Luigi D’Orazio, L’acquisizione d’ufficio della domanda di ammissione al passivo da parte del tribunale in sede di reclamo ai sensi dell’art. 99 l.f., in Fallimento, 6, 2014, p. 654.
L’acquisizione d’ufficio della domanda di ammissione nel giudizio di opposizione allo stato passivo
(Commento a Cassazione civile, Sez. I, 12 febbraio 2014, n. 3164)
di Luigi D’Orazio
L’Autore analizza le differenze ed i tratti processuali comuni tra il reclamo di cui all’art. 98 l.f. ed il giudizio di appello (“revisio prioris instantiae”), evidenziando le peculiarità della impugnazione fallimentare, caratterizzata come un “novum iudicium” aperto alle prove ed alle eccezioni nuove, e soffermandosi sulle tematiche di confine della acquisizione d’ufficio del fascicolo di primo grado e della relativa domanda giudiziale.
Il fatto
Uno studio legale ha presentato domanda di ammissione al passivo per il credito professionale maturato in favore di una società poi ammessa ad una procedura di amministrazione straordinaria, chiedendo il privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c.. Il provvedimento di rigetto della prelazione invocata è stato impugnato dinanzi al tribunale di Ancona, il quale, dopo avere accertato che l’incarico era stato conferito dalla società in bonis a due degli avvocati associati, ha rigettato il reclamo per l’assenza in atti della domanda di ammissione al passivo. Lo studio legale ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto evidenziando che non era necessaria la produzione del fascicolo di parte relativo alla domanda di ammissione al passivo e che, comunque, il collegio avrebbe dovuto acquisire d’ufficio la domanda di ammissione utilizzando il disposto di cui all’art. 738 comma 3 c.p.c.. La Suprema Corte ha cassato il provvedimento impugnato statuendo il dovere del tribunale di acquisire d’ufficio la domanda di ammissione al passivo nel caso in cui non sia in grado di ricostruire, in base agli atti prodotti, il contenuto di tale istanza ove ne reputi essenziale l’esame. Il cancelliere deve, poi, formare il fascicolo d’ufficio relativo al procedimento di opposizione allo stato passivo, inserendovi copia della domanda di ammissione del credito.
Il reclamo come strumento di impugnazione non assimilabile all’appello.
La pronuncia in commento, pur nella estrema sintesi della motivazione, offre un panorama ampio di tutte le questioni affrontate nel recente passato dalla Suprema Corte in materia di verifica del passivo.
Si chiarisce, ancora una volta, che il procedimento di verifica del passivo (fase necessaria) ha natura sommaria1 e si connota per l’assenza della difesa tecnica, sia per i creditori che per il curatore, per la mancanza di preclusioni (una volta espunto il comma 7 dell’art. 93 l.f.) e per la speditezza della trattazione e dell’istruttoria.
Il procedimento di reclamo, a cognizione piena2 , con obbligo di difesa tecnica3, rientra, invece, a pieno titolo nel novero delle impugnazioni4, anche per la presenza di un decreto di esecutività dello stato passivo emesso dal giudice delegato che è oggetto di doglianza, ma non è in alcun modo un appello ordinario ai sensi degli artt. 339 e ss c.p.c..
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La disciplina di cui all’art. 99 l.f., però, si discosta di molto da quella propria dell’appello, come ribadito in più occasioni dalla Suprema Corte.
In realtà, con il reclamo si assiste ad una sorta di approfondimento della fase necessaria di verifica del passivo, dando la stura a più incisive richieste istruttorie anche relative a prove costituende, che difficilmente vengono assunte dal giudice delegato per esigenze di snellezza del rito e di celerità della trattazione, anche per il numero spesso rilevantissimo di domande di ammissione al passivo. Il diritto alla prova vantato dal creditore, compresso per esigenze di celerità nella fase necessaria, si riespande10 consentendo al ricorrente un grado di merito a cognizione piena, non condizionata da preclusione maturate nella fase precedente.
Pertanto, il legislatore ha voluto incanalare il procedimento di verifica in un alveo stretto e veloce, rimediando in sede di reclamo alle manchevolezza della fase “necessaria”, il tutto nella cornice del rispetto dei principi del contraddittorio, della parità delle armi e della terzietà del giudice.
Le preclusioni istruttorie sono, però, quelle indicate dall’art. 99 l.f., senza che viga, quanto alla disciplina delle prove, il divieto di ius novorum di cui all’art. 345 c.p.c.11. In sede di reclamo, quindi, il creditore può fornire la prova del credito dimenticata in prime cure12. Dopo la legge n. 134 del 2012 in appello è stata eliminata anche la possibilità di produrre i documenti ritenuti “indispensabili” dalla Corte13.
Allo stesso modo, sempre in contrasto con l’art. 345 c.p.c., il creditore ed il curatore possono sollevare nuove eccezioni in senso stretto neglette nella fase necessaria svoltasi dinanzi al g.d.14.
Pertanto, nel ricorso ex art. 99, comma 2 n. 4 l.f., il creditore che si è visto respingere la domanda di ammissione, anche solo parzialmente, deve indicare, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché i mezzi di prova di cui intende avvalersi ed i documenti prodotti15.
Allo stesso modo il resistente, che può essere anche altro creditore in caso di impugnazione di crediti ammessi, deve indicare nella memoria difensiva, a pena di decadenza, le eccezioni in senso stretto, i mezzi di prova ed i documenti prodotti, ai sensi del comma 7 dell’art. 99 l.f..
Pertanto, si è ritenuto che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, il creditore, il cui credito sia stato escluso o ridotto nel progetto del curatore e poi nel decreto di esecutività del giudice delegato, può proporre le eccezioni e depositare i documenti ritenuti rilevanti ancorché non abbia presentato alcuna preventiva osservazione ex art. 95, secondo comma, legge fall., dovendosi escludere che il mancato esercizio di tale facoltà comporti il prodursi di preclusioni, attesa la non equiparabilità del suddetto giudizio a quello d’appello, con conseguente inapplicabilità dell’art. 345 cod. proc. civ16.
In alcune pronunce la Suprema Corte17 ha tracciato in modo netto in confini del reclamo rispetto all’appello, sicché l’assenza dell’opponente, dopo la sua costituzione, all’udienza camerale non dà luogo alla improcedibilità, previo rinvio ad altra udienza ex art. 348 c.p.c., ma impone la decisione, comunque, nel merito, dovendosi evidenziare che pure dinanzi al g.d., questi decide anche in assenza delle parti, mentre in primo grado si dovrebbe applicare il disposto dell’art. 181 o dell’art. 309 c.p.c.
Tra l’altro, mentre il giudice di appello è vincolato ai motivi di impugnazione, non potendo decidere al di fuori delle ragioni di doglianza, il giudice del reclamo, in sede di opposizione, può d’ufficio rigettare la domanda. Infatti, per la Suprema Corte18 tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio, in base alle risultanze “rite et recte” acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l’effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo deve essere compiuta, di norma, “ex officio”, in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi. In tal senso il giudizio di opposizione si accosta maggiormente ad un giudizio di cognizione di primo grado con maggiore approfondimento istruttorio e più precisa scansione dei termini e delle fasi processuali.
La mancanza della copia dell’atto impugnato non dà luogo ad improcedibilità del reclamo, ben potendo qualsiasi parte in ogni momento, fino alla chiusura del contraddittorio, provvedere al deposito19, ma in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza che si è occupata dell’appello ordinario e dell’art. 348 c.p.c. Del resto, l’art. 99 l.f. neppure prevede, a differenza dell’art. 347 comma 2 c.p.c., che “l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata”. Si è, quindi, ritenuto che il precetto di cui all’art. 347 c.p.c. rappresenta una esigenza comune di tutti i procedimenti di impugnazione, essendo esigenza imprescindibile, per il giudice del gravame che deve decidere se confermare o riformare un provvedimento, che quest’ultimo sia riprodotto nel suo contenuto in un documento che ne garantisca l’autenticità. Se, poi, nell’atto di opposizione è stato completamente trascritto il contenuto del provvedimento del giudice delegato non scatta la sanzione della improcedibilità20.
Con una recente sentenza la Suprema Corte ha statuito che il giudice di appello che, al momento della decisione, verifichi che la parte appellante non ha depositato la sentenza impugnata, indispensabile per individuare l’oggetto del gravame e le statuizioni contestate, e che la stessa non è, comunque, presente tra gli atti di causa, deve dichiarare l’improcedibilità del gravame, non potendo ovviare all’impedimento riscontrato rimettendo la causa sul ruolo con invito alla parte interessata a provvedere al relativo deposito21.
Del resto, la peculiarità del reclamo di cui all’art. 99 l.f. traspare in tutta la sua fluidità proprio per la presenza della peculiare figura del curatore, tanto che per la Suprema Corte nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’audizione informale del curatore, che compaia personalmente, benché non costituito tramite ministero di un legale, per l’udienza di discussione avanti al collegio, costituisce una mera irregolarità, e non una causa di nullità del procedimento, regolato dall’art. 99 legge fall., quando lo stesso si sia limitato ad illustrare dati già presenti nei documenti in atti, nella specie allegati al ricorso in opposizione, poiché il tribunale di tali dati avrebbe comunque dovuto tener conto d’ufficio22.
Nè è applicabile all’opposizione di cui agli artt. 98 e 99 l.f., il “filtro” di cui all’art. 348 bis c.p.c.23, in quanto lo strumento deflattivo introdotto dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012, convertito in legge 134/2012) non è utilizzabile se l’appello è proposto ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., ossia nei casi in cui il primo grado si è svolto con una istruttoria sommaria e quasi esclusivamente documentale24.
Resta, ovviamente, possibile per il Collegio del reclamo di cui all’art. 99 l.f., sollevare d’ufficio le eccezioni in senso lato, pur in assenza dei allegazione delle parti nel corso della fase necessaria. Infatti, per la Suprema Corte, a Sezioni Unite25, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe alterato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto
Alcuni punti di contatto tra reclamo e appello
Alcuni principi, però, nonostante l’ostentata presa di distanza rispetto all’appello, da parte della Suprema, sono trasmigrati nella disciplina del reclamo.
Invero, il principio di immanenza delle prove è confluito dall’appello ordinario al reclamo di cui all’art. 99 l.f.
Pertanto, i documenti già prodotti dinanzi al giudice delegato e contenuti nei rispettivi fascicoli di parte dei singoli creditori devono essere ripresentati necessariamente dinanzi al collegio ai sensi dell’art. 99 l.f..
Si è, infatti, affermato che nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (“novum judicium“), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (“revisio prioris instantiae“)26. Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. cod. proc. civ. e di produrli in sede di gravame27.
Si è, allo stesso modo, ritenuto che, in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento, è fatto onere al creditore opponente, la cui domanda sia stata respinta dal giudice delegato, di produrre anche nel giudizio di opposizione avanti al tribunale la documentazione, già prodotta nel corso della verifica del passivo, a sostegno della propria domanda; ne consegue che, in difetto, al tribunale è precluso l’esame nel merito dell’opposizione, senza poter prendere visione dei documenti non prodotti (come prescritto alla parte, ai sensi dell’art. 99, comma secondo, n. 4 legge fall., a pena di decadenza), né può essere disposta una consulenza tecnica su un materiale documentario non agli atti28.
Il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato dal principio dispositivo, come qualunque ordinario giudizio di cognizione a natura contenziosa, diversamente dal procedimento di opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento, nel quale il fascicolo della procedura è acquisito d’ufficio, in ragione della natura inquisitoria del procedimento che porta all’apertura del fallimento. Pertanto, il materiale utilizzabile nel giudizio di opposizione al passivo è solo quello prodotto dalle parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c. ed è solo quel materiale che ha titolo per restare nel processo29.
In realtà, con una recente pronuncia la Suprema Corte, con riferimento al giudizio di appello, ha statuito che nel giudizio di appello l’istanza di esibizione di documenti, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., è sottoposta agli stessi limiti di ammissibilità previsti dall’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., con riferimento alla produzione documentale, con la conseguenza che essa non è ammissibile in relazione a documenti la cui esibizione non sia stata richiesta nel giudizio di primo grado30.
In una sentenza della Suprema Corte31, in motivazione, si è, peraltro, evidenziato che la possibilità per il curatore di sollevare nuovamente in sede di opposizione le eccezioni disattese dal primo giudice potrebbe trarsi anche applicando i principi in tema di appello, in quanto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., la parte vittoriosa può riproporre in appello le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado.
Nel giudizio di reclamo, poi, si applica il principio dell’apparenza, proprio come negli ordinari giudizi di impugnazione32. Si è così ritenuto che, in materia di impugnazioni, il principio cosiddetto di apparenza e affidabilità comporta necessariamente un’indagine sugli atti, al fine di accertare se l’adozione da parte del giudice di merito di quella determinata forma del provvedimento decisorio sia stata o meno il risultato di una consapevole scelta, ancorché non esplicitata con motivazione “ad hoc”, nel qual caso decisiva rilevanza va attribuita alle concrete modalità con le quali si è svolto il procedimento; pertanto, è ammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso la “sentenza” che decide all’esito di un procedimento azionato con ricorso per opposizione allo stato passivo, svoltosi con modalità corrispondenti al procedimento ex art. 99 legge fall., qualora la forma del provvedimento non sembri frutto di una meditata valutazione del decidente33.
Inoltre, nel giudizio di opposizione allo stato passivo è applicabile l‘art. 182 cod. proc. civ., che, anche nel testo anteriore alla legge 18 giugno 2009, n. 69, impone al giudice di promuovere la sanatoria, con effetti “ex tunc”, dei difetti di rappresentanza della parte, senza il limite delle preclusioni processuali: non può, quindi, considerarsi tardiva la produzione all’udienza della procura speciale alle liti, precedentemente rilasciata al difensore, la cui copia fotostatica, ove non disconosciuta, ha la stessa efficacia dell’originale, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ34
Tra l’altro, sia nel giudizio di appello che in quello di reclamo35 la trattazione delle controversie prescinde completamente dagli adempimenti previsti nell’art. 183 comma 6 c.p.c., stante la specificità dei rispettivi riti e non potendo valere, quindi, la condizione di compatibilità di cui all’art. 359 c.p.c. (“Nei procedimenti di appello davanti alla Corte o al tribunale si osservano, in quanto compatibili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale”).
L’acquisizione d’ufficio della domanda di ammissione al passivo e l’acquisizione d’ufficio del fascicolo di cui all’art. 347 c.p.c.
Il punto nodale della decisione sta, però, nell’obbligo, sancito dalla Suprema Corte, da parte del collegio del reclamo, di acquisire d’ufficio la domanda di ammissione al passivo, qualora il tribunale non sia in grado di ricostruirne il contenuto in base agli atti di causa e la lettura del ricorso sia essenziale per la decisione.
L’orientamento del Supremo Consesso è del tutto condivisibile e si ricollega ai principi stratificati della Cassazione in tema di acquisizione del fascicolo di primo grado in sede di appello.
La Corte ha colto la profonda differenza esistente tra il procedimento di verifica del passivo (con collegato reclamo) ed il processo ordinario di cognizione (con connesso appello).
Nel processo ordinario di cognizione vi è una netta cesura tra fascicolo di parte e fascicolo d’ufficio.
In particolare, l’art. 168 comma 2 c.p.c. prevede che “il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio, nel quale inserisce la nota d’iscrizione a ruolo, copia dell’atto di citazione, delle comparse e delle memorie in carta non bollata, e successivamente i processi verbali d’udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze”.
Ogni controversia, quindi, ha un proprio fascicolo d’ufficio e tanti fascicoli di parte quante sono le parti costituite.
Nel processo fallimentare, invece, vi è soltanto un fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ai sensi dell’art. 90 l.f., nel quale sono contenuti tutti gli atti, i provvedimenti ed i ricorsi attinenti al procedimento, opportunamente suddivisi in sezioni.
Ciò significa che all’interno dell’unico fascicolo di ufficio vi sono varie distinte sezioni dedicate partitamente alla istruttoria prefallimentare, all’accertamento del passivo, alla liquidazione dell’attivo, alle ripartizioni, al rendiconto di gestione ed agli atti relativi alla chiusura della procedura.
All’interno della sezione relativa all’accertamento del passivo, nonostante la presenza di distinti procedimenti sommari di verifica del passivo, pari al numero dei creditori istanti per l’ammissione al passivo, vi è un unico fascicolo d’ufficio contenente il progetto di stato passivo, le osservazioni del creditori ed i verbali di udienza con le prove eventualmente espletate, oltre al decreto di esecutività dello stato passivo.
Nel processo civile ordinario ogni controversia ha un separato fascicolo, talvolta riunito ad altri per ragioni di connessione ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c., mentre nel processo fallimentare ad una miriade di procedimenti separati sommari di ammissione al passivo corrisponde un unico fascicolo di ufficio, che è poi una sezione del fascicolo d’ufficio della procedura concorsuale.
Questa è la ragione per cui il collegio deve acquisire non l’intero fascicolo d’ufficio, come accade in sede di appello ordinario, in cui il cancelliere avanza, ex art. 347 c.p.c., la richiesta ai tribunali depositari dei fascicoli d’ufficio relativi alle sentenze oggetto di impugnazione, ma solo la singola domanda di ammissione al passivo, da cui diparte il procedimento di verifica necessaria del passivo. Anzi, è lo stesso cancelliere che, una volta depositato il ricorso di opposizione allo stato passivo, deve immediatamente inserire una copia della domanda di ammissione al passivo nel fascicolo d’ufficio dell’opposizione.
La Corte di Cassazione, ai fini dell’acquisizione della domanda di ammissione, non fa riferimento, infatti, all’art. 347 c.p.c., conservando il distacco dalla disciplina dell’appello, ma utilizza l’art. 738 comma 3 c.p.c., pur non menzionandolo in motivazione, anche se espressamente richiamato nel terzo motivo di impugnazione, accolto dalla Suprema Corte.
Con estrema chiarezza la Suprema Corte ha precisato che il ricorso per l’ammissione al passivo di cui all’art. 93 l.f., indispensabile per il rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per il rilievo d’ufficio della inammissibilità di domande nuove, non è un documento probatorio del credito, sicché l’opponente non ha l’onere di depositarla, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 99 comma 2 n. 4 l.f., ma è una domanda giudiziale (anche ai sensi dell’art. 94 l.f.) che deve essere necessariamente contenuta nel fascicolo d’ufficio, come accade per l’atto di citazione nel giudizio ordinario di cognizione ai sensi dell’art. 168 c.p.c. e 36 disp. att. c.p.c..
Il cancelliere deve, allora, al momento della presentazione del reclamo di cui all’art. 98 l.f., formare il fascicolo d’ufficio inserendovi una copia del ricorso introduttivo della fase di verifica del passivo dinanzi al giudice delegato.
Ciò a meno che il Tribunale non sia in grado di decidere potendo ricostruire il tenore del ricorso per l’ammissione al passivo sulla base di ulteriori atti processuali, proprio come avviene nel giudizio di appello.
Infatti, l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, sicché l’omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado né della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili “aliunde” e specificamente indicati dalla parte interessata36.
1 Cass. 11 settembre 2009, n. 19697, in CED Cass. 610044
2 Cass. 26 novembre 2010, n. 24028
3 L. Piccininni, Accertamento del passivo. Impugnazioni, Trattato delle procedure concorsuali, a cura di L. Ghia-C. Piccininni-F.Severini, Milano, 2010, Vol. 3, 647; L. D’Orazio, Le impugnazioni, Le procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa, Tomo I, 2011, 859; E. Bruschetta, Custodia, amministrazione delle attività e accertamento del passivo, la riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di S. Bonfatti-L. Panzani, Milano, 2008, 388.
4 Cass. 12 dicembre 2012, n. 22765, in CED Cass. 264550; B. Quatraro-F. Dimundo, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali, Milano, 2011, 101; M. Gaboardi, Impugnazioni, Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Tomo I, Milano, 2010, 821; G.B. Nardecchia, Opposizione allo stato passivo, Le insinuazioni al passivo, a cura di M. Ferro, Tomo III, Padova, 2010, 746;V. Comerci-S. Chinaglia, sub art. 98 l.f., Commentario breve alla legge fallimentare, diretto da A. Maffei Alberti, Padova, 2009, 545; A. Costa, Accertamento del passivo, Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 380; S. Chimenti, Le impugnazioni dello stato passivo, Il diritto processuale riformato, Torino, 2008, 228; C. Asprella, Sub artt. 92-103 l.f., Il nuovo fallimento, a cura di F. Santangeli, Milano, 2006, 445 .
5 Con riferimento alla normativa anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 vedi Cass. 22 marzo 2013, n. 7278, in CED Cass. 625859; per la disciplina vigente vedi Cass. 8 giugno 2012, n. 9341, in CED Cass. 622697; Cass. 30 marzo 2012, n. 5167, in CED Cass. 622179; in dottrina vedi F. Aprile-P. Vella, sub art. 99 l.f., La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 1094; M. Montanari, L’opposizione al passivo, Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi, Vol. III, Padova, 2011, 99; R. Sdino, L’accertamento del passivo, Fallimento e concordati, a cura di P. Celentano-E. Forgillo, Milano, 2008, 679; V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 2008, 252; A. Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006, 395; per l’individuazione delle ragioni del divieto di domande nuove nel giudizio di appello vedi S.Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1987, 469; L. Montesano-G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, Tomo II, 1796.
6 Cass. 15 luglio 2011, n. 15701, in CED Cass. 619319
7 Cass. 4 giugno 2012, n. 8929, in CED Cass. 623029; Cass. 22 marzo 2010, n. 6900, in CED Cass. 612241, in quanto le domande riconvenzionali non sono previste dall’art. 99 l.f., il quale contiene la precisa indicazione del contenuto della memoria difensiva del curatore fallimentare e specificamente delle difese che in quella sede devono essere svolte a pena di decadenza, comprensiva delle eccezioni e delle prove, ma non contempla la proposizione di eventuali domande riconvenzionali; in dottrina G. Costantino, sub artt. 98 e 99 l.f., la riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro-M.Sandulli, Tomo I, Torino, 2006, 566
8 G.U. Tedeschi, L’accertamento del passivo, Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, Vol. I, 2009, 1023.
9 L. D’Orazio-A. Patti-V. Zanichelli, Le impugnazioni: domanda riconvenzionale, impugnazione incidentale, eccezioni e deduzioni istruttorie delle parti resistenti (e intervenienti), L’accertamento del passivo, a cura di M. Ferro-P. Bastia-G.M. Nonno, Milano, 2011, 309.
10 In motivazione Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708, in Ced Cass. 617278
11 G.F.Ricci, La riforma del processo civile, Torino, 2009, 59; C. Mandrioli-A. Carratta, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 64.
12 P. Pajardi-A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 558.
13 C. Gamba, sub art. 345 c.p.c., Commentario breve al codice di procedura civile, G. Cian-A. Trabucchi, 2013, aggiornamento, 101.
14 Cass. 4 aprile 2013, n. 8246, in CED Cass. 625574; Cass. 12 dicembre 2012, n. 22765, in CED Cass. 624550; Cass. 18 maggio 2012, n. 7918, in CED Cass. 622668
15 Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708, in CED Cass. 617278
16 Cass. 9 maggio 2013, n. 11026, in CED Cass. 626391.
17 Cass. 6 novembre 2012, n. 19145, in CED Cass. 624114
18 Cass. 19 settembre 2013, n. 21482, in CED Cass. 627558
19 Cass. 4 maggio 2012, n. 6804, in CED Cass. 622670; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677, in CED Cass. 621297
20 Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677, in motivazione.
21 Cass. 20 gennaio 2014, n. 1079, in CED Cass. 629408; in senso parzialmente diverso in altra decisione si è ritenuto che qualora l’appellante si sia regolarmente costituito depositando il proprio fascicolo, si deve presumere – essendo l’ufficio tenuto a controllarne la regolarità – che egli abbia depositato anche copia della sentenza impugnata, sicchè il giudice, ove al momento della decisione tale sentenza non venga rinvenuta nel fascicolo, non può dichiarare l’improcedibilità dell’appello, ma deve concedere all’appellante, in caso di infruttuose ricerche da parte della cancelleria, un termine per il nuovo deposito della sentenza impugnata: Cass. 17 ottobre 2007, n. 21833, in CED Cass. 599578
22 Cass. 31 maggio 2011, n. 12012, in CED Cass. 618238.
23 F. De Santis, Filtro in appello, doppia conforme e ridotta censura in cassazione per violazione della motivazione nei procedimenti fallimentari, in questa Rivista, 4, 2013, 406.
24A. Tedoldi, Aporie e problemi applicativi sul filtro in appello, Il filtro in appello, Torino 2013, 51; M. Di Marzio, L’appello civile dopo la riforma, Milano, 2013, 389.
25 Cass. Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10531, in CED Cass. 626194
26 L. Del Bene, Impugnazioni e filtro in appello, a cura di C. De Giovanni, 2013, 135; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Vol. lI, 2010, 367; G. Verde, Diritto processuale civile, Processo di cognizione, 2, Bologna, 2010, 222; R. Giordano-A. Lombardi, Il nuovo processo civile, 2009, 382; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Il processo di cognizione, 2009, 388
27 Cass. Sez. Un, 8 febbraio 2013, n. 3033, in CED Cass. 625141
28 Cass. 16 gennaio 2012, n. 493, in CED Cass. 620930
29 Cass. 8 novembre 2010, n. 22711, in CED Cass. 614637
30 Cass. 19 novembre 2009, n. 24414, in CED Cass. 610782
31 Cass. 12 dicembre 2012, n. 22765.
32 Cass. Sez. un., 11 gennaio 2011, n. 390, in CED Cass. 615406; in dottrina quanto all’appello vedi C. Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 172.
33 Cass. 8 marzo 2012, n. 3672, in CED Cass. 621974
34 Cass. 24 ottobre 2013, n. 24068, in CED Cass. 628312
35 Cass. 6 novembre 2013, n. 24972, in CED Cass. 628963; Cass. 19 settembre 2013, n. 21482, in CED Cass. 627558; in dottrina A. Tedoldi, sub art. 359 c.p.c., Codice di procedura civile, diretto da C. Consolo, 2013, 791 .
36 Cass. 19 gennaio 2010, n. 688, in CED Cass. 610845.