contratto di comodato è soggetto ad un preciso limite di tempo (37). Dunque, l’affidamento del comodatario è protetto mediante la previsione secondo cui il contratto può terminare anticipatamente solo in caso di bisogno imprevisto ed urgente del comandante; l’affidamento del comandante circa l’estensione temporale del contratto è assicurato dalla presenza di un termine. Diversamente, nel comodato precario l’assenza di un termine per la restituzione – che protrarrebbe indefinitamente nel tempo l’indisponibilità del bene fornito in comodato – è controbilanciata dalla previsione secondo cui il comandante può recedere ad nutum (art. 1810 c.c.).
5. L’assegnazione della casa familiare in comodato tra mancate opportunità di riforma, possibili soluzioni interpretative e valorizzazione dell’autonomia privata
L’analisi del complesso scenario delineato dalle decisioni della S.C. induce a concludere che il “comodato tra familiari” si caratterizza per un elemento che lo differenzia rispetto al comodato concluso tra soggetti non legati da rapporti di parentela o affezione e, pertanto, richiede l’individuazione di una regola che disciplini il profilo della restituzione tenendo conto di questa peculiarità. In termini più specifici, occorre individuare una regola che consideri adeguatamente il particolare affidamento che caratterizza le relazioni all’interno di un gruppo familiare unito e permetta di addivenire a soluzioni equilibrate nell’eventualità in cui il venir dell’unità familiare alteri e metta in pericolo gli affidamenti reciproci sui quali il contratto di comodato si reggeva originariamente. Dunque quella solidarietà che era presupposta nella famiglia unita e viene a mancare a seguito della crisi della coppia dovrebbe essere richiesta alle parti sia nella prospettiva di garantire il persistente godimento dell’immobile ai beneficiari, sia, talvolta, nell’ottica di non gravare ingiustificatamente la posizione del comodante.
A ben vedere l’opportunità di delineare una soluzione organica ed equilibrata con riferimento alla disciplina dell’assegnazione della casa familiare in comodato avrebbe potuto essere colta dal legislatore intervenuto a regolare i rapporti tra genitori e figli nella crisi della coppia (l. n. 54/2006) in un momento in cui la pronuncia delle SS.UU. aveva ormai delineato nitidamente la piena consapevolezza riguardo alla complessità del problema. Il mancato intervento del legislatore può apparire addirittura paradossale laddove si consideri che proprio con la l. n. 54/2006 è stato sancito l’ampliamento dell’estensione temporale del periodo in cui il figlio non autosufficiente conserva il diritto al mantenimento ed alla permanenza nella casa familiare.
In assenza di una disciplina positiva, appare opportuno introdurre in via interpretativa un adeguato contrappeso capace di limitare l’asimmetria tra la tutela dell’affidamento dei figli del comodatario – ai quali è garantita la permanenza nella casa familiare per un esteso arco di tempo – e la posizione del comandante, il cui affidamento circa una particolare attitudine del nucleo familiare del comodatario dovrebbe essere parimenti tutelato. In questa prospettiva sembra che la ricostruzione più convincente sia quella espressa nella decisione che sembra valorizzare una lettura dell’art. 1809 c.c. in ragione della quale intendere il presupposto delle impreviste ed urgenti necessità in termini meno rigorosi di quelli normalmente adottati nel contesto del comodato concluso tra soggetti che non sono legati da rapporti di parentela (38). Questa lettura, del resto, riflette la complessità delle situazioni che possono evolvere nel lungo arco di tempo durante il quale l’immobile messo a disposizione dal genitore assolve alla funzione di casa familiare. Così, prendendo come modello di riferimento la fattispecie dell’abitazione concessa in comodato da una coppia di genitori di mezza età al figlio in procinto di formare una nuova famiglia, è possibile immaginare nel corso del tempo diversi scenari nei quali i reciproci affidamenti tra familiari si evolvono in ragione del passare del tempo e del mutare delle esigenze. In questo scenario è possibile supporre che in una prima fase sia maggiormente accentuata la solidarietà dei genitori-comodanti verso il nuovo nucleo familiare formato da figlio comodatario, dal coniuge e dai figli in tenera età. È altrettanto probabile, però, che con il passare del tempo assuma un’importanza sempre maggiore la solidarietà del figlio, del coniuge e dei nipoti beneficiari dell’immobile in comodato verso i comodanti (genitori e nonni). In questa prospettiva si può affermare che quel vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia e quel termine di restituzione che le parti avevano implicitamente previsto dovrebbe essere valutato con un’intensità differenziata in ragione del passare del tempo e del mutare delle condizioni economiche e personali delle parti.
La soluzione che privilegia l’interesse dei nipoti alla permanenza nella casa familiare concessa in comodato dal nonno pone l’accento sui doveri di solidarietà di quest’ultimo e in linea di massima appare adeguata laddove il problema dell’assegnazione della casa si ponga per una famiglia che si è divisa dopo un periodo di armonia relativamente breve. In questo caso è richiesto al comodante-proprietario un sacrificio che si risolve nel mantenere un impegno preso non molto tempo addietro. Un sacrificio, quindi, che risulta funzionale ad assicurare la permanenza nell’ambiente domestico ai nipoti ancora in tenera età e che – salvo il ricorrere di bisogni imprevisti ed urgenti – grava su un comodante la cui condizione personale e patrimoniale dovrebbe essere ancora abbastanza simile a quella in cui si trovava al momento della consegna dell’immobile.
La questione sembra porsi in termini decisamente diversi nel caso in cui la crisi della coppia intervenga dopo un rapporto di lunga durata. In tal caso è verosimile immaginare che il considerevole lasso di tempo intercorso rispetto al momento dell’attribuzione della casa in comodato si sia accompagnato a significativi cambiamenti delle condizioni personali ed economiche delle parti. Il comodante, verosimilmente ancora giovane e professionalmente attivo al momento della conclusione del comodato, potrebbe trovarsi, a distanza di anni, anziano, con una disponibilità economica inferiore e con accresciute esigenze di assistenza; al tempo stesso la coppia dei beneficiari dell’immobile in comodato – tipicamente giovane, con un basso reddito e con figli appena nati al momento della conclusione dell’accordo – potrebbe trovarsi a distanza di anni in una situazione economica più solida e con figli ormai quasi maggiorenni o maggiorenni, astrattamente in grado di fornire un apporto economico o personale alle esigenze della famiglia. È possibile supporre, ad esempio, che in questo secondo scenario quello stesso vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia e quello stesso termine di restituzione che le parti avevano implicitamente convenuto debbano essere valutati in una prospettiva che tenga maggiormente in considerazione le mutate condizioni economiche del comodante e dei comodatari. Infatti garantire il diritto dei nipoti alla permanenza nella casa dei nonni potrebbe anche risolversi nell’imporre un gravoso sacrificio ad una persona anziana che ha in parte perso la pienezza delle proprie capacità personali e reddituali; sacrificio che può apparire talvolta iniquo se volto a garantire la posizione di un nucleo familiare che – avuto riguardo all’età ed alle condizioni economiche dei componenti – disponga dei mezzi per conseguire una piena autonomia. In questo caso l’esigenza di valorizzare i legami di solidarietà nella famiglia anche quando la crisi della coppia abbia fatto venire meno quella armonia su cui il comodato tra familiari si fondava dovrebbe emergere avendo particolare riguardo alla posizione del comodante che, verosimilmente, concesse la casa in comodato confidando (implicitamente) sulla disponibilità del nucleo familiare beneficiario a venire incontro alle sue esigenze economiche e personali. A fronte di situazioni che possano rientrare nella fattispecie indicata ad esempio appare ragionevole adottare una lettura dell’art. 1809 c.c. che assecondi il diritto del comodante a conseguire la restituzione dell’immobile anche in presenza di mutamenti delle condizioni che – pur non rivestendo il carattere del bisogno urgente ed imprevisto – incidano significativamente sulla sua sfera personale ed economica e richiedano una particolare solidarietà da parte del nucleo familiare che durante il matrimonio abbia beneficiato della casa familiare in comodato.
In conclusione, la regola ormai consolidata nel “diritto vivente” secondo cui il vincolo di destinazione impresso dal genitore che concede al figlio un immobile per adibirlo a casa familiare limita il diritto alla restituzione sancisce, opportunamente, un dovere di solidarietà dei nonni verso i nipoti che deve persistere anche quando la crisi della coppia beneficiaria del comodato abbia fatto venir meno l’armonia del gruppo familiare. Cionondimeno la complessità degli scenari che possono delinearsi nella crisi familiare impone di integrare e controbilanciare la regola giurisprudenziale appena enunciata adottando letture interpretative che tengano conto anche delle difficoltà che possono gravare sul comodante e consentano di valorizzare i doveri di solidarietà dei figli e dei nipoti verso i nonni evitando un’estensione indefinita e talvolta ingiustificata del comodato tra familiari.
Da ultimo conviene osservare che, nell’attuale contesto normativo e giurisprudenziale, un’ulteriore possibile soluzione percorribile per limitare le gravi incertezze che inevitabilmente si pongono allorché si tratta di decidere sull’assegnazione della casa familiare in comodato, può essere individuata nella valorizzazione dell’autonomia privata. In questa prospettiva si potrebbe immaginare, ragionando in termini puramente ipotetici, che il proprietario, debitamente informato e consapevole dei complessi scenari che potrebbero delinearsi nel caso in cui sopraggiunga una crisi della coppia, conceda in comodato un immobile al proprio figlio affinché lo destini all’abitazione familiare e, al tempo stesso, predisponga clausole nelle quali è previsto il diritto di recesso in caso di specifici eventi che attengono alla sua condizione personale e patrimoniale (riduzione del reddito, pensionamento, peggioramento delle condizioni di salute, vedovanza, ecc.) (39). Sempre in questo senso è possibile immaginare che il proprietario, d’accordo con il comodatario, stipuli un contratto che prevede un termine esplicito e lo rinnovi periodicamente.
In prima approssimazione non sembrano ravvisarsi ostacoli all’ammissibilità ed alla validità di previsioni convenzionali come quelle appena indicate. Previsioni di questo genere non sembrano incorrere nei limiti che generalmente vengono evocati con riferimento alle intese tra coniugi in vista della crisi del rapporto in quanto non intercorrono tra gli sposi, ma riguardano rapporti contrattuali che ciascuno di essi instaura con terzi.
L’ostacolo più significativo alla concreta percorribilità di queste soluzioni, probabilmente, si pone sul piano pratico: è verosimile, infatti, che si riscontri una scarsa propensione a immaginare e regolare lo scenario della crisi familiare al momento della formazione di una nuova famiglia (40). Anche supponendo di superare questo ostacolo, occorre sottolineare la presenza di un’ulteriore impedimento alla realizzazione di tali intese. Il primo limite all’esercizio della autonomia nei rapporti familiari, infatti, consiste nella assenza di informazione circa le conseguenze giuridiche connesse al matrimonio ed alla formazione di una famiglia di fatto. In altri termini, la prima condizione per poter consentire alle persone interessate di dar vita ad una disciplina del comodato della casa familiare che tenga conto anche dei complessi scenari generati dalla eventuale crisi del rapporto di coppia consiste nel fornire una adeguata informativa circa le conseguenze giuridiche del matrimonio (o della formazione di una famiglia di fatto) e degli eventuali scenari che potrebbero prospettarsi nel caso in cui l’unione dovesse andare in crisi.
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(1) Cass., 14 febbraio 2012, n. 2103.
(2) Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, in questa Rivista, 2005, 543, con nota di Al Mureden, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare tra tutela dei figli e diritti del comodante.
(3) Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, cit.
(4) Sul punto cfr. amplius infra par. 2.
(5) Sul punto si veda l’attenta ricostruzione di Roma, L’assegnazione della casa familiare, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta e Arceri, Torino, 2011, 147.
(6) Cass., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603, in questa Rivista, 2005, 543, con nota di Al Mureden, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare tra tutela dei figli e diritti del comodante, in Corr. giur., 2004, 1445, con nota di E. Quadri, Comodato e “casa familiare”: l’intervento delle Sezioni Unite, in Familia, 2004, 874, con nota di Scarano,Comodato di casa familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio. In argomento v. anche Russo, Lo statuto della casa coniugale tra ragioni proprietarie e familiari: il comodato nuziale, in Familia, 2005, 231 ss.
(7) Sul punto v. Arceri, sub art. 155 quater c.c., in Codice della famiglia, a cura di, Sesta, Milano, 2009, 775; Auletta, sub art. 155 quater c.c., in Commentario del codice civile diretto da Gabrielli, Della famiglia, a cura di Balestra, Torino, 2010, 721; Irti C., Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, 110; Ead., sub art. 155 quater c.c., in Provvedimenti riguardo ai figli, a cura di Patti e Rossi-Carleo in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2010, 297 ss.; Santosuosso, Il matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Torino, 2011, 807 ss.; Ferrando, L’assegnazione della casa familiare, in La separazione personale dei coniugi, a cura di Ferrando e Lenti, inTrattato teorico-pratico di diritto privato, diretto da Alpa e Patti, Milano, 2011, 331; Frezza, Casa familiare, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, I, ed. II, Milano, 2011, 1777; Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in AA. VV., Lo scioglimento del matrimonio, a cura di Bonilini e Tommaseo, in Il codice civile, Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2010, 841; Ferrando, L’assegnazione della casa familiare, in Affidamento condiviso e cura dei minori, a cura di Dogliotti, Torino, 2008, 99; Paladini, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in questa Rivista, 2006, 329; Rimini, L’assegnazione della casa familiare: l’art. 155 quater c.c. alla luce delle più recenti affermazioni giurisprudenziali, in Fam. pers. succ., 2007, 497; Roma, Mantenimento dei figli e a assegnazione della casa familiare nellal. 8 febbraio 2006, n. 54, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, 577; ID, L’assegnazione della casa familiare, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, cit., 147.
(8) Sull’interpretazione del contratto e la ricostruzione della comune intenzione delle parti cfr. Bianca, Diritto civile, 3, Milano, 2000, 419; Ziccardi, voce Interpretazione del negozio, inEnc. giur., XVII, Bologna-Roma, 2001; Alpa, L’interpretazione del contratto, Milano, 1983; Pennasilico, Metodo e valori nell’interpretazione dei contratti. Per un’ermeneutica contrattuale rinnovata, Napoli, 2011, in 42 ss.
(9) Cass., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603, cit.
(10) Cass., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603, cit.
(11) In senso conforme alla decisione delle SS.UU. si vedano Cass., 13 febbraio 2006, n. 3072, in De jure; Cass., 6 giugno 2006, n. 13260, in Mass. Foro it., 2006; Cass., 18 luglio 2008, n. 19939, in Foro it., 2008, I, 3552.
(12) Cass., 18 luglio 2008, n. 19939, cit.
(13) Cass., 21 giugno 2011, n. 13592, in Vita not., 2011, 1581.
(14) Tra le tante v. App. Firenze, 24 novembre 2011, n. 1337, in De jure; Trib. Roma, sez. VI, 6 novembre 2009, n. 21656, in Guida al diritto, 2010, 2, 72; App. Ancona, 28 settembre 2010, n. 634, in De jure.
(15) Del resto, in senso favorevole alla decisone delle SS.UU., si è sottolineato che se le regole in tema di restituzione del bene concesso in comodato senza determinazione di tempo venissero applicate meccanicamente nella fattispecie dell’assegnazione della casa familiare la finalità di garantire “una certa efficacia temporale al provvedimento di assegnazione” risulterebbe svuotata e la “fondamentale esigenza di tutela della prole cui esso è rivolto” sarebbe esposta al rischio di una “frustrazione anche immediata” (così Quadri, Comodato e “casa familiare”: l’intervento delle Sezioni Unite, cit., 1447; in senso favorevole alla decisone delle S.U. si esprime anche Finelli, Le Sezioni Unite tornano sul tema dell’assegnazione della casa familiare: è opponibile anche al comodante il provvedimento presidenziale di assegnazione al coniuge affidatario della prole minorenne, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 804). In senso critico, invece, Cubeddu, La casa familiare, Milano, 2005, 190, secondo la quale nell’ipotesi in cui la casa familiare sia concessa a titolo di comodato ad uno dei coniugi sarebbe da escludere in radice la configurabilità di un provvedimento di assegnazione giudiziale in favore dell’altro.
(16) Cass., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603, cit.
(17) In questo senso Scarano, Comodato di casa familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio, cit., 895, secondo il quale “ferma restando l’applicazione della regola dettata in tema di restituzione del bene concesso in comodato senza determinazione di tempo (art. 1810 c.c.), l’esigenza di giustificare la fissazione giudiziale di un congruo termine per il rilascio – garantendo così la permanenza dei figli nella casa familiare – dovrebbe più correttamente basarsi sul disposto dell’art. 1183 c.c.”.
(18) Acierno, L’opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale, in questa Rivista, 2005, 561.
(19) Così Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, cit.
(20) Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, cit.
(21) Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, cit.
(22) Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179, in questa Rivista, 2007, 689, con nota di Lena, La rilevanza esterna del vincolo di destinazione a casa familiare dell’immobile concesso da un terzo in comodato: la Cassazione ritorna sui suoi passi?; in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1275, con nota di Al Mureden, Il limite al diritto alla restituzione della casa familiare in comodato: vincolo di destinazione del bene o nuovo vincolo di solidarietà nella famiglia?.
(23) Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179, cit.
(24) Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179.
(25) Cass., 4 maggio 2005, n. 9253, cit.
(26) Cass., 28 febbraio 2011, n. 4917, in questa Rivista, 2011, 882, con nota di Puglisi, Comodato e casa coniugale: torna l’orientamento delle Sezioni Unite del 2004.
(27) Cass., 28 febbraio 2011, n. 4917, cit.
(28) Cass. 30 giugno 2010, n. 18619, in questa Rivista, 2011, 121, con nota di Magli, Comodato e “casa familiare”: la limitazione della portata applicativa della decisione delle Sezioni Unite nella prospettiva delle pronunce di legittimità.
(29) Cass., 7 luglio 2010, n. 15986, in questa Rivista, 2010, 1086, con nota di Al Mureden, Casa familiare in comodato: il proprietario ha diritto alla restituzione ad nutum; in Fam. e min., 8, 44 ss., con nota di Fiorini, Ridimensionati i principi di tutela della prole e di solidarietà familiare.
(30) Sul punto v. Sesta, sub art. 147 c.c., in Codice della famiglia, a cura di, Sesta, cit., 611; Arceri, sub art. 155 quinquies c.c., in Codice della famiglia, cit., 783; Rossi, Il mantenimento dei figli, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta e Arceri, cit., 247 in part 256.
(31) Sul punto v. Arceri, sub art. 155 quinquies c.c., in Codice della famiglia, a cura di, Sesta, cit., 762.
(32) Sul recesso come emersione dello sfavore legislativo per i vincoli contrattuali destinati a durare per un tempo indefinito v. Gabrielli e Padovini, voce Recesso (dir. priv.), in Enc giur., XXXIX, 1988, 4; De Nova, Recesso e risoluzione nei contratti: appunti da una ricerca, in De Nova (a cura di), Recesso e risoluzione dei contratti, Milano, 1994, e ora in De Nova, Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 637, in part 642.
(33) Fragali, Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1967, 316 osserva che “un limite di durata può ritenersi previsto dal codice civile, se non con norma espressa, con riguardo alla funzione sociale che il contratto assolve”. Infatti, prosegue, Fragali, “la giustificazione sociale del limite è nel costume, che non richiede depauperamenti per soddisfare alle esigenze della vita di relazione, ma domanda piccole prestazioni di favore; e fra queste non può evidentemente includersi l’uso molto prolungato di un immobile, fino a superare il periodo di nove anni”. Sul punto v. anche Torrente e Schlesinger, Manuale di diritto privato, a cura di Anelli e Granelli, ed. XX, Milano, 2011, 761; Schininà, Il comodato, inDiritto civile, diretto da Nicolò, Lipari e Rescigno, coordinato da Zoppini, III, 3, Milano, 2009, 214, la quale, tuttavia, indica anche fattispecie in cui la durata del comodato è assai estesa, come, ad esempio quella del comodato la cui durata coincide con la vita del comodatario. Al riguardo si veda Cass., 3 novembre 2004, n. 21059, in Riv. Notariato, 2005, 340, in cui si è sancito che “la concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’an e incerto il quando; di conseguenza, stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto stesso, avendo comunque pur sempre diritto – così come lo aveva il comodante – di recedere nelle ipotesi previste dagli artt. 1804 comma 3, 1811 e 1809 comma 2 c.c.”.
(34) Fusco, Restituzione del bene per necessità del comodante e atipicità del contratto di comodato immobiliare, in I contratti, 2009, 31; Cipriani, Il comodato, Napoli, 2005; Galasso, Il comodato, in tratt. Dir. Civ. comm., fondato da Cicu e Messineo, diretto da Schelsinger, Milano, 2004; Fragali, Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1967, 316; Luminoso, voce Comodato (dir. civ.), in Enc. giur., VII, Roma, 1988; Schininà, Il comodato, cit., 205; Scozzafava, Il comodato, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, IV, Torino, 1985, 635.
(35) In tal senso si vedano Cass., SS.UU., 9 febbraio 2011, n. 3168, in Riv. giur. edilizia, 2011, 4, I, 895, con nota di De Tilla: “nel contratto di comodato, il termine finale può, a normadell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa dev’essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; in mancanza di tale destinazione, invece, l’uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile ad nutum da parte del proprietario”; Cass. 11 marzo 2011, n. 5907, in De jure e Cass. 8 ottobre 1997, n. 9775, in De jure, secondo cui “il termine finale del comodato in tanto può, a norma dell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile si configura come indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo parimenti indeterminato e cioè a titolo precario, onde la revocabilità ad nutum” da parte del comodante, a norma dell’art. 1810 c.c.
(36) Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179, cit.
(37) Scozzafava, Il comodato, cit., 635, osserva che il recesso può essere esercitato per giusta causa in presenza di un termine (art. 1809 c.c.) e in modo generalizzato (ex art. 1810 c.c.) solo laddove non vi sia alcun elemento dal quale è possibile desumere il tempo di estinzione del rapporto. Questa soluzione, del resto, si giustifica sulla base dell’esigenza di dare un termine ad un rapporto che, per definizione, è destinato a protrarsi per un tempo determinato, dal momento che al contratto di comodato la legge non ricollega un effetto definitivo; sullo sfavore per i vincoli contrattuali perpetui v. Galgano, Trattato di diritto civile, II, ed. II, Padova, 2010, 488; Gabrielli e Padovini, voce Recesso (dir. priv.), cit., 4; De Nova, Recesso e risoluzione nei contratti: appunti da una ricerca, cit., 642.
(38) Sul punto cfr. Cass. Cass., 28 febbraio 2011, n. 4917, cit.
(39) In questo senso si veda Cass., 12 marzo 2008, n. 6678, in I contratti, 2009, 31, con nota di Fusco, Restituzione del bene per necessità del comodante e atipicità del contratto di comodato. Nel caso di specie la S.C. ha dovuto pronunciarsi riguardo alla natura di un contratto di comodato nel quale le parti avevano previsto che “la restituzione dell’immobile da parte del comodante” doveva avvenire “nel caso che il comodante ne avesse necessità”; tale particolare accordo è stato qualificato dalla S.C. come un comodato “atipico” non riconducibile al comodato a termine né a quello precario.
(40) Balestra, Gli effetti della dissoluzione della convivenza, in Riv. dir. priv., 2000, 488.