Domenico Damascelli, I criteri di collegamento impiegati dal Regolamento Ue n. 650/2012 per la designazione della legge regolatrice della successione a causa di morte, in Franzina e Leandro (a cura di), Il diritto internazionale privato europeo delle successioni mortis causa, Giuffré, Milano, 2013, p. 87 ss.
Domenico Damascelli
Professore associato di Diritto internazionale nell’Università del Salento
Notaio in Bologna
I criteri di collegamento impiegati dal Regolamento Ue n. 650/2012 per la designazione della legge regolatrice della successione a causa di morte
Sommario: 1. Premessa. 2. Il criterio di collegamento oggettivo della residenza abituale del defunto al momento della morte. 3. Il rinvio. 4. La scelta di legge in favore della legge nazionale del defunto.
- Premessa.
In forza di quanto disposto dal suo art. 84, il Regolamento Ue del Parlamento europeo e del Consiglio 4 luglio 2012, n. 650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo (di seguito, per brevità il “Regolamento”), è entrato in vigore il 16 agosto 20121.
Tuttavia, la complessità della normativa armonizzata e la sua (in taluni casi, radicale) novità rispetto alla disciplina attualmente vigente in numerosi Stati membri hanno giustificato la previsione, prima della concreta applicazione del Regolamento, di un adeguato lasso di tempo dedicato al suo studio e alla sua diffusione presso gli operatori giuridici nazionali.
Tale lasso di tempo è stato individuato dal legislatore europeo in trentasei mesi a partire dalla data di entrata in vigore del Regolamento che, conseguentemente, sarà applicato a partire dal 17 agosto 2015 (v. art. 84, comma 2, reg.). Inoltre, secondo quanto disposto dal precedente art. 83, n. 1, il Regolamento si applicherà alle successioni a causa di morte delle persone decedute a partire dalla medesima data.
Da quest’ultima coppia di norme si ricava che, anche dopo il 17 agosto 2015, i sistemi di conflitto nazionali continueranno ad applicarsi, ma con esclusivo riguardo alle successioni apertesi anteriormente a tale data; mentre, in conformità con i principi che regolano i rapporti tra diritto europeo e diritto nazionale, per le successioni che si apriranno partire dal 17 agosto 2015 le disposizioni nazionali dovranno essere disapplicate2 in favore delle corrispondenti norme del Regolamento.
Con particolare riferimento all’ordinamento italiano, risulteranno totalmente disapplicate le norme sulla determinazione della competenza giurisdizionale in materia successoria (art. 50 l. 31 maggio 1995, n. 218) e – tenuto conto che, in base all’art. 20, il Regolamento avrà applicazione universale (o, come anche si usa dire, erga omnes), cioè si applicherà anche quando la lex successionis non è quella di uno Stato membro – sulla designazione della legge applicabile (art. 46-48 medesima l. n. 2183); continueranno, invece, a operare le norme italiane sull’efficacia di sentenze e atti stranieri, per il caso in cui essi provengano da Stati diversi dagli Stati membri e ciò in quanto i Capi IV e V del Regolamento si occupano della circolazione nello spazio giuridico europeo dei medesimi atti in quanto provenienti da Stati membri4.
L’applicazione della nuova normativa determinerà un completo ribaltamento dei criteri di collegamento attualmente impiegati per la determinazione della lex successionis.
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Viceversa, in forza degli art. 21 e 22 reg., da un lato, la legge applicabile alla successione a titolo oggettivo diverrà quella della residenza abituale del defunto al momento della morte, e, dall’altro, alla lex patriae potrà darsi rilievo solo in quanto essa sia stata oggetto di una professio iuris da parte dell’ereditando.
I due sistemi convergono, invece, sull’obiettivo – solo tendenziale nel caso in cui operi il criterio di collegamento oggettivo, stante il possibile funzionamento del rinvio, a entrambi noto6 – di rimettere la disciplina della successione a un’unica legge.
In particolare, tale obiettivo (a cui esplicitamente alludono i citati art. 21 e 22 reg., nella parte in cui precisano che essi si occupano di designare la legge applicabile all’«intera successione»), è ritenuto funzionale dal Regolamento al perseguimento della certezza del diritto e della prevedibilità della legge applicabile alla successione7, valutati quali presupposti necessari a garantire la pianificazione anticipata della successione e la rimozione degli ostacoli che i beneficiari, gli amministratori e i creditori ereditari attualmente incontrano «nell’esercizio dei loro diritti nell’àmbito di una successione con implicazioni transfrontaliere»8.
- Il criterio di collegamento oggettivo della residenza abituale del defunto al momento della morte.
Come si è accennato, il Regolamento impiega, quale criterio di collegamento oggettivo per la designazione della legge applicabile alla successione, la residenza abituale del defunto al momento della morte (art. 21).
Nonostante l’adozione di tale criterio costituisca un radicale scostamento dalla tradizione internazionalprivatistica italiana in materia, va riconosciuto che più ragioni militano in suo favore9.
In primo luogo e in via generale, deve rilevarsi che i criteri di collegamento di tipo domiciliare si attagliano meglio (rispetto a quello – tradizionalmente concorrente – della cittadinanza) alla situazione dei Paesi di forte immigrazione quali sono ormai (quasi) tutti i Paesi dell’Unione europea. Infatti, sottoponendo alla legge locale la disciplina delle successioni apertesi sul territorio dello Stato (e, pertanto, anche di quelle concernenti de cuius non cittadini), essi evitano all’operatore giuridico nazionale – e, in primo luogo, al giudice – le difficoltà connesse all’accertamento del contenuto di leggi straniere10. Deve aggiungersi che, tra tali criteri di collegamento, quello della residenza abituale è sicuramente preferibile rispetto al criterio del domicilio in quanto, essendo stato elaborato al dichiarato scopo di evitare il sorgere di conflitti di qualificazione derivanti dalle numerose (e, spesso, divergenti) definizioni che il secondo assume nei vari ordinamenti statali11, risulta funzionale al perseguimento di un’autentica armonizzazione internazionale12.
Secondariamente, il criterio di collegamento della residenza abituale sembra inserirsi armoniosamente nel corpus del diritto dell’Unione, che, com’è noto, da un lato, promuove l’integrazione sociale di tutti gli individui che hanno il principale centro di vita e interessi in uno degli Stati membri, proibendo le disparità di regolamentazione dei rapporti sociali ed economici basate sulla cittadinanza (v. art. 12 Tue)13 e, dall’altro, favorisce la circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea14.
In terzo luogo, il criterio in esame è stato così di sovente adottato – sia per l’individuazione del giudice competente che per la designazione della legge applicabile – dai più recenti regolamenti in materia di diritto internazionale privato, da divenire quasi un elemento tipico di questo settore del diritto dell’Unione15.
Infine, non si può negare che, dal punto di vista statistico, il criterio prescelto dal legislatore europeo risulta più coerente – rispetto a quello della nazionalità – con il principio di prossimità. Nell’attuale realtà economico-sociale, infatti, appaiono ampiamente maggioritari i casi in cui nello Stato dell’ultima residenza abituale del defunto si trovano la maggior parte (o la parte economicamente più rilevante) dei suoi beni, nonché i suoi familiari più stretti (cioè le persone che – almeno normalmente – sono chiamate a ereditare)16.
Altrettanto condivisibile appare la scelta del legislatore europeo di non fornire una definizione del criterio di collegamento oggettivo.
Oltre a essere conforme al modo di disporre della maggior parte delle fonti internazionali17, ciò ha evitato di appesantire la normativa con la previsione di criteri di collegamento sussidiari per il caso in cui il criterio di collegamento principale non potesse dirsi perfezionato18.
Ne segue che spetta all’interprete il compito di individuare gli elementi in presenza dei quali la residenza abituale possa ritenersi sussistente nel caso concreto19.
In prima approssimazione, può dirsi che nei casi in cui il legislatore non stabilisce un periodo minimo di durata necessario a dare alla residenza l’attributo dell’abitualità20, tale carattere deve essere inferito dalla combinazione di due elementi, uno oggettivo e l’altro soggettivo, la quale combinazione denunci un legame di fatto21 della persona in considerazione con un determinato Stato, che possa dirsi genuino e stabile e sia espressione dell’integrazione del primo con l’ambiente sociale e culturale del secondo.
L’elemento oggettivo si declina, a sua volta, in un aspetto di tipo quantitativo e in un aspetto di tipo qualitativo: il primo misura la durata temporale della permanenza di una persona nel territorio dello Stato; l’altro dà rilievo alla natura e alle caratteristiche di tale soggiorno, potendo condurre a negare l’attributo dell’abitualità nei casi in cui la residenza, pur protraendosi per un tempo apprezzabilmente lungo, non riveli – in considerazione dei motivi del soggiorno – un legame tendenzialmente permanente e pervasivo tra il soggetto e lo Stato22.
L’altro elemento costitutivo della residenza abituale a cui sopra si è fatto riferimento, cioè l’elemento soggettivo, mantiene una sua autonomia concettuale rispetto all’aspetto qualitativo dell’elemento oggettivo: mentre, infatti, quest’ultimo pone l’accento sulla specie di permanenza in un determinato Stato, il primo indaga circa la sussistenza dell’intenzione della persona di fissare ivi, con il carattere della stabilità, il centro dei propri interessi di vita e di affari. Tale intenzione può ricavarsi da una serie di dati concreti23, che per loro natura tradiscono la volontà seria ed effettiva del soggetto di risiedere stabilmente in un dato luogo. L’elemento soggettivo può indurre l’interprete a concludere circa la sussistenza della residenza abituale anche quando la durata della permanenza non assuma contorni particolarmente rilevanti, come nel caso in cui le ragioni del trasferimento lasciano presagire un (almeno tendenzialmente) stabile soggiorno del soggetto nello Stato24. Esso, inoltre, gioca un ruolo cruciale quando il periodo di permanenza nello Stato, pur prolungatosi a lungo, si sia interrotto ripetutamente o costantemente25.
Con la ricostruzione che precede – la quale attribuisce eguale valore all’elemento oggettivo e a quello soggettivo – risultano coerenti le indicazioni interpretative fornite da un consolidato filone giurisprudenziale della Corte di giustizia26 e dal 23° considerando del Regolamento27.
Tuttavia, a una siffatta conclusione frappone un ostacolo il dettato dell’art. 21, n. 2, reg. che rende applicabile alla successione, invece della legge dello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte, la legge del (diverso) Stato con cui, al medesimo momento, il defunto stesso «aveva collegamenti manifestamente più stretti». Tale norma, presupponendo comunque l’esistenza in un dato Stato della residenza abituale del defunto (come si ricava, oltre che dal suo letterale tenore, dalla circostanza che quest’ultimo criterio funge sempre da titolo di giurisdizione generale28), conduce, infatti, alla svalutazione dell’elemento soggettivo nella ricostruzione della nozione di residenza abituale rilevante ai fini del Regolamento: non si vede, altrimenti, in quale caso potrebbe darsi la scissione tra legge della residenza abituale e legge del collegamento più stretto, se non in quello in cui – accertata a titolo oggettivo in un determinato Stato la residenza abituale del defunto – si debba negare l’applicazione della relativa legge a cagione del fatto che il defunto stesso non considerasse tale Stato come quello corrispondente al centro principale dei suoi interessi interessi di vita e di affari (e ciò, per esempio, in quanto aveva «mantenuto un collegamento stretto e stabile con lo Stato di origine»29, in cui voleva, in un futuro più o meno prossimo, ritornare per ritrovare «il centro degli interessi della sua famiglia e della sua vita sociale»30).
L’osservazione che precede conduce all’esito – forse inconsapevole nei compilatori del Regolamento – di ridurre la rilevanza della posizione psicologica del defunto nella determinazione della legge applicabile alla successione a titolo oggettivo: tale posizione, infatti, potrà essere presa in considerazione in casi rari, l’applicazione della legge contemplata dall’art. 21, n. 2, reg. essendo disposta da tale norma «in via eccezionale» e richiedendo la medesima norma che risulti chiaramente «dal complesso delle circostanze del caso concreto» il fatto che, al momento della morte, il de cuius avesse legami manifestamente più stretti con uno Stato diverso da quello della residenza abituale.
La disposizione in esame, nel pur commendevole intento di ricercare e rendere applicabile la proper law of succession, aumenta la discrezionalità nella valutazione degli elementi di fatto del caso di specie da parte di coloro che sono chiamati a individuare la legge applicabile a titolo oggettivo; ciò che contrasta con l’esigenza – acuita dal potenziale concorso tra diversi soggetti (giudici, notai, autorità deputate al rilascio del certificato successorio europeo) che possono essere investiti dalle parti dell’incarico di occuparsi della medesima successione – di pervenire alla determinazione della lex successionis in maniera rapida e, soprattutto, univoca.
- Il rinvio.
L’applicazione all’intera successione della legge della residenza abituale del defunto al momento della morte, voluta dall’art. 21 reg., può subire eccezioni a causa del funzionamento del meccanismo del rinvio, opportunamente previsto dall’art. 34, n. 1, reg. onde perseguire il coordinamento tra il sistema conflittuale europeo in materia di successioni e quello degli Stati terzi31.
Precisamente, tale disposizione prescrive che, nel caso in cui le norme di conflitto uniformi richiamino la legge di uno di detti Stati, si debba tenere conto del modo di disporre del diritto internazionale privato di tale Stato, quando esso rinvii alla legge di uno Stato membro [lett. a)] o alla legge di un ulteriore Stato terzo che, in base al proprio sistema conflittuale, si ritenga a sua volta competente a regolare la fattispecie [lett. b)].
Si noti che l’art. 34, n. 1, lett. a), reg. contempla, oltre al caso del rinvio indietro alla lex fori, una forma di rinvio altrove – ulteriore rispetto a quella già nota all’ordinamento italiano32 e disciplinata dalla successiva lett. b)33 – che si verifica incondizionatamente (cioè a prescindere da qualunque valutazione operata dal sistema di conflitto dello Stato membro in considerazione) e la cui ratio risiede, con tutta probabilità, nella volontà del legislatore europeo di rendere applicabile alla successione una normativa più facilmente accessibile al giudice rispetto a quella dello Stato terzo.
In forza dell’art. 34 reg., il rinvio può aversi, innanzitutto, quando in uno Stato terzo che adotta, quale criterio di collegamento in matera ereditaria, la cittadinanza del defunto al momento della morte, si apra la successione di uno straniero colà abitualmente residente. In tal caso, il rinvio si verificherà indefettibilmente ove il defunto fosse cittadino di uno Stato membro, nonché, ove fosse cittadino di un ulteriore Stato terzo, a condizione che anche il diritto internazionale privato di tale ultimo Stato dichiari applicabile alla successione la lex patriae.
Problemi di non facile soluzione possono verificarsi nelle ipotesi in cui il defunto fosse in possesso di più di una cittadinanza, le quali ipotesi possono articolarsi come segue:
) il defunto aveva, oltre alla cittadinanza dello Stato terzo della residenza abituale al momento della morte, la cittadinanza di uno o più Stati membri e/o quella di uno o più altri Stati terzi;
) il defunto non aveva la cittadinanza dello Stato terzo della residenza abituale al momento della morte, ma aveva la cittadinanza di due o più Stati membri e/o quella di uno o più altri Stati terzi.
Per la soluzione di detti problemi, nell’impossibilità di individuare una regola interpretativa che assicuri il coordinamento di tutti gli ordinamenti coinvolti, si può, con una certa cautela, suggerire:
– che, ove tra le cittadinanze in presenza vi sia quella dello Stato terzo richiamato in prima battuta, il rinvio operi solo ove esso sia voluto dal diritto internazionale privato di tale Stato34 (la disapplicazione della legge dello Stato della residenza abituale potendosi giustificare solo con la finalità di ottenere un coordinamento con il sistema conflittuale dello Stato terzo);
– che nel concorso tra la cittadinanza di uno Stato membro e quella di uno Stato terzo debba essere data prevalenza alla prima [con ciò valorizzando il risultato pratico perseguito dall’art. 34, n. 1, lett. a), reg., come sopra individuato nell’intento di semplificare l’attività dell’operatore giuridico europeo];
– che tra la cittadinanza di due o più Stati membri o di due o più Stati terzi (in quest’ultimo caso, in assenza di concorso con la cittadinanza di Stati membri) debba essere data prevalenza alla cittadinanza effettiva, cioè a quella dello Stato con cui il defunto presentasse il collegamento più stretto al momento della morte35.
Il rinvio può, inoltre, determinare una scissione dello statuto successorio, cioè l’applicazione di leggi diverse ai beni che compongono il patrimonio ereditario.
Ciò si verifica, precisamente, quando l’ordinamento dello Stato terzo impieghi più criteri di collegamento in relazione alla diversa natura dei beni ereditari (a esempio sottoponendo, come tipicamente fanno i sistemi di common law, la successione nei beni immobili alla lex rei sitae e la successione nei beni mobili alla legge dell’ultimo domicilio del defunto), ovvero dichiari applicabile tout court la legge del luogo di situazione dei beni (come dispone l’art. 2400 della Legge n. 10.084 dell’Uruguay).
In tali casi, qualora della massa ereditaria facciano parte beni immobili siti in Stati diversi da quello dell’ultima residenza abituale del defunto, ovvero, rispettivamente, i beni costituenti la massa, a prescindere dalla loro natura, si trovino in Stati diversi, la successione – ricorrendo le condizioni previste dall’art. 34, n. 1, reg. – sarà regolata da due o più leggi diverse.
Per completezza si rammenta che, ai sensi dell’art. 34, n. 2, reg, «il rinvio non opera» nel caso in cui la lex successionis sia individuata per il tramite dell’art. 21, n. 2, reg.: ciò si spiega in quanto risulta logicamente incompatibile con il principio di prossimità (a cui quest’ultima norma risulta informata) un eventuale spostamento di competenza legislativa conseguente alla presa in considerazione delle norme di diritto internazionale privato dello Stato richiamato in prima battuta.
- La scelta di legge in favore della legge nazionale del defunto.
L’art. 22 reg. concede al de cuius la facoltà di scegliere, quale lex successionis, in luogo della legge della residenza abituale al momento della morte, la legge dello Stato di cui egli possiede la cittadinanza, al momento della scelta o al momento della morte36.
Tale facoltà appare particolarmente utile – anche in considerazione della scarsità dei casi in cui risulterà applicabile la clausola di eccezione di cui all’art. 21, n. 2, reg. – per coloro che, pur essendosi stabiliti all’estero, continuano ad avere legami significativi con il Paese d’origine37, dalla cui legge si aspettano che la propria successione sia regolata.
Con l’appena indicata ratio della disposizione in esame sarebbe stata coerente l’attribuzione, ai soggetti con cittadinanza plurima, della possibilità di scegliere unicamente la legge della cittadinanza effettiva. Il legislatore europeo è stato, invece, più liberale, consentendo al disponente di scegliere la legge nazionale che preferisce (v. art. 22, n. 1, comma 2, reg.). Ciò comporta il rischio di rendere applicabili alla successione leggi che con la stessa non hanno alcun contatto38, ma presenta il vantaggio pratico di evitare all’interprete le difficoltà connesse all’individuazione dei criteri idonei a determinare la prevalenza di una cittadinanza sull’altra e di favorire la certezza del diritto.
Secondo il 38° considerando, l’esclusione di altre leggi che teoricamente avrebbero potuto prendersi in considerazione come oggetto di scelta risponde all’intento di proteggere i legittimari da operazioni artatamente volte a pregiudicarne i diritti. Invero, questo argomento giustifica l’esclusione della professio iuris in favore della legge della residenza abituale del defunto al momento della scelta39 ma non quella in favore di altre leggi astrattamente eleggibili, per la cui esclusione valgono motivazioni diverse.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla legge della residenza abituale del defunto al momento della morte: poiché tale legge corrisponde a quella designata dal criterio di collegamento oggettivo, un’optio legis di siffatto contenuto avrebbe avuto – in applicazione dell’art. 34, n. 2, reg. – l’unica conseguenza rilevante di consentire a soggetti residenti in Stati terzi di sottoporre l’intera loro successione al diritto materiale dello Stato dell’ultima residenza, a prescindere dal rinvio eventualmente disposto dal diritto internazionale privato di quest’ultimo. In effetti, un siffatto risultato, rischiando di minare l’armonia internazionale delle soluzioni nei rapporti con lo Stato terzo interessato, per giunta con riferimento a casi di limitato interesse per gli Stati membri40, non corrisponde a nessun apprezzabile motivo di politica legislativa ed è stato opportunamente evitato.
L’esclusione della professio iuris in favore della legge di situazione di beni determinati risponde, invece, all’esigenza di escludere, per l’ipotesi in cui detti beni siano situati in Stati diversi, la scissione dello statuto successorio tra più leggi, esito che – come si è detto in premessa – il Regolamento tende in principio a rifiutare.
Infine, la mancata attribuzione ai soggetti coniugati della facoltà di scegliere, quale lex successionis, la legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali, risulta coerente con la costatazione che tale settore del diritto internazionale privato non è ancora armonizzato a livello europeo, ciò che può determinare il rischio del richiamo di leggi diverse a seconda dello Stato membro dal cui punto di vista ci si pone. In definitiva, l’ammissione di tale facoltà (in astratto commendevole in quanto eviterebbe i noti conflitti di qualificazione che possono derivare dall’applicazione di leggi distinte ai due istituti) dovrà essere rimandata al giorno in cui sarà stato approvato il regolamento europeo in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, attualmente in gestazione41.
Per la formulazione della professio iuris l’art. 22 reg. ritiene necessaria e sufficiente la dichiarazione di volontà unilaterale del de cuius.
In particolare, deve escludersi che i futuri eredi possano accordarsi sulla legge applicabile alla successione sia prima dell’apertura della successione (in quanto ciò sarebbe radicalmente contrario al principio – comune a un gran numero di ordinamenti europei – che riconosce all’ereditando la libertà di disporre a causa di morte usque ad supremum vitae exitum) che dopo (in quanto, una siffatta facoltà, consentendo agli eredi di atteggiare a loro piacimento la devoluzione ereditaria, si tradurrebbe in una surrettizia modificazione della volontà del defunto, il quale aveva fatto affidamento per la pianificazione della propria successione sulla disciplina materiale fornita dalla legge indicata dal criterio di collegamento oggettivo o dalla legge da lui scelta).
A norma del n. 2 del citato art. 22 reg. la professio iuris deve rivestire la forma di una disposizione mortis causa, mentre, in forza del successivo n. 4 della medesima norma, è possibile procedere alla modifica o alla revoca di tale designazione in tutte le forme «previste per la modifica o la revoca di una disposizione a causa di morte»42.
L’optio legis può essere espressa ma può anche «risultare dalle clausole» della disposizione che la contiene.
Sulla prima modaltà di scelta è sufficiente dire che essa non richiede l’impiego di formule sacramentali, qualsiasi espressione lessicale essendo ammessa, purché indichi in modo sufficientemente chiaro la volontà del disponente.
Quanto agli elementi in presenza dei quali possa dirsi sussistente una scelta di legge tacita, la disposizione in commento è avara di indicazioni, richiedendo unicamente che l’optio legis debba ricavarsi dal testo della disposizione mortis causa (e, pertanto, escludendo che essa possa trarsi aliunde43). Possibili indici della volontà del de cuius di esercitare la scelta di legge possono trarsi dal riferimento che egli abbia fatto a norme o istituti giuridici propri di un determinato ordinamento, mentre si è dell’avviso che, isolatamente considerato, non assume rilievo determinante l’impiego della lingua nazionale nella confezione della disposizione44. La previsione, che costituisce una novità rispetto alla Proposta, va nella direzione di valorizzare le volontà del defunto; essa, tuttavia, potendo dare luogo a interpretazioni contrastanti della scheda testamentaria penalizza la certezza del diritto, ciò che, tra l’altro, non appare funzionale all’opportunità di avere indicazioni il più possibile incontrovertibili circa la sussistenza di una professio iuris al fine dell’attivazione dei meccanismi di cui agli art. 5-7 reg..
Vale la pena di rilevare, inoltre, che – stante la definizione di disposizione a causa di morte contenuta nell’art. 3, n. 1, lett. d), reg. – la scelta di legge può essere contenuta non solo in un testamento ma anche in un patto successorio, rimanendo, in quest’ultimo caso, concettualmente e contenutisticamente distinta dalla professio iuris di cui all’art. 25 n. 3 reg. (che riguarda unicamente la disciplina dell’ammissibilità, della validità sostanziale e degli effetti vinconlanti tra le parti del patto successorio).
Infine, la disposizione sulla scelta di legge è completata da una norma che, analogamente a quanto previsto dall’art. 3, n. 5, reg. Ce del Parlamento europeo e del Consiglio 17 giugno 2008, n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), rimette la validità sostanziale «dell’atto con cui è stata fatta la scelta di legge» alla medesima legge scelta (v. il n. 3 dell’art. 22). Richiamando quanto disposto dall’art. 26 reg., devono ritenersi assoggettate a quest’ultima legge: la capacità di rendere la professio iuris, l’ammissibilità della rappresentanza e i vizi della volontà del disponente.
Meritano, a questo punto, di essere illustrate due importanti disposizioni di diritto transitorio volte a salvaguardare gli atti di pianificazione ereditaria posti in essere dal de cuius anteriormente alla data di applicazione del Regolamento.
In primo luogo, l’art. 83, n. 2, reg., fa salva la validità della scelta di legge che soddisfi «le condizioni» di cui al Capo III del Regolamento o sia valida «in applicazione delle norme di diritto internazionale privato vigenti al momento della scelta di legge nello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale o in uno qualsiasi degli Stati di cui possedeva la cittadinanza». Nonostante il suo tenore letterale (che fa riferimento alla “validità” dell’optio legis) la norma va interpretata nel senso che essa, da un lato, attribuisce effetto alla scelta di una delle leggi contemplate dall’art. 22 reg., anche quando i sistemi di conflitto più prossimi al defunto vigenti al momento della testamenti factio non consentivano di optare per esse, e, dall’altro, conserva effetto alla scelta di leggi diverse da quelle indicate dal medesimo art. 22, anche quando dell’ammissibilità di tale scelta si deve giudicare una volta che il Regolamento sia divenuto applicabile.
Secondariamente, il n. 4 della medesima disposizione pone una presunzione circa la sussistenza di un’opzione in favore della legge che il defunto avrebbe potuto scegliere a norma del Regolamento e in conformità alla quale abbia confezionato, anteriormente al 17 agosto 2015, le proprie disposizioni mortis causa. La norma in esame punta a mantenere sottoposte alla lex patriae le successioni che tali sarebbero state in virtù del criterio di collegamento oggettivo contemplato dal sistema di conflitto nazionale del defunto vigente al momento della confezione delle disposizioni mortis causa, anche quando, in base al tenore delle disposizioni stesse, non potrebbe dirsi integrata una scelta di legge tacita a norma dell’art. 22, n. 2, reg.. La regola appare conforme alle presumibili aspettative del de cuius, il quale – non operando alcuna scelta di legge espressa – si può ritenere che intendesse affidare la propria successione, oltre che alle disposizioni di ultima volontà, alle norme suppletive della legge nazionale.
In conclusione, un’ultima notazione pare opportuna. Al pari di quanto accade nel sistema vigente, anche nel quadro del Regolamento non è escluso che il testatore, nell’esercizio della sua autonomia negoziale, possa, al fine di regolare concretamente la futura successione, effettuare la recezione negoziale delle regole sostanziali di diritto ereditario di un dato ordinamento. Tale rinvio recettizio o materiale al diritto straniero, va tenuto distinto dalla professio iuris di cui all’art. 22 reg. e, anzi, presuppone risolto il problema di conflitto (cioè presuppone assodata la legge applicabile alla successione in base all’art. 21 reg.); pertanto, esso potrà rivolgersi anche a una legge diversa da quella della nazionalità ed è limitato, come tutte le manifestazioni di autonomia privata, dal necessario rispetto delle norme imperative della lex successionis.
1 Cioè il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 27 luglio 2012 (v. G.U.U.E. n. L201, p. 107 ss.)..
2 L’affermazione della primauté del diritto comunitario, che comporta la disapplicazione da parte del giudice del diritto nazionale col primo contrastante, risale, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, alla celebre sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978, causa 106/77, in Raccolta, 1978, p. 629 ss.. Sulla questione, v., per tutti, Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, Bari, 2010, p. 372 ss..
3 Con la precisazione per cui, stante l’esclusione di cui all’art. 1, n. 2, lett. f), reg., l’art. 48 l. n. 218/1995 mantiene un residuo campo di ultrattività per la verifica della validità formale del testamento nuncupativo.
Naturalmente, saranno parzialmente disapplicate le disposizioni della l. n. 218/1995 riguardanti questioni generali sulla legge applicabile, che siano disciplinate anche dal Regolamento (quali, a esempio, il rinvio, l’ordine pubblico e il richiamo di ordinamenti plurilegislativi).
4 Vale la pena di precisare che nella nozione di “Stato membro” rilevante ai fini del Regolamento non rientrano il Regno Unito e l’Irlanda (che non hanno esercitato l’opting in loro riservato dall’art. 3 del Protocollo n. 21 allegato al Tue), nonché la Danimarca (che ai sensi dell’art. 1 del successivo Protocollo n. 22 non partecipa all’adozione delle misure proposte a norma della parte terza, titolo V, Tfue).
5 Sull’attuale disciplina internazionalprivatistica delle successioni a causa di morte, sia consentito rinviare a Damascelli, Diritto internazionale privato, Legge 31 maggio 1995, n. 218 – Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Artt. 20-22, 46-49, 56, in Sesta (a cura di), Codice delle successioni e delle donazioni, vol. II, Leggi collegate, Milano, 2011, p. 143 ss..
6 V. l’art. 13 l. n. 218/1995 e, rispettivamente, l’art. 34 reg..
7 V. il 37° considerando.
8 Così si esprime il 7° considerando.
9 Come chiarito già dall’Etude de droit comparé sur les règles de conflits de juridictions et de conflits de lois relatives aux testaments et successions dans les Etats membres de l’Union européenne, elaborato dal Deutsches Notarinsitutu in collaborazione con i professori Heinrich Dörner e Paul Lagarde, in Les successions internationales dans l’UE – Perspective pour une Harmonisation, Würzburg, 2004, p. 99 ss..
10 In tal senso, v. Damascelli, Règles de conflit de lois – Questions générales, in Consiglio Nazionale del Notariato, Réponses au questionnaire en matière de successions et testaments – Livre vert de la Commission européenne, Milano, 2005, p. 9 ss., spec. p. 12; Lein, A further Step towards a European Codification of Private International Law – The Commission Proposal for a Regulation on Succession, in Yearbook of Private International Law, 2009, p. 107 ss., spec. p. 117.
11 Nella prassi internazionale ciò è chiaro da lungo tempo: v. Actes et documents de la Deuxième session de la Conférence de La Haye de droit international privé, L’Aia, 1894, p. 94.
L’assenza di una nozione internazionale del domicilio è confermata dallo stesso Regolamento all’art. 27, n. 1, comma 2.
12 Non a caso esso è stato ampiamente impiegato nelle convenzioni elaborate in seno alla Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato (v., a esempio, la Convenzione del 1956 sulle obbligazioni alimentari, quelle del 1961 e del 1996 sulla protezione dei minori, quella del 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni, quella del 1989 sulla legge applicabile alle successioni a causa di morte, quella del 2000 sulla protezione internazionale degli adulti, nonché il Protocollo del 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari).
13 V. Damascelli, op. loc. ult. cit.; Dutta, Succession and Will in the Conflict of Laws on the Eve of Europeanisation, in RabelsZ, 2009, p. 547 ss., spec. p. 565; Bonomi, Prime considerazioni sulla proposta di regolamento sulle successioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, p. 875 ss., spec. p. 883.
14 V. DavÌ, Riflessioni sul futuro diritto internazionale privato europeo delle successioni, in Riv. dir. int., 2005, p. 297 ss., spec. p. 313.
15 V., a esempio, l’art. 5 n. 2 reg. 44/2001, gli art. 3, 8 e 9 reg. 2201/2003, gli art. 4, n. 2, 5, n. 1, reg. 864/2007, l’art. 4 reg. 593/2008 e l’art. 3 reg. 4/2009, l’art. 5 n. 1, lett. a) e b), e l’art. 8, lett. a) e b), reg. 1529/2010.
16 Nello stesso ordine di idee si muove Bonomi, Prime considerazioni cit., p. 886.
17 Una definizione di residenza abituale non si trova in nessuna delle convenzioni elaborate dalla Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato, nemmeno nelle più recenti [e ciò in quanto una sua previsione «aurait l’inconvénient de remettre en cause l’interprétation donnée à cette expression dans les autres Conventions, très nombreuses, où elle est utilisée» : così, Lagarde, Convention du 13 janvier 2000 sur la protection internationale des adultes, Rapport explicatif, in Actes et documents de la Commission spéciale à caractère diplomatique (1999), L’Aia, 2003, p. 38].
Fatta eccezione per l’art. 23 reg. 864/2007 (che si limita, però a fornire una nozione di residenza abituale valida per le persone giuridiche e per le persone fisiche che agiscono nell’esercizio dell’attività professionale), essa non si rinviene nemmeno nei regolamenti di diritto internazionale privato citati alla nota 15.
Un tentativo di promuovere una nozione uniforme di residenza abituale si trova, invece, nella Résolution relative à l’unification des concepts juridiques de “domicile” et de “résidence”, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 18 gennaio 1972 e reperibile in http://www.coe.int.
18 In tal modo, si è inteso evitare di riprodurre il complicato meccanismo previsto dall’art. 3 della Convenzione dell’Aia del 1989 sulla legge applicabile alle successioni a causa di morte, che ha costituito una delle principali cause dell’insuccesso di tale accordo (a oggi, applicabile unicamente nei Paesi Bassi, a séguito dell’incorporazione materiale nel proprio ordinamento disposta unilateralmente dal legislatore di quel paese).
19 Sulla questione, v., diffusamente, Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, 685 ss..
20 Come, invece, è avvenuto con il citato art. 3 della Convezione dell’Aia del 1989 sulla legge applicabile alle successioni a causa di morte.
21 Nella ricostruzione del criterio della residenza abituale comunemente si insiste sul suo carattere puramente fattuale, perciò alternativo al criterio del domicilio, la cui rilevazione è legata al riscontro di parametri giuridici: v., di recente, Marino, Nuovi criteri interpretativi per la determinazione della giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: la nozione di residenza abituale dei minori in una recente sentenza della Corte di giustizia CE, in Riv. dir. proc., 2010, p. 467 ss., spec. p. 469 s.. Ciò non implica, tuttavia, che l’accertamento della sussistenza, nel caso concreto, della residenza abituale sia sottratto al sindacato di legittimità, perché, pur essendo basato su dati di fatto, tale accertamento avviene in forza di schemi e meccanismi logici che assumono il valore di regola giuridica: v. Mellone, op. cit., nt. 30 a p. 693.
22 V. Bundesgerichtshof, 5 febbraio 1975, in FamRZ, 1975, p. 272 ss., che ha negato la sussistenza della residenza abituale in Spagna di un minore che trascorreva nove mesi all’anno in un collegio nel paese iberico per poi rientrare durante le vacanze dalla madre che viveva in Germania. Allo stesso modo dovrà escludersi la sussistenza della residenza abituale se il soggiorno è dovuto a viaggio di piacere, visita a parenti, periodo di studi, distacco temporaneo per motivi di lavoro.
23 Quali l’apertura di un conto corrente bancario, l’accensione di finanziamenti bancari di medio o lungo termine, la richiesta di un permesso di soggiorno o, ancor di più, della cittadinanza dello Stato ospitante.
24 A esempio, fissazione del focolare domestico nel caso di coniugi aventi diversa nazionalità, assunzione di un incarico professionale di livello superiore a quello precedentemente praticato.
25 Come nel caso dei soggiorni a titolo di studio intervallati da periodi di vacanza o di rientro nel paese di origine.
In siffatti casi, la durata della permanenza non può da sola rappresentare l’elemento decisivo per la valutazione dell’abitualità della residenza, «dovendosi necessariamente fare riferimento alla reale intenzione del soggetto di fissare la propria residenza abituale nel luogo di soggiorno temporaneo ovvero di mantenere ugualmente il proprio collegamento territoriale principale nel luogo di origine»: così, Mellone, op. cit., p. 695 s..
26 V. Corte di giustizia 15 settembre 1994, causa C-452/93, Magdalena Fernández c. Commissione, in Raccolta, 1994, p. I-4295 ss., spec. punto 22, secondo cui la residenza abituale sarebbe costituita dal «luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi, fermo restando che, ai fini della determinazione del luogo di residenza abituale, occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto che contribuiscono alla sua costituzione» (analogamente hanno statuito le sentenze della medesima Corte in data 8 luglio 1992, causa C-102/91, Knoch c. Bundesanstalt für Arbeit, in Raccolta, 1992, p. I-4341 ss., spec. punto 23, e in data 25 febbraio 1999, causa C-90/97, Swaddling c. Adjudication officer, in Raccolta, 1999, p. I-1075 ss., spec. punto 30).
27 Che, al fine di determinare la residenza abituale, suggerisce di procedere «a una valutazione globale delle circostanze della vita del defunto negli anni precedenti la morte e al momento della morte, che tenga conto di tutti gli elementi fattuali pertinenti, in particolare la durata e la regolarità del soggiorno del defunto nello Stato interessato nonché le condizioni e le ragioni dello stesso».
28 Come confermato dal 25° considerando, secondo cui l’art. 21, n. 2, Regolamento opera solo «(p)er quanto riguarda la determinazione della legge applicabile alla successione».
29 Tale Stato può essere lo Stato della nazionalità o anche quello della precedente residenza abituale.
30 I brani virgolettati sono tratti dalla prima parte del 24° considerando il quale afferma – errando – che, in tal caso, «si potrebbe ritenere che il defunto (…) avesse ancora la propria residenza abituale nello Stato di origine».
31 Obiettivo che assume particolare rilievo dal momento che, in virtù di quanto precisato supra alla nt. 4, tra gli Stati terzi ai fini del Regolamento devono essere annoverati il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca.
32 V. art. 13, n. 1, lett. a), l. n. 218/1995.
33 Sia art. 13, n. 1, lett. a), l. n. 218/1995 che l’art. 34, n. 1, lett. b), reg. subordinano il funzionamento del rinvio alla sua «accettazione» da parte del diritto internazionale privato dello Stato verso cui si determina lo spostamento di competenza legislativa.
34 A esempio, perché esso faccia prevalere, tra le cittadinanze in presenza, quella effettiva e, nel caso di specie, tale non risulti la propria.
35 Si badi che è nota a chi scrive la giurisprudenza della Corte di giustizia (v. sentenze 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello, in Raccolta, 2003, p. I-11613 ss.; 14 ottobre 2008, causa C-353/06, Grunkin e Pauli, in Raccolta, 2008, p. I-7639 ss.; 16 luglio 2009, causa C-168/08, Hadadi, in Raccolta, 2009, p. I-6871 ss.) che pone su un piede di parità le cittadinanze (degli Stati membri) possedute da un determinato soggetto. Tuttavia, la soluzione offerta dalla Corte – che, in definitiva, rimette alla volontà della parte interessata la prevalenza dell’una o dell’altra cittadinanza (v. Tomasi, Doppia cittadinanza e giurisdizione in materia matrimoniale nel Reg. n. 2201/2003 (“Bruxelles II bis”), in Int’l Lis, 2008, p. 134 ss., spec. p. 138 s.) – non appare idonea a risolvere il problema che ci occupa mancando ogni volontà in tal senso riconducibile al de cuius (ché, altrimenti, si verserebbe in un’ipotesi di scelta della legge applicabile ex art. 22 reg.) né potendosi prendere in considerazione – per le ragioni espresse al par. 3 che segue – la volontà espressa da soggetti diversi dal defunto.
D’altro canto, secondo la dottrina, il ricorso al criterio dell’effettività risulta corrispondente alla prassi internazionale: v. Barel, Armellini, Diritto internazionale privato – Manuale breve, Milano, 2012, p. 99 s..
36 Si noti che quest’ultima possibilità non era prevista dall’art. 17, n. 1, della Proposta; tuttavia, malgrado l’incertezza connessa alla scelta di una legge la cui applicabilità dipende da condizioni non attuali, essa si giustifica con riferimento a quelle persone che, pur avendo perduto la cittadinanza di origine, contano di riacquistarla successivamente (a esempio, a séguito di un loro ritorno nello Stato nazionale) e non desiderano attendere fino a quel momento per la pianificazione della propria successione ereditaria.
37 Nel quale, a esempio, sperano di ristabilirsi in un futuro più o meno prossimo, o nel quale è localizzato tutto o parte del patrimonio o tutta o parte della famiglia.
38 Si pensi, a esempio, al discendente di terza o quarta generazione di immigrati extracomunitari, il quale abbia acquistato la nazionalità dello Stato membro della sua residenza abituale, mantenendo anche quella dello Stato di origine dei suoi avi.
39 Precisamente, tale esclusione vale a scongiurate le manovre consistenti nella fissazione della residenza da parte del de cuius in Stati il cui diritto ereditario non contempla un sistema di successione necessaria per il tempo strettamente sufficiente a esercitare la scelta di legge e nel successivo rientro nello Stato di residenza originaria.
40 Come si ricava dal fatto che – almeno di regola – i tribunali di detti Stati neanche sarebbero competenti a pronunciarsi sulla successione.
41 V. la Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi del 16 marzo 2011 [doc. COM(2011) 126 definitivo].
42 Dunque, non necessariamente nelle forme di una disposizione mortis causa: v., a esempio, l’art. 680 c.c., nella parte in cui fa riferimento all’«atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni».
43 Conforme, Goré, La professio juris, in Répertoire du notariat Defrénois, 30 agosto 2012, n. 15-16, p. 762 ss..
44 Nello stesso senso, ancora, Goré, op. cit..