Giovanni Facci, Autonomia dell’ordinamento sportivo e responsabilità civile delle Federazioni sportive, in Resp. civ. prev., 2011, p. 2197.
Autonomia dell’ordinamento sportivo e responsabilità civile delle Federazioni sportive
Sommario: 1. La responsabilità civile delle Federazioni Sportive. – 2. L’autonomia dell’ordinamento sportivo, e la legge, n. 280 del 2003. – 3. La legge, n. 280 del 2003 ed i dubbi di legittimità costituzionale. – 4. La lettura costituzionalmente orientata della l. n. 280 del 2003 ed il risarcimento del danno. – 5. Il danno ingiusto derivante da un provvedimento sanzionatorio emanato da una Federazione sportiva.
di Giovanni Facci
1. La responsabilità civile delle Federazioni Sportive.
Una recente sentenza della Corte Costituzionale (1) ha individuato nello strumento del risarcimento del danno da parte del giudice amministrativo il punto di bilanciamento tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo ed i diritti di chi, ingiustamente, subisce una sanzione disciplinare, incidente su situazioni giuridiche soggettive rilevanti anche per l’ordinamento giuridico statale. La questione si è posta in quanto sono sempre più frequenti i casi in cui una Federazione sportiva (talvolta insieme al Coni) viene chiamata in giudizio davanti al giudice statale, a causa di un provvedimento disciplinare emanato dagli organi di giustizia della stessa Federazione convenuta.
In tal modo, sorge inevitabilmente un problema di coordinamento tra il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, come sancito anche dalla l. 280 del 2003, ed i diritti – tutelati anche a livello costituzionale – di chi può subire un pregiudizio a causa dei suddetti atti delle Federazioni. Si consideri, al riguardo, che l’art. 2, comma 1º, lett. b), della l. 280 del 2003, riserva espressamente all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto «l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive».
Si tratta, pertanto, di stabilire se e con quali modalità, il giudice statale possa intervenire sulle questioni riguardanti l’ordinamento sportivo – nonostante la sfera di autonomia riconosciuta dal legislatore a detto ordinamento – al fine di tutelare i diritti di chi lamenta di aver subito un danno ingiusto, a causa di un provvedimento di una Federazione sportiva.
A questo proposito, è assai ampia la casistica dei danni ingiusti lamentati davanti al giudice statale, a seguito di provvedimenti sanzionatori delle Federazioni, i quali sono normalmente riconducibili al genere degli atti amministrativi (2).
Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere Un danno ingiusto ed il conseguente diritto al risarcimento del danno è stato lamentato anche da numerosi tifosi abbonati al Catania Calcio, in seguito al provvedimento sanzionatorio del Giudice sportivo di far disputare a porte chiuse le partite del Catania, a causa di un drammatico episodio di violenza avvenuto all’esterno dello stadio (4). Ipotesi ulteriori di responsabilità delle Federazioni possono derivare dall’emanazione di atti che non hanno contenuto sanzionatorio disciplinare: rilevante è la richiesta giudiziale di risarcimento ultramilionario che una società di pallacanestro ha rivolto alla Federazione a causa di una retrocessione da un campionato professionistico ad un altro, per la mancata assegnazione di una «vittoria a tavolino» (5). Significative sono anche le ipotesi di danno ingiusto lamentato in seguito ad un atto della Federazione di ammissione ai Campionati sportivi: questo ad esempio è il caso della controversia instaurata dall’ex azionista di maggioranza di una squadra di calcio professionistico che lamenta un ingente pregiudizio economico nei confronti della Federazione per l’illegittima ammissione, in assenza dei requisiti prescritti, di altra società calcistica al campionato di calcio di Serie A, dalla quale sia derivato il mancato «ripescaggio» della società della parte istante, retrocessa in Serie B (6). Allo stesso modo, si segnala il precedente in cui un terzo estraneo all’ordinamento sportivo – quale la curatela del fallimento di una società calcistica – abbia richiesto il risarcimento dei danni alla Federazione per la violazione degli obblighi di verifica dei bilanci delle singole società, su di essa gravanti in sede di accettazione della richiesta d’iscrizione al campionato di calcio (7); in particolare, si sostiene che i controlli – che la convenuta avrebbe dovuto compiere – avrebbero impedito il «lievitare dei debiti verso i tesserati» ed il conseguente «nocumento per la massa dei creditori». La curatela fallimentare di una società di calcio ha promosso anche una domanda risarcitoria nei confronti della Federazione, per aver disposto del titolo sportivo della società fallita (bene di maggior rilevanza), sottraendolo così alla massa dei creditori, in violazione della par condicio creditorum (8); nel caso di specie, il titolo sportivo era stato assegnato, in applicazione di norme federali (c.d. lodo Petrucci) (9), ad una diversa società, dietro versamento a favore della Federazione della somma di € 300.000,00 (trecentomila0). I precedenti giurisprudenziali ricordati – pur nella loro diversità e pur non essendovi stata fino ad ora alcuna pronuncia di condanna risarcitoria (10) – sono ben rappresentativi di come gli atti ed i provvedimenti delle Federazioni sportive possano avere rilevanza e produrre effetti anche nell’ordinamento statale, tanto da giustificare una domanda risarcitoria davanti al giudice statale. In altre parole, i provvedimenti emanati dalle Federazioni, al fine di regolamentare l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività di afferenza, possono assumere una rilevanza giuridica non circoscritta all’ordinamento settoriale; gli effetti di tali atti, infatti, possono superare l’ambito dell’ordinamento sportivo ed incidere sui diritti soggettivi ed interessi legittimi dei singoli, intesi non come soggetti parte dell’ordinamento sportivo ma come cittadini, appartenenti all’ordinamento giuridico statale. In tal modo, si pone il problema di conciliare il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo con i diritti – tra cui quello al risarcimento del danno – di chi può essere pregiudicato da un provvedimento emanato dalle Federazioni sportive (11). 2. L’autonomia dell’ordinamento sportivo e la legge, n. 280 del 2003. Nell’intervenire sul controverso rapporto tra l’ordinamento statale e l’autonomia dell’ordinamento sportivo (12), la Corte Costituzionale ha fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata della legge, n. 280 dell’ottobre del 2003 (13). Al riguardo ricordo che, nel definire i rapporti tra ordinamento sportivo nazionale ed ordinamento della Repubblica, e nel riservare al primo una sfera di autonomia rispetto al secondo, tale provvedimento legislativo ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale (14), con riferimento alla possibile violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. A questo proposito, è opportuno ricordare che la legge 280 del 2003 ha convertito, con modifiche, il decreto legge 19 agosto 2003, n. 220 (15), con il quale il legislatore era stato costretto ad intervenire, ricorrendo alla legiferazione d’urgenza, in una situazione – definita dal relatore durante i lavori parlamentari – di «vero e proprio disastro incombente sul mondo del calcio». In particolare, l’intento del legislatore del 2003 è stato quello di arginare l’intromissione – sempre più forte – della giustizia statale sull’autonomia dell’Ordinamento sportivo; nel caso di specie, gli interventi dei giudici statali avevano di fatto bloccato il regolare svolgimento dei Campionati di calcio di serie B e C. (16). Per questa ragione, nel regolamentare i difficili rapporti tra giustizia sportiva e giustizia statale, il legislatore ha inteso (rectius avrebbe voluto) tracciare una linea di confine netta tra le materie riservate all’Ordinamento sportivo ed ai suoi organi di giustizia e quelle nelle quali è ammesso l’intervento della giurisdizione statale ed in particolare del giudice amministrativo. A tal fine, il legislatore del 2003 ha riconosciuto all’art. 1 che i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, «salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo» (art. 1, comma 1º). In applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, il successivo comma 1º dell’art. 2, riserva in via esclusiva all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni riguardanti – non solo l’osservanza e l’applicazione delle c.d. regole tecniche (lett. a) (17), ma anche – «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» (lett. b). A questo proposito, viene precisato (art. 2, comma 2º) (18) che nelle suddette materie di cui al comma 1º, lett. a) e b), i soggetti dell’ordinamento sportivo (società, associazioni, affiliati e tesserati) hanno l’onere di adire, ove vogliano censurare l’applicazione delle sanzioni, gli «organi di giustizia dell’ordinamento sportivo», secondo le previsioni dell’ordinamento settoriale di appartenenza. In linea di principio, pertanto, nelle materie di cui al comma 1º dell’art. 2 (riguardanti, in sintesi, le c.d. controversie tecniche (19) e le controversie disciplinari (20), la tutela – stante la presunta irrilevanza per l’ordinamento generale delle situazioni «in ipotesi violate e dei rapporti che da esse possano sorgere» (21) – non è apprestata dal giudice statale, ma da organismi interni all’ordinamento sportivo. Tale riserva a favore dell’ordinamento sportivo è giustificata con il rilievo che vi sarebbe comunque una garanzia di una giustizia di tipo associativo, funzionante secondo gli schemi del diritto privato (22); di conseguenza, non vi sarebbe un vuoto di tutela. In tal modo, nelle materie di cui al comma 1º dell’art. 2, la giustizia sportiva è apparsa «lo strumento di tutela definitivo per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive» (23). In altre parole, sulle questioni di cui al comma 1º (lett. a e b) dell’art. 2 – se considerate prive di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica – l’autonomia dell’ordinamento sportivo sarebbe immune da interventi da parte del giudice statale; detto ancora diversamente, non potrebbe invocarsi una violazione dell’art. 24 cost., in quanto la situazione lesa non assumerebbe la consistenza del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo. In applicazione dei principi espressi dalla legge, n. 280 del 2003 – al fine di limitare e circoscrivere l’intervento del giudice statale nell’ordinamento sportivo – si è ritenuto, ad esempio, che la retrocessione da arbitro di calcio di serie A ad arbitro di calcio del settore giovanile e scolastico della F.i.g.c., senza perdita dello status di affiliato, fosse questione del tutto interna alla giustizia sportiva, da risolvere con gli strumenti propri del relativo ordinamento (24); così facendo si è affermata l’irrilevanza per l’ordinamento statale del provvedimento di retrocessione dell’arbitro e dei conseguenti effetti negativi per gli interessi personali del destinatario del provvedimento (25). Allo stesso modo, si è ritenuto di dover escludere la giurisdizione del giudice dello Stato nel caso già ricordato, riguardante il mancato riconoscimento di una «vittoria a tavolino», nonostante tale mancata assegnazione della vittoria abbia poi determinato una retrocessione da un campionato professionistico ad un altro, con conseguente ingente pregiudizio patrimoniale (26). Ugualmente, si è esclusa la giurisdizione statale in merito alla domanda – promossa dai tifosi del Catania calcio – di annullamento del provvedimento disciplinare di squalifica del campo da gioco e di risarcimento dei danni (27). Si è ritenuto, infatti, che si fosse in presenza di «atti dell’ordinamento sportivo rispetto ai quali la legge dello Stato ha espressamente affermato il proprio disinteresse, avendoli qualificati a ogni effetto come irrilevanti per l’ordinamento giuridico statuale»; in tal modo, il difetto di giurisdizione sugli atti interni all’ordinamento sportivo ha precluso la cognizione anche sulle domande risarcitorie (28). Sono considerate, invece, situazioni di «rilevanza per l’ordinamento della Repubblica» le questioni aventi ad oggetto l’ammissione e l’affiliazione alle Federazioni di società, associazioni o singoli tesserati, nonché quelle relative alla organizzazione e svolgimento delle attività agonistiche ed alla ammissione ad esse di squadre ed atleti. Tali materie, infatti, nell’originario decreto legge, n. 220 dell’agosto del 2003 erano indicate all’art. 2, lett. c) e d), tra le materie sottratte al giudice statale. In sede di conversione del decreto legge, il legislatore – ben consapevole dei dubbi di legittimità costituzionale (29) – ha espunto siffatte materie dal testo normativo. È del tutto evidente, in proposito, che la possibilità di essere affiliati ad una Federazione sportiva o di essere ammessi a svolgere attività agonistica, disputando le gare ed i campionati organizzati dalle Federazioni facenti capo al Coni, non può essere considerata una situazione irrilevante per l’ordinamento giuridico statale e, come tale, non meritevole di tutela da parte di questo. Vengono in rilievo, infatti, «fondamentali diritti di libertà – fra tutti, sia quello di svolgimento della propria personalità, sia quello di associazione – che non meno significativi diritti connessi ai rapporti patrimoniali – ove si tenga conto della rilevanza economica che ha assunto il fenomeno sportivo, spesso praticato a livello professionistico ed organizzato su base imprenditoriale – tutti oggetto di considerazione anche a livello costituzionale» (30). Per questa ragione, nelle ipotesi considerate – concernenti, in sintesi, l’affiliazione alle Federazioni, nonché l’ammissione ai campionati – non appare possibile escludere l’intervento della giurisdizione statale. In tal modo, l’intervento del legislatore – che in sede di conversione ha modificato il precedente decreto dell’agosto del 2003 – è risultato coerente con il disposto del comma 2º dell’art. 1; quest’ultimo, infatti, espressamente riconosce come l’autonomia dell’ordinamento sportivo «receda» laddove siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento della Repubblica. Si consideri, infine, che – poiché gli atti adottati dal C.O.N.I. e dalle Federazioni sportive sono comunemente ricondotti al genere degli atti amministrativi – l’art. 3 della stessa l. n. 280 del 2003 (31) riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva – la cognizione dei ricorsi proposti avverso detti atti, salvi i casi previsti dal precedente comma 1º, lett. a) e b), dell’art. 2, in cui vige la riserva a favore degli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo. 3. La legge, n. 280 del 2003 ed i dubbi di legittimità costituzionale. I dubbi di legittimità costituzionale – sollevati dal T.a.r. del Lazio (32), che hanno determinato l’intervento della Corte Costituzionale – hanno riguardato il comma 1º, lett. b), dell’art. 2, della l. 280 del 2003, nella parte in cui riserverebbe al solo giudice sportivo la competenza a decidere, in via definitiva, le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche (33), inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice statale. In particolare, i dubbi di costituzionalità non riguardavano la previsione della «c.d. pregiudiziale sportiva»; a questo proposito, l’art. 3 della l. 280 del 2003 devolve al giudice amministrativo gli atti del Coni e delle Federazioni (non rientranti nella materia riservata agli organi sportivi di cui all’art. 2) solo dopo che siano stati «esauriti i gradi della giustizia sportiva». Tale pregiudiziale, infatti, è ritenuta corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo, fermo restando comunque che tale pregiudiziale sussiste soltanto per i soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo (34). È posta in dubbio, invece, la preclusione ad adire il giudice statale, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva (35). In tal modo, il comma 1º dell’art. 2, della l. 280 del 2003, presenterebbe il dubbio di costituire una «deroga al principio costituzionale del diritto ad ottenere la tutela della propria posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale»; di conseguenza, il diritto di difesa del soggetto sanzionato dall’Ordinamento sportivo finirebbe «per essere irrimediabilmente leso proprio dalla preclusione del ricorso al giudice statale» (36). In altre parole, si creerebbe una situazione di conflitto con l’art. 24 cost., e con gli artt. 103 e 113 cost. (37), qualora il comma 1º, lett. b), dell’art. 2 della l. 280 del 2003 dovesse sottrarre al sindacato del giudice amministrativo le questioni riguardanti le sanzioni disciplinari, i cui effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo ed incidano su diritti soggettivi ed interessi legittimi dei singoli (38). I provvedimenti disciplinari, infatti, determinano effetti sanzionatori sulla posizione del soggetto all’interno dell’ordinamento di riferimento (39); tuttavia, può accadere che detti provvedimenti, talvolta, non esauriscano la loro efficacia all’interno del solo ordinamento sportivo, determinando anche un pregiudizio nella sfera giuridica della parte, rilevante per l’ordinamento statale. Detto diversamente, l’autonomia e l’intangibilità dell’ordinamento sportivo è giustificata solo nei limiti in cui gli atti ed i provvedimenti dello stesso esauriscano i loro effetti all’interno del medesimo ordinamento. Se invece i suddetti provvedimenti colpiscono i diritti fondamentali dell’interessato – inerenti alla sfera patrimoniale od a quella non patrimoniale dello stesso – si profilano dubbi di legittimità costituzionale, se si impedisce all’interessato di rivolgersi al giudice dell’ordinamento statale (40). Nel caso di specie, sotteso al giudizio di rimessione alla Corte Costituzionale, il T.A.R. del Lazio ha ritenuto che il provvedimento afflittivo influenzasse negativamente un diritto personalissimo della parte sanzionata, quale l’onorabilità della stessa (41); si è riconosciuto, infatti, che la misura interdittiva inequivocabilmente sottintendesse un giudizio negativo sulle qualità morali del destinatario del provvedimento (42). L’intervento della Corte Costituzionale è stato, così, finalizzato ad individuare il difficile bilanciamento degli interessi antagonisti sottesi alla fattispecie: il primo volto a tutelare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, il cui fenomeno associazionistico è espressione degli artt. 2 e 18 cost. (43); l’altro, invece, il diritto di difesa del soggetto sanzionato, inteso non già come mero appartenente al più ristretto mondo dello sport, bensì come soggetto facente parte dell’ordinamento statale. 4. La lettura costituzionalmente orientata della l. n. 280 del 2003 ed il risarcimento del danno. Il risarcimento del danno da parte del giudice amministrativo rappresenta – per la Corte Costituzionale, n. 49 del 2011 – il punto di bilanciamento tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo ed il diritto di difesa di chi viene sanzionato dall’ordinamento sportivo, allorché detta sanzione abbia incidenza su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale. In tal modo, viene confermata la giurisdizione esclusiva dell’ordinamento sportivo sugli atti attraverso i quali sono irrogate le sanzioni disciplinari; la conseguente esclusione della giurisdizione dell’ordinamento statale – posta a tutela dell’autonomia e del regolare funzionamento dell’ordinamento sportivo – non significa però negare la possibilità – per chi lamenta la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante – di agire in giudizio, davanti al giudice amministrativo, per ottenere il risarcimento del danno. In tal modo, se il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive connesse all’ordinamento statale, davanti al giudice amministrativo può essere proposta soltanto una domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno. In questo caso, non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria non potrebbe nemmeno essere fatta valere. Il risarcimento del danno, pertanto, verrebbe ad essere una forma di tutela per equivalente che – secondo la Consulta – permette di soddisfare ampiamente il diritto – costituzionalmente tutelato – di azione e di difesa del destinatario del provvedimento, nonostante la mancanza di un giudizio di annullamento; senza contare che, ben difficilmente, un giudizio di annullamento del giudice amministrativo potrebbe produrre effetti ripristinatori, in quanto interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva. Il lasso di tempo trascorso, infatti, farebbe assumere all’atto in contestazione effetti irreversibili, così che un eventuale decisione di annullamento pronunciata dal giudice amministrativo non potrebbe restituire alla parte il «bene della vita» agognato. È significativa, ad esempio, la vicenda giurisprudenziale, già ricordata (44), riguardante la penalizzazione subita da una società di calcio di Serie B, poi retrocessa al termine della stagione in serie C, in conseguenza di detta penalizzazione. La società – anche nelle more del ricorso al T.A.R. – aveva già disputato il campionato in serie C; pertanto, gli atti impugnati avevano prodotto conseguenze irreversibili, nel senso che – come del resto evidenziato, in sede di istanza cautelare, dalla stessa società – neanche una eventuale decisione favorevole del giudice amministrativo avrebbe potuto restituire alla società il «bene della vita» (coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione di penalizzazione. Sulla base di tali presupposti, la legittimità degli atti impugnati può venire in rilievo davanti al giudice amministrativo soltanto in via indiretta ed incidentale, al fine di decidere sulla domanda risarcitoria (45). Senza contare, inoltre, che un giudizio di annullamento da parte del giudice amministrativo rappresenterebbe una forma di intromissione – giudicata dalla Corte Costituzionale – non armonica rispetto all’esigenza di tutelare l’autonomia dell’ordinamento sportivo. A ciò si aggiunga che la Corte Costituzionale – per rafforzare la motivazione circa l’autonomia dell’ordinamento sportivo, con conseguente esclusione della possibilità dell’intervento del giudice statale, se non con riguardo ai profili risarcitori – ha evidenziato come l’art. 2058 c.c. (richiamato dall’art. 30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) (46) preveda il risarcimento in forma specifica come un’eventualità («qualora sia in tutto od in parte possibile») sempre sottoposta al potere discrezionale del giudice («tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore») (47). In tal modo, si giunge alla conclusione che escludere da un lato l’intervento del giudice amministrativo sull’efficacia dell’atto e dall’altro attribuire allo stesso gli aspetti risarcitori, rappresenti un ragionevole bilanciamento – che fuga i dubbi di costituzionalità del comma 1º dell’art. 2 della l. n. 280 del 2003 – tra esigenze contrapposte; da una parte, infatti, vi è l’esigenza di salvaguardare l’autonomia e quindi il corretto funzionamento dell’ordinamento sportivo; dall’altra, vi è l’irrinunciabile esigenza di tutelare chi ha subito un pregiudizio da un provvedimento sanzionatorio dell’ordinamento sportivo, allorché tale provvedimento venga ad incidere sui diritti fondamentali dell’interessato. In altre parole, la mancanza di un giudizio di annullamento dell’atto sanzionatorio non rappresenta una violazione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato; infatti, nell’ipotesi di sanzione disciplinare incidente anche su situazioni rilevanti per l’ordinamento statale, la tutela residuale – rappresentata dal risarcimento del danno – consente di soddisfare in pieno i precetti costituzionali, in base ai quali «a nessuno può essere negata la tutela della propria sfera giuridica dinanzi ad un giudice statale, ordinario o amministrativo che sia» (48). 5. Il danno ingiusto derivante da un provvedimento sanzionatorio emanato da una Federazione sportiva. La decisione della Corte Costituzionale – nell’identificare nel risarcimento del danno il punto di bilanciamento tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo ed i precetti costituzionali, in base ai quali a nessuno può essere negata la tutela della propria sfera giuridica dinanzi ad un giudice statale – suscita diverse considerazioni. In particolare, non è in discussione che il Giudice amministrativo sia in grado di offrire una piena tutela risarcitoria ai diritti fondamentali lesi, a causa di atti illegittimi riconducibili all’esercizio di una funzione di natura pubblicistica (49). È indubbio, di conseguenza, che il giudice amministrativo sia, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il giudice naturale anche dei diritti fondamentali (50); per questa ragione, al danneggiato è assicurata ogni più ampia tutela risarcitoria anche davanti al giudice amministrativo. Meritano di essere approfonditi, tuttavia, i criteri e le modalità con cui il giudice amministrativo può riconoscere il risarcimento a favore di chi sia stato danneggiato da un provvedimento sanzionatorio di una Federazione sportiva. A questo proposito, appare evidente che la responsabilità debba essere valutata alla stregua delle regole dell’ordinamento statale (51), tenuto conto che la domanda è proposta davanti al giudice amministrativo e ha ad oggetto una condanna al risarcimento dei danni, da far valere nell’ordinamento statale. In tal modo, ai fini della responsabilità civile delle Federazioni, deve venire in rilievo quanto meno il profilo soggettivo della colpa, configurabile – secondo il diritto vivente in tema di responsabilità della p.a. – nelle ipotesi di violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione o di negligenza od omissione ritenuta non scusabile (52). In altre parole, ai fini della responsabilità delle Federazioni – per l’illegittima emanazione di provvedimenti sanzionatori, da considerarsi quali atti sostanzialmente amministrativi – deve essere dimostrato l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, sia pur attraverso gli strumenti di semplificazione probatoria che connotano il giudizio di responsabilità da provvedimento illegittimo. In materia di risarcimento del danno da attività provvedimentale, infatti, le esigenze di semplificazione probatoria possono essere soddisfatte utilizzando per la verifica dell’elemento soggettivo le presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (53). Diverso, però, sarebbe il caso in cui l’attività della Federazione o del C.O.N.I., nell’emanare un provvedimento sanzionatorio nei confronti di un affiliato, venisse ricondotta non nell’ambito dell’attività provvedimentale (54), bensì nell’ambito di quella giurisdizionale, tenuto conto dei caratteri dei procedimenti di giustizia sportiva, a seguito dei quali i provvedimenti disciplinari sono assunti. È evidente, infatti, che il sistema di giustizia sportiva – istituito all’interno dell’ordinamento sportivo, con il compito di risolvere le controversie insorte nonché di reprimere le violazioni delle norme dell’ordinamento sportivo e assicurare l’applicazione delle sanzioni – è strutturato in modo analogo a quello della giustizia statale (55). Se si seguisse tale ipotesi ricostruttiva, la valutazione – ai fini della responsabilità – dell’elemento soggettivo dovrebbe vertere sul riscontro della «colpa grave» di cui all’art. 2 della l. 13 aprile 1988, n. 117, richiamata anche dall’art. 813 ter c.p.c., in tema di responsabilità degli arbitri. Tale interpretazione – che determinerebbe, ai fini della responsabilità, un diverso accertamento dell’elemento soggettivo – non appare ricavabile, tuttavia, dal contenuto della sentenza della Corte Costituzionale, ma soltanto da un’equiparazione dell’attività degli organi di giustizia sportiva all’attività giurisdizionale in senso proprio. Ad ulteriore conferma della natura provvedimentale dell’atto emanato dagli organi della giustizia sportiva, inoltre, si può segnalare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio illegittimo di un potere disciplinare, qual è quello esercitato nei confronti di un proprio iscritto da parte di un Ordine professionale; in particolare, la responsabilità civile dell’Ordine professionale – i cui atti sono considerati di natura amministrativa ed il cui procedimento disciplinare è accostabile, per certi aspetti, al sistema sanzionatorio previsto nell’ordinamento sportivo (56) – è stata ricondotta nell’ambito dell’attività da provvedimento illegittimo della P.A.; di conseguenza, ai fini della pronuncia di condanna si è richiesta una «penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che … costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana» (57). In ogni caso, anche riconducendo l’attività delle Federazioni – nell’adozione di provvedimenti sanzionatori disciplinari – nell’ambito di quella provvedimentale, è indubbio che, ai fini dell’accertamento della responsabilità, debbano essere tenute in considerazione le peculiarità dell’attività in concreto svolta dagli organi delle Federazioni, nel momento in cui comminano una sanzione disciplinare; infatti, i procedimenti di giustizia sportiva – proprio perché equiparabili all’attività giurisdizionale in senso proprio – sono caratterizzati da un inevitabile margine di discrezionalità nella valutazione dei fatti e delle prove assunte, nell’interpretazione delle norme regolamentari e nell’adozione dei provvedimenti disciplinari. Per questa ragione, dovrebbe essere precluso al giudice amministrativo entrare nel merito di siffatte valutazioni, le quali sono svolte ai fini dell’assunzione di un provvedimento, che è espressione dell’autonomia riconosciuta, ai sensi della legge, n. 280 del 2003, all’ordinamento sportivo (58); di conseguenza, le decisioni degli organi di giustizia sportiva appaiono difficilmente censurabili se accompagnate e sorrette da adeguata motivazione. La responsabilità, tuttavia, potrebbe ravvisarsi non solo nel caso di riscontro del mancato rispetto delle regole procedurali sportive ma, più in generale, nell’ipotesi di violazione dei principi fissati dall’ordinamento statale, con l’art. 1.14 del d.lgs. n. 15 dell’8 gennaio 2004, che modifica ed integra il d.lgs. del 23 luglio 1999, n. 242, recante il «riordino del Comitato olimpico nazionale italiano». In particolare, tali principi – a cui la giustizia sportiva si deve uniformare – sono quelli del «contraddittorio tra le parti, del diritto di difesa, della terzietà e dell’imparzialità degli organi giudicanti, della ragionevole durata, della motivazione e dell’impugnabilità delle decisioni». La ratio dei predetti principi – espressamente previsti dall’ordinamento statale per la giustizia sportiva ma anche ribaditi dal Coni nei «Principi di Giustizia Sportiva» (59) – è quella di armonizzare la specificità dei procedimenti dell’ordinamento sportivo, con le disposizioni costituzionali che regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale (60). In tal modo, se si collega la responsabilità delle Federazioni per esercizio di attività provvedimentale sanzionatoria, alla violazione dei principi fissati dall’ordinamento statale per i procedimenti in materia di giustizia sportiva, resta pienamente ferma l’autonomia dell’ordinamento sportivo nell’ambito delle questioni aventi ad oggetto «l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive», riservate in via esclusiva all’ordinamento sportivo, dall’art. 2, comma 1º, lett. b), della l. 280 del 2003. Tale autonomia, invece, sarebbe seriamente posta in discussione se il giudice amministrativo potesse – seppur al solo fine di accordare il risarcimento del danno, senza caducare l’atto – sindacare il merito delle decisioni assunte. Appare, pertanto, più coerente con il sistema tracciato dalla l. 280 del 2003 e con la lettura costituzionalmente orientata della stessa, operata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, collegare la responsabilità civile delle Federazioni, nell’ambito dell’irrogazione ed applicazione delle sanzioni disciplinari, alla violazione dei principi che l’ordinamento statale ha fissato a tutela dei diritti fondamentali degli interessati. Soltanto la violazione di siffatti principi – stabiliti dall’ordinamento statale – potrebbe determinare l’insorgenza di un danno ingiusto e la conseguente condanna risarcitoria delle Federazioni, in caso di lesione di diritti fondamentali dell’interessato, a seguito di un provvedimento sanzionatorio della giustizia sportiva. In altre parole, l’ordinamento statale – attraverso il comma 1º dell’art. 2 della l. 280 del 2003 – ha espressamente riconosciuto l’autonomia dell’ordinamento sportivo nell’esercizio del potere sanzionatorio – disciplinare, caratterizzato inevitabilmente da accertamenti e valutazioni del tutto discrezionali; l’ordinamento statale, tuttavia, ha fissato anche i principi – con l’art. 1.14 del d.lgs. n. 15 dell’8 gennaio 2004 – a cui si deve attenere il giudice sportivo, a garanzia del corretto esercizio del suddetto potere. Di conseguenza, appare difficile individuare un danno ingiusto ed una conseguente responsabilità della Federazione, qualora un provvedimento sanzionatorio determinasse la lesione di diritti fondamentali dell’interessato (sia di natura non patrimoniale sia di natura patrimoniale) ma fosse stato comunque adottato nel rispetto dei suddetti principi. Questioni ulteriori possono sorgere anche con riguardo al momento in cui il giudice amministrativo può essere investito della richiesta di risarcimento dei danni. Al riguardo, si è già dato atto della piena legittimità – riconosciuta dalla stessa Corte Costituzionale – della c.d. «pregiudiziale sportiva»; in particolare – secondo l’art. 3 della l. 280 del 2003 – il giudice amministrativo può pronunciarsi sugli atti del Coni e delle Federazioni solo dopo che il soggetto parte dell’ordinamento sportivo abbia esperito tutti «i gradi della giustizia sportiva» (61). L’ultimo grado della giustizia sportiva è rappresentato dall’intervento dell’Alta Corte di Giustizia sportiva (62), istituita presso il Coni, ai sensi degli artt. 12 e 12 bis dello Statuto Coni. In particolare, l’Alta Corte è chiamata a pronunciarsi sulle controversie «aventi a oggetto diritti indisponibili o per le quali non sia prevista la competenza del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport». Deve trattarsi, comunque, di controversie aventi «notevole rilevanza» per l’ordinamento sportivo nazionale e deve esservi stato – ovviamente – l’esperimento dei rimedi o ricorsi previsti dalla giustizia sportiva federale. In tal modo, se la controversia rientra tra quelle devolute all’Alta Corte – ed a tal proposito possono sorgere dubbi interpretativi circa i presupposti riguardanti i «diritti indisponibili» oggetto della controversia (63), nonché la «notevole rilevanza» della stessa (64) – l’intervento del giudice amministrativo potrà esservi soltanto dopo la decisione dell’Alta Corte. Al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo sport, invece, possono essere sottoposte soltanto le controversie sportive concernenti «diritti disponibili» e quelle «rilevanti nel solo ordinamento sportivo» (art. 2, Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Arbitrale Nazionale per lo Sport) (65); pertanto, il Tribunale Nazionale di Arbitrato dovrebbe intervenire soltanto su controversie i cui effetti si manifestino esclusivamente nell’ordinamento sportivo, con conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale. Non si può escludere, tuttavia, che il T.N.A.S. – che svolge vere e proprie funzioni arbitrali sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affiliati, tesserati o licenziati – sia chiamato a pronunciarsi anche su provvedimenti sanzionatori che comunque travalicano il mero ambito endoassociativo, ripercuotendosi all’esterno su posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statale (66). Di conseguenza, il giudice amministrativo potrebbe essere chiamato a pronunciarsi non sul lodo emanato dal T.N.A.S. – il quale è impugnabile davanti alla Corte d’appello per accertarne la nullità (67) – ma, in via indiretta ed incidentale, al fine di decidere sulla domanda di risarcimento dei danni, provocati dal provvedimento sanzionatorio illegittimo. Ulteriore argomento di riflessione riguarda il termine entro cui deve essere promossa l’azione risarcitoria davanti al giudice amministrativo che, alla luce del comma 3º dell’art. 30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, dovrebbe coincidere con il termine di decadenza di 120 giorni, decorrenti dal momento in cui è stato esaurito l’ultimo grado della giustizia sportiva. 1() Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, in La responsabilità civile, 2011, f. 6. 2() Sulla natura pubblicistica dell’attività svolta dal C.O.N.I. e dalle Federazioni, si segnala, tra gli altri, Lubrano, I rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale nella loro attuale configurazione, in Lineamenti di diritto sportivo, a cura di Cantamessa, Riccio, Sciancalepore, Milano, 2008, 51. 3() Questo è il caso deciso dal Cons. Stato, 25 novembre 2008, n. 5782. 4() Corte Giustizia Amm. Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, in Banca dati Pluris. Su tale vicenda si veda Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, in Europa e dir. priv., 2008, 553. 5() Cons. St., 27 aprile 2011, n. 2485; T.A.R. Lazio 2 luglio 2008, n. 6352, in Foro amm., Tar, 2008, 1738. 6() Cass., sez. un., 22 novembre 2010, n. 23598, in Mass. Giust. civ., 2010, f. 11, 1489. 7() Cass., sez. un., 16 dicembre 2009, n. 26286, in Mass. Giust. civ., 2009, f. 12. 8() Cons. St., 13 maggio 2010, n. 2946, in Banca dati Pluris. 9() Al riguardo si veda l’art. 52, comma 6º, delle N.O.I.F. (Norme organizzative interne). 10() Su una recente vicenda giudiziaria, conclusasi con la condanna della Federazione al risarcimento dei danni, si segnala Cass. pen., 5 giugno 2009, n. 38154, la quale ha affermato la responsabilità civile della stessa Federazione per i danni provocati per colpa professionale da un medico sportivo che aveva colposamente attestato l’idoneità alla pratica sportiva agonistica di un giovane atleta, poi deceduto nell’ambito di una competizione. La medesima vicenda è stata giudicata in primo grado da Trib. Vigevano, 9 gennaio 2006, in Riv. pen., 2006, f. 4, 451. 11() Cons. St., 13 maggio 2010, n. 2946, cit., secondo la quale «i rapporti tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento sportivo non sono, quindi, di reciproca autonomia e totale indipendenza: così che qualunque soggetto che venga in rapporto con organi dell’ordinamento amministrativo sportivo resti soggetto esclusivamente ad esso e perda la tutela dei diritti soggettivi a lui riconosciuti dall’ordinamento statale. Al contrario, l’ordinamento sportivo opera nell’ambito delle leggi dello Stato e può agire solo entro la sfera delle potestà che da queste ultime gli sono riconosciute, sfera che è limitata all’esercizio della predetta potestà regolamentare amministrativa nel settore sportivo il quale rientra fra gli interessi generali dello Stato e che è stato delegato ad un ente pubblico, appositamente creato e sottoposto alla vigilanza del competente organo amministrativo statale. Perciò l’ordinamento giuridico sportivo assume sotto la denominazione di Comitato olimpico nazionale italiano la qualificazione di ente pubblico nell’ordinamento giuridico statale e, quale ente pubblico distinto dalla persona giuridica dello Stato e dai suoi organi, viene utilizzato dall’ordinamento giuridico statale per l’esercizio della funzione amministrativa nel settore sportivo, sì che l’efficacia degli atti amministrativi e della normativa regolamentare, anziché essere limitata all’interno dell’ordinamento sportivo, si estende nell’ambito dell’ordinamento statale». 12() Sull’ordinamento sportivo ed i rapporti con l’ordinamento statale, si rinvia agli studi classici di M.S., Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, 13; W. Cesarini Sforza, La teoria degli ordinamenti giuridici ed il diritto sportivo, in Foro it., 1933, I, 1381; I. Marani Toro – A. Marani Toro, Gli ordinamenti sportivi, Milano, 1977. Di recente, si segnala anche Pardolesi, Sull’efficacia dell’accordo (sportivo) dissimulato dell’ordinamento statale, in Corriere giur., 2004, 892; Alpa, Il problema dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, in Il caso Genoa, alla ricerca di un giudice, a cura di Benedetti, Torino, 2005, 25; Id., L’ordinamento sportivo, in Nuova giur. civ., 1986, II, 321. 13() Per un ampia disamina della l. n. 280 del 2003, Colagrande, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, in Le in Nuove leggi civ., 2004, f. 4, 705. 14() La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata da T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, in Foro it., 2010, f. 10, 528. 15() Sul decreto legge, n. 220 del 2003, si segnala il commento di De Marzo, Ordinamento statale e ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corriere giur., 2003, 1265. 16() Sulla situazione che si era venuta a creare nell’estate del 2003 e sulla conseguente situazione di impasse della Federazione, si segnala tra gli altri, De Silvestri, La giustizia sportiva, in Diritto dello sport, a cura di Coccia, De Silvestri, Forlenza, Fumagalli, Musumarra, Selli, Firenze, 2008, 130. 17() «a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive». 18() «2. Nelle materie di cui al comma 1º le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”. 19() Con tale espressione si fa riferimento a quelle controversie che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva. Sull’irrilevanza di tali controversie per l’ordinamento statale, si segnala già Cass., sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, in Foro it., 1990, I, 899, con nota di Catalano. Al riguardo anche Alvisi, Autonomia privata e autodisciplina sportiva: il C.O.N.I. e la regolamentazione dello sport, Milano, 2000, 413. 20() Con tale espressione si fa riferimento alle controversie che riguardano l’irrogazione di provvedimenti di carattere punitivo nei confronti di atleti, associazioni e società sportive. 21() Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. 22() Cass., sez. un., 4 agosto 2010, n. 18052, in Mass. Giust. civ., 2010, f. 7-8, 1086. 23() T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, cit. 24() Cons. Stato, 17 aprile 2009, n. 2333, in Foro it., 2009, 6, 305. 25() Cons. Stato, 17 aprile 2009, cit., il quale motiva in questo modo: «occorre, invece, indagare, come ha fatto il Tar, se, al di là dell’afflizione connessa allo specifico status di membro della Federazione, sussistano conseguenze incidenti su situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento generale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Viene allora in rilievo che, contrariamente a quanto pretende l’interessato anche nel ricorso in appello, nessun rapporto di lavoro lega l’arbitro alla FIGC, come è reso evidente, tra l’altro, dalla qualificazione in termini di mera indennità del compenso che riceve per le prestazioni rese, che l’inserimento nei ruoli degli arbitri fuori quadro non ha comportato la cancellazione del tesseramento, e che nessuna altra conseguenza giuridicamente apprezzabile avente ricaduta all’esterno dell’ordinamento sportivo viene in evidenza (né viene addotta dal ricorrente) come effetto dei provvedimenti impugnati». Al riguardo, anche T.A.R. Lazio, sez. III, 3 dicembre 2009, n. 12409, in Foro amm., TAR, 2009, 12, 3505. 26() T.A.R. Lazio 2 luglio 2008, n. 6352, in Foro amm., Tar, 2008, 1738, la quale motiva in questo modo «si tratta, quindi, di questione puramente tecnica, che certamente non sarebbe uscita dai confini della Giustizia sportiva se la ricorrente si fosse diligentemente attivata allorquando la notizia della partecipazione irregolare del giocatore Lorbek era divenuta ufficiale (Comunicato della FIP del 22 febbraio 2007). In altri termini, e per concludere, stabilire se una squadra debba o non vincere una partita a tavolino, indipendentemente dalle ragioni per le quali lo stravolgimento del risultato conseguito sul campo venga chiesto, così come se un giocatore debba essere ammonito o squalificato rientra nella competenza inderogabile degli organi dell’ordinamento sportivo». La decisione è stata confermata anche dal Consiglio di Stato del 27 aprile 2011, n. 2485, con la motivazione secondo la quale «la c.d. vittoria a tavolino è, in termini oggettivi, una procedura in cui si fa governo – seppure non sul campo – di regole che rimangono regole «del gioco», cioè tecniche e sportive, perché comunque relative al campo; non già di regole espressive di discrezionalità amministrativa. Pertanto l’interesse che sta di fronte ad esse è, per l’ordinamento generale, un interesse mero, e non tale da consentire di evocare l’intervento della giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. giust. amm. sic., 8 novembre 2007, n. 1048): e la decisione se ad una squadra sia da assegnare la vittoria a tavolino, rientra nella competenza degli organi dell’ordinamento sportivo». 27() Corte Giustizia Amm. Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, cit. 28() Corte Giustizia Amm. Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, cit. 29() Al riguardo, De Marzo, Ordinamento statale e ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, cit., 1265. 30() Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. 31() «1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2º, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”. 32() T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, cit. 33() La questione non si pone per la fattispecie di cui al comma 1º, lett. a), dell’art. 2, relativa alla «sanzione c.d. tecnica comminata durante o in conseguenza di una competizione sportiva (ad es. l’ammonizione o l’espulsione di un giocatore). È agevole, infatti, osservare che in tali casi manca il presupposto per poter invocare l’art. 24 cost., e cioè la tutela di posizioni giuridiche di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Alle regole tecniche che vengono in gioco non può essere attribuita natura di norme di relazione dalle quali derivino diritti soggettivi e contrapposti obblighi in capo ai soggetti coinvolti nell’esercizio dell’attività sportiva. Ma non sono configurabili neanche posizioni di interesse legittimo, che presupporrebbero la possibilità di qualificare le decisioni assunte dai giudici di gara come provvedimenti amministrativi. In altri termini, e per concludere sul punto, la violazione di regole di gara, aventi dunque connotato prettamente ed esclusivamente tecnico, che la dottrina più qualificata fa rientrare nell’ambito «dell’irrilevante giuridico», dà luogo all’applicazione di sanzioni anch’esse tecniche, indifferenti per l’ordinamento statale, la cui giustiziabilità può essere correttamente riservata agli organi di giustizia sportiva» (T.a.r., 10 febbraio 2010, n. 241). 34() Nessun onere di attivare i rimedi della giustizia sportiva gravano sui soggetti che sono estranei all’ordinamento sportivo; a tal proposito Cons. St., 13 maggio 2010, n. 2946, cit., la quale ha escluso un onere di tal genere in capo al curatore fallimentare di una società di calcio fallita, tenuto conto che egli «è soggetto estraneo all’ordinamento sportivo e, nella specie, ha promosso un’azione non in sostituzione della società sportiva fallita, ma quale pubblico ufficiale esercente una funzione pubblica diretta a garantire la conservazione ed amministrazione del patrimonio fallimentare». 35() T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, cit. 36() T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, cit. 37() Si è già ricordato, a questo proposito, come gli atti adottati dal C.O.N.I. e dalle Federazioni sportive siano comunemente ricondotti al genere degli atti amministrativi (secondo la Corte Costituzionale, n. 49, del 2011, non si può «dubitare, proprio per la riserva di giurisdizione contenuta nell’art. 3 del decreto-legge, n. 220 del 2003, della riconducibilità al genere degli atti amministrativi dei provvedimenti emessi dal CONI e dalle Federazioni sportive»); pertanto, il comma 1º, lett. b), dell’art. 2 della legge, n. 280 del 2003, si porrebbe in contrasto con le sopra indicate norme costituzionali, allorché i provvedimenti, con cui sono inflitte sanzioni disciplinari, non esauriscano la loro efficacia all’interno dell’ordinamento sportivo. 38() Ha affermato che in materia disciplinare la giurisdizione statale è sempre esclusa, a prescindere dalle conseguenze ulteriori – anche se patrimonialmente rilevanti o rilevantissime – che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a quest’ultimo puramente riservati (C. G. A. Regione Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, in Dir. proc. amm., 2008, 4, 1115). A sostegno di tale tesi si osserva che il legislatore del 2003 «ha operato una scelta netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto; e tale scelta l’interprete è tenuto ad applicare, senza poter sovrapporre la propria «discrezionalità interpretativa» a quella legislativa esercitata dal Parlamento». 39() Lo evidenzia Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., 548. Sulle sanzioni disciplinari nell’ordinamento sportivo, si segnala Luiso, Le pene private nel diritto sportivo, in Le pene private, a cura di Busnelli e Scalfi, Milano, 1985, 169. 40() Anche la Corte di giustizia 18 luglio 2006 C-519/04 P, partendo «dalla premessa che le sanzioni sportive, specie se interdittive dell’attività, sono suscettibili in concreto di ledere le libertà economiche degli atleti e di coloro che operano negli organismi sportivi, ha concluso nel senso che la circostanza che sia indiscussa una regola eminentemente sportiva non può precludere in via automatica l’accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria della violazione della libertà e dei diritti garantiti dal Trattato e del contesto nel quale si colloca il fatto o il comportamento sanzionato» (T.a.r. Lazio 241 del 2010). 41() T.A.R., Lazio, 11 febbraio 2010, n. 241, cit.: «la materia del contendere è costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti personali che, a prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario degli stessi e dal settore nel quale egli ha svolto la sua attività, investono con immediatezza diritti fondamentali dello stesso in quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilità e negativi, intuitivi riflessi nei rapporti sociali. Verificandosi questa ipotesi, che è poi quella che ricorre nel caso all’esame del Collegio – atteso che il danno asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente è, più che nelle misure interdittive comminate, nel giudizio negativo sulle sue qualità morali, che esse inequivocabilmente sottintendono – è davvero difficile negare il diritto all’odierno ricorrente ad accedere a colui che di dette vicende è incontestabilmente il giudice naturale». 42() Era accaduto – come già ricordato – che un dirigente di una società sportiva professionistica di Pallacanestro, tesserato presso la Federazione, avesse subito una sanzione disciplinare di inibizione allo svolgimento da ogni attività endofederale per la durata di 3 anni e 4 mesi, comminata dalla Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport del Coni e da altri atti ad essa prodromici. Per questa ragione, l’interessato ha proposto ricorso davanti al Tar del Lazio, deducendo che l’obbligatorietà del ricorso agli organi di giustizia sportiva, pena l’adozione di provvedimenti sanzionatori, limita fortemente il diritto di difesa del tesserato; di conseguenza, ha dedotto l’illegittimità per violazione degli artt. 24, 97, 103, 113 cost., dello Statuto e del Regolamento di Giustizia della F.i.p. Sulla sanzione federale quale fonte di discredito nei confronti del destinatario, si segnala anche T.A.R. Lazio, sez. III, 3 novembre 2008, n. 9547, in Foro it., 2009, 4, 195 nonché T.A.R. Lazio, 22 agosto 2006, n. 7331, in Foro amm., Tar, 2006, 7-8, 2562, riguardante la penalizzazione di dodici punti in classifica di una squadra di calcio che ha determinato l’esclusione dalla graduatoria delle società ripescabili nel campionato nazionale di serie D, e la conseguente retrocessione dell’associazione ricorrente nel campionato regionale di eccellenza; in tal modo si è ritenuto che il provvedimento assumesse anche rilevanza esterna, incidendo sullo status del soggetto in termini non solo economici, ma anche di onorabilità (al riguardo anche T.A.R. Lazio, sez. III ter, 19 aprile 2005, n. 2801, nonché 14 dicembre 2005, n. 13616). 43() A tal proposito, la Corte Costituzionale, nella sentenza in commento, evidenzia che «anche prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno, deve sottolinearsi che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità» e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive». 44() Consiglio di Stato 25 novembre 2008, n. 5782. 45() In questo senso già Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5782, in Foro it., 2009, 4, III, 195, il quale dubitava della legittimità costituzionale del comma 1º, dell’art. 2 della l. n. 280 del 2003. 46() Attuazione dell’art. 44 l. 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo di riordino del processo amministrativo. 47() Sul potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, si segnalano, tra le altre, Cons. St., 27 gennaio 2011, n. 636; Cons. St., 21 novembre 2008, n. 12; T.A.R. Friuli V. Giulia, 27 maggio 2010, n. 360; T.A.R. Friuli V. Giulia, 15 febbraio 2010, n. 131; T.A.R. Campania 22 luglio 2009, n. 4137; T.A.R. Lombardia, 10 luglio 2009, n. 4347. 48() Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. 49() In questo senso, espressamente, Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140, in Giust. civ., 2007, f. 9, I, 1815. 50() Marzano, La giurisdizione sulle sanzioni disciplinari sportive: il contrasto fra Tar e Consiglio di Stato approda alla Corte Costituzionale, in Giur. merito, 2010, 10, 2567. In senso dubitativo, Alpa, Il problema dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, cit., 28. 51() Significativa di come, invece, un giudice statale abbia deciso secondo le regole dell’ordinamento sportivo è Trib. Crotone, 17 giugno 1993, inedita e citata in Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., 555, pronunciata seguito di incidenti verificatisi nello stadio di Crotone, a causa di tifosi della società calcistica del Palermo. Nel caso di specie, il Tribunale applicando l’art. 5 dello Statuto federale vigente all’epoca per le società professionistiche – che prevedeva una responsabilità oggettiva delle società per i danni cagionati dai propri sostenitori – ha ritenuto detta norma «vincolante per ogni società iscritta al campionato», con conseguente «responsabilità diretta delle società per ogni fatto dannoso addebitabile ai loro sostenitori, al chiaro fine di indurle al controllo delle singole tifoserie». In tal modo, in applicazione della detta regola, si è affermata in sede civile la responsabilità e la conseguente condanna della società palermitana al risarcimento del danno alla persona, subito dall’attore in conseguenza delle intemperanze dei tifosi palermitani. In senso critico verso tale decisione, Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., 557, il quale evidenzia il paradosso per cui non è stato l’ordinamento sportivo ad assumere dentro di sé la regola del diritto statale, ma al contrario l’ordinamento statale ad applicare, in funzione degli effetti giuridici che sono ad essi propri, la regola dell’ordinamento sportivo. 52() Tra le altre, Cons. Stato, 26 maggio 2010, n. 3367, in Foro amm., CDS, 2010, 5, 1059; Cons. Stato, 13 aprile 2010, n. 2029, in Red. amm. CDS, 2010, 4; Cons. Stato, 22 febbraio 2010, n. 1038, in Red. amm. CDS, 2010, 2. 53() Cons. Stato, 1 marzo 2010, n. 1156, in Foro amm., CDS, 2010, f. 3, 583; Cons. Stato, 9 giugno 2008, n. 2751, in Foro amm., CDS, 2008, 6, 1788; Cons. Stato, 16 luglio 2007, n. 4010, in Foro amm., CDS, 2007, f. 7-8, 2160; Cons. Stato, 10 gennaio 2005, n. 32, in Foro amm., Cds, 2005, 1, 110. 54() Appare indubbio, invece, che rientri nell’attività provvedimentale, quella riguardante il mancato ripescaggio in serie A, di società retrocessa in serie B (Cass., 22 novembre 2010, n. 23598, in Mass. Giust. civ., 2010; Cass., sez. un., 12 marzo 2009, n. 5973, in Foro it., 2009, 11, I, 3045) nonché la violazione degli obblighi di verifica dei bilanci delle singole società, gravanti sulla Federazione in sede di accettazione della richiesta d’iscrizione al campionato di calcio (Cass., sez. un. 16 dicembre 2009, n. 26286, in Mass. Giust. civ., 2009). 55() In questo senso, Valori, Il diritto nello sport, Torino, 2009, 123. 56() Sul punto, De Silvestri, La giustizia sportiva, cit., 148. 57() Cass., 15 luglio 2009, n. 16456, in Banca Dati De jure, la quale ha negato la responsabilità del Consiglio dell’Ordine per una sospensione cautelare di un proprio iscritto. Al riguardo anche Cass., 24 giugno 2009, n. 14812; Cass. civ., sez. un. 27 gennaio 2009, n. 1874. 58() Pescatore, Sanzione sportiva, responsabilità civile e arbitrato, in Nuova giur. civ., 2010, II, 473. 59() Da ultimo i Principi di Giustizia Sportiva del Coni, di cui alla Delibera n. 1412 del 19 maggio 2010. 60() Rolla, Autonomia dell’ordinamento sportivo e principi in materia di giurisdizione: brevi considerazioni di ordine costituzionale, in Il caso Genoa, alla ricerca di un giudice, cit., 53; De Silvestri, La giustizia sportiva, cit., 149. 61() In ogni caso, tale pregiudiziale – come evidenziato da Cons. St., 13 maggio 2010, n. 2946, cit. – sussiste soltanto per i soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo. 62() L’Alta Corte costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie in materia di sport, aventi a oggetto diritti indisponibili o per le quali non sia prevista la competenza del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale), salve le esclusioni di cui al seguente comma 4º. 3. Condizioni di ammissibilità del giudizio avanti all’Alta Corte sono la notevole rilevanza della controversia per l’ordinamento sportivo nazionale, valutata dall’Alta Corte in ragione delle questioni di fatto e di diritto in esame, e l’avvenuto esperimento dei rimedi o ricorsi previsti dalla giustizia sportiva federale. 4. Sono escluse dalla competenza dell’Alta Corte le controversie concernenti le sanzioni pecuniarie e sospensioni di minore entità di cui all’articolo 3, comma 1º, Codice dei giudizi innanzi al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e disciplina degli arbitri (d’ora innanzi Codice TNAS), quelle in materia di doping, nonché quelle aventi a oggetto una pronuncia della Giunta nazionale del CONI, emessa su parere dell’Alta Corte ai sensi dell’articolo 7, comma 5º, lett. n), dello Statuto del CONI, su ricorsi relativi a revoca o diniego di affiliazione di società sportive. 63() Con riguardo al concetto di «diritti indisponibili» ed ai dubbi interpretativi relativi, si segnala Pescatore, Sanzione sportiva, responsabilità civile e arbitrato, in Nuova giur. civ., 2010, II, 470; Valori, Il diritto nello sport, Torino, 2009, 142. 64() Significativa è la motivazione dell’Alta Corte di Giustizia 9 settembre 2009, in http://www.coni.it/fileadmin/arbitrato/0079_-_09giu2009.pdf ed in Foro it., 2009, III, 656, che ha affermato la competenza dell’Alta Corte a decidere sul ricorso contro la sanzione inflitta ad una squadra di calcio di serie A, di chiusura al pubblico dello stadio per una partita: «Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della sanzione per le modalità della sua esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società, della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente afflittivo dello svolgimento della partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la sanzione oggetto della presente controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva”. 65() Ai sensi degli articoli 12 ter, comma 1º; e 22º, comma 3º, dello Statuto del CONI, le Federazioni sportive nazionali (d’ora innanzi Federazioni), le Discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva possono prevedere, nei loro statuti e regolamenti, che le controversie sportive concernenti diritti disponibili e quelle rilevanti nel solo ordinamento sportivo siano decise in sede arbitrale presso il Tribunale. 2. All’atto dell’affiliazione, dell’iscrizione o dell’assunzione di analoghi vincoli con le Federazioni, le Discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva va manifestata espressa adesione alle norme di tali istituzioni che prevedono la composizione della lite in sede arbitrale. 66() Questo ad esempio appare il caso dell’istanza di arbitrato presentata dalla Società di Calcio della Juventus (http://www.coni.it/index.php?dettaglio_news_&tx_ttnews%5Btt_news%5D=10326), in data 10 agosto 2011, in merito alla revoca dell’assegnazione dello scudetto stagione sportiva 2005/2006 ed al conseguente prudente apprezzamento dei danni. 67() Ai sensi del comma 3º dell’art. 12 ter Statuto Coni: «nella prima udienza arbitrale è esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione. Avverso il lodo, ove la controversia sia rilevante per l’ordinamento giuridico dello Stato, è sempre ammesso, anche in deroga alle clausole di giustizia eventualmente contenute negli Statuti federali, il ricorso per nullità ai sensi dell’art. 828 del codice di procedura civile». Contenuto Riservato!